513. Cinquecentotredici è il numero di parole che tra poco userò per dirti che il leader che guida è uno sbaglio. Sentir parlare di leader e leadership è capitato a tutti nella vita. Di solito, alla domanda “qual è la differenza tra un capo e un leader?” i più sono pronti, con loro grande soddisfazione, a rispondere “un capo comanda, un leader guida, conduce.” E quindi giù a scrivere articoli, trattati, addirittura libri su questi nuovi condottieri. Peccato che spesso queste guide funzionano per un numero limitato di “follower” – spesso ottengono più risultati i cantanti o gli influencer che la nuova categoria di manager.
Perché il leader che guida è uno sbaglio?
Perché se il leader non si forma in modo innovativo resterà bloccato nello stesso meccanismo che aveva generato l’evoluzione capo-guida. Diventa statico, fermo, rigido. E oggi più che mai il mondo è dinamico, veloce, elastico.
A volte quando penso a uno che guida mi viene in mente l’immagine di un gregge di pecore che seguono un pastore verso un prato: gli togli il pastore e non sanno nemmeno trovare un posto in cui mangiare.
Quindi, che si fa?
Prima il leader era un condottiero, perché era necessario guidare dal vecchio al nuovo mondo, fornendo un nuovo equilibrio e quindi una nuova stasi, dando regole di comportamento e quindi garantendo nuovo “giusto” ordine. In sostanza la sua attività era legata alla conduzione (gestione?) di persone.
Ma nel nuovo mondo il leader deve costruire a suo volta nuovi leader, in grado di auto-gestirsi, auto-motivarsi, auto-crearsi.
Cosa vuol dire essere leader
Per far ciò che questo accada è necessario essere coerenti, tenaci, ispirativi. Nel farlo devono tendere a raggiungere un risultato senza precedenti, cioè fare in modo che la missione dell’azienda diventi la missione di se stessi.
Per questo il leader che guida è uno sbaglio
Il leader che guida è uno che prepara la minestra pronta, e se non cucina lui, purtroppo, non lo fa nessuno. Per questo la soluzione corretta è il leader che ispira l’auto-motivazione, che premia l’apprendimento prima del risultato, che sa estrarre il potenziale.
Coach
Mentre scrivo queste righe, per me, è inevitabile pensare a una parola molto in voga – e anche troppo abusata di questi tempi – che suona così: COACH.
Questo termine, che deriva dall’inglese “carrozza” – se sali sul Frecciarossa noterai che ogni carrozza viene denominata “coach” – è la chiave e racchiude proprio quei tre concetti di ispirare, premiare l’apprendimento, estrarre il potenziale.
Attenzione tra leader e coach
Attenzione però!
Se ispiri e basta, diventi un mentore.
Se favorisci solo l’apprendimento, diventi un insegnante.
Se ti limiti al solo potenziale, diventi un teorico.
Non leader ma COACH
Ma se fai tutte queste tre cose insieme allora diventi un Coach con la C maiuscola, favorendo le capacità di ognuno di auto-generazione della propria leadership.
Comunica.
Osserva.
Ascolta.
Human2Human.
Mescola bene gli ingredienti, renditi consapevole che ogni persona è diversa da un’altra, che ciò che va bene per uno non può andare bene per tutti. Perché non esiste la ricetta magica, altrimenti sarebbe come dirti di preparare tiramisù per tutti senza considerare che qualcuno potrebbe preferire una crostata di lamponi o essere allergico alle uova.
Buongiorno Luca, le tue parole fanno riflettere ed ho cercato di capire se anche io, nel mio piccolo contribuisco ad essere un bravo coach e sono giunta alla conclusione che lo sono a metà.
In questi anni, dove i posti di lavoro sono pochi e, la maggioranza delle aziende cerca di sostituire il “parco macchine” a fronte di contratti più vantaggiosi per loro, mi chiedo se insegnare agli altri le proprie competenze sia vantaggioso.
Mi spiego meglio.
Se una persona, dopo anni di esperienza maturata in un settore specifico, dovesse rivelare tutti i segreti, che le hanno permesso di ottenere una buona posizione, prima della pensione, credo rischierebbe di essere scalzata dal nuovo semplicemente perché all’azienda conviene da un punto di vista monetario e di flessibilità.
I ” vecchi lavoratori”, di cui faccio parte, con contratti solidi sono un peso economico per le aziende che preferiscono quelli a chiamata o a termine privi di ogni tutela e agevolazioni, quindi se ne avessero la possibilità userebbero volentieri ogni mezzo pur di eliminare il problema.
Qui entra in campo il mobbing, sottile stratagemma che rende un lavoratore come una larva e difficilmente si riesce a dimostrare in sede legale.
Questo argomento mi tocca particolarmente perché sono anni che lo subisco. Tu mi chiederai perché non ho cambiato lavoro e la risposta è per la famiglia (orari, busta paga, mansioni).
Conosco la tua esperienza, ma non tutti hanno le capacità per potersi reinventare come hai fatto tu.
Concludendo, è bello poter condividere il proprio sapere per formare gli altri, ma solo se alle spalle c’è un’azienda che ti rispetta altrimenti ti aggrappi con le unghie e con i denti pur di sopravvivere.
È sempre bello poter leggere i tuoi articoli e potermi confrontare con un punto di vista diverso, grazie.
Saluti Martina Bianco