Stiamo avvicinandoci al terzo anniversario dell’arrivo del Covid e della pandemia, e il nemico è ancora forte: il virus variante c’è, l’infezione ci contagia, si soffre e si muore. Insomma, non è finita; è calata, ma di poco, la paura che non è sicuramente emotiva: ci sono in tutta evidenza i fatti pubblicati nelle cronache quotidiane, e il virus è sempre letale. Legato a questo anniversario c’è un evento socioculturale che ci rincuora: Brescia e Bergamo hanno inaugurato l’Anno della Cultura di cui sono le protagoniste. Per la prima volta, due città insieme, e si capisce: sono legate da un vincolo “di dolore e rinascita” come ha bene sintetizzato il presidente Mattarella, due città simbolo della devastante potenza dell’infezione: 10.140 morti nell’attacco del Covid 19 alle due province, e saranno ricordati con altrettanti rintocchi delle campane il prossimo 18 marzo, giorno di memoria e di passione.
Le due città con-fuse nel titolo di unica Capitale della cultura, dove cultura è intesa come cura, sicché le celebrazioni diventano un “itinerario terapeutico” (bellissima definizione di Marzio Breda), un modo di “ammassare riserve contro l’inverno dello spirito”, grazie alla “forza dei campanili, quella di saper unire, non dividere le energie” (ancora Mattarella). Non è il campanilismo, così negativo nella sua chiusura, ma è la forza di una comunità vivente.
Le campane delle chiese di Bergamo e Brescia suoneranno per tutti, voce cadenzata che viene da lontano e lega anche noi nel ricordo e nella meditazione.
Voce del verbo invadere
Quante invasioni ci riguardano, quanto mondo c’è nei nostri pensieri e nella nostra “società dell’infodemia”, dell’informazione forzata come sarebbe meglio definire il fenomeno mediatico? Sono molte, e le più recenti sono ancora in corso.
Dal Covid in poi, quando siamo stati colti di sorpresa, si è installata nel nostro vocabolario quella parola che sottintende vari e differenti aspetti della realtà: l’invasione del virus mutante, chiamato anche l’alieno invisibile, ci costringe alla difesa perché viviamo i suoi effetti collaterali come isolamento, ricoveri, paure, malattie dell’anima, e troppo spesso la distruzione fisica dei corpi….
Un’altra invasione, anch’essa inattesa e devastante, è questa guerra all’Ucraina che ci contagia a distanza con le armi… della comunicazione, armi speciali, fatte di racconti e di immagini continue, cioè un bombardamento a tappeto sui nostri già fragili nervi.
E c’è quella meno percepita, ma velenosa e su scala grande, anzi grandissima: la plastica come rifiuto. Nel loro recente saggio Il giro del mondo nell’Antropocene, Telmo Pievani e Mauro Varotto (Raffaello Cortina editore) delineano la minaccia planetaria: una volta che i rifiuti di plastica entrano nell’oceano attraverso i fiumi, vengono frantumati dalle onde e ridotti in particelle inferiori ai 5 millimetri.
Sono le microplastiche che si diffondono ovunque, nelle acque, nel terreno e nell‘atmosfera ed entrano nella catena alimentare. Cioè noi le inghiottiamo, correndo gravi rischi di contrarre malattie e perfino di mutazioni genetiche! Ricordiamo, come ammonimento, che nell’oceano Pacifico si è formata una gigantesca isola di plastica, il “Vortice del Pacifico settentrionale” (pag. 189) che galleggia sulle rotte dei traffici intercontinentali: schiuma della civiltà umana.
Picasso e la bellezza
Certe notizie a volte si rintanano nelle pagine interne dei giornali o periodici da cui emergono a sorpresa e trovano il nostro consenso. Come questa: “Abbattere, il bello di demolire la bruttezza”. A Mondovì, la Fondazione Crc di Cuneo ha investito milioni per cancellare edifici fatiscenti che deturpano il paesaggio: una iniziativa civica, non solo di buon gusto, che ripulisce i luoghi di vita da strutture in cemento degradate o mai finite, da discariche a cielo aperto (qui andrebbe un elenco ad libitum, da nord a sud).
Nel progetto piemontese emerge una filosofia, che è riassunta da una frase attribuita a Picasso: “Ogni atto di creazione è, prima di tutto, atto di distruzione”. Parola di un grande artista del xx secolo, però ci si può fare un pensierino….
Io aggiungerei una pratica medievale, quando si raschiavano le pergamene cancellando così il testo latino per scriverci cose nuove.