Un’amica lascia la città dove ha vissuto con il marito e dove sono nati i suoi figli e poi la lunga vedovanza: non fugge, si sposta; va a vivere in una città più piccola e vicina a uno dei suoi “ragazzi”. Non sarà più sola ad affrontare la vita. Alla sua età, che conta molti anta, “la casa è troppo grande per una persona sola, e si sente il vuoto, e poi, si capisce, la salute…”
Ascoltandola quando incontra gli amici e annuncia la novità che la riguarda, quello che colpisce è il “problema” che la angustia: l’appartamento da svuotare.
Un poeta contemporaneo ha scritto: “Quando di noi si parlerà al passato / anche le cose saranno parole / e ogni stanza sarà un racconto… “
Si sente che l’autore si riferiva all’ultimo viaggio di una persona, ma il tema del nostro rapporto con le cose ci riguarda e ci prende tutti, anche i sopravvissuti cioè persone che restano sole: le cose che rivestono il nostro spazio personale, diventato per molti un nido solitario e silenzioso, affrontano il trasloco a ranghi ridotti. Ecco spiegata l’ansia di quella concittadina: la nuova casa “non è un’arca”, l’appartamento che l’aspetta è più piccolo di quello vissuto e non va riempito alla rinfusa, accatastando, trasformando un’abitazione in ripostiglio o magazzino: bisogna scegliere, cioè – brutalmente – eliminare.
Mettere le mani nelle cose che hanno accompagnato gran parte della nostra vita e cercare di dar loro un nuovo ordine, una relazione sia pure spartana cioè un disegno nel quale la persona umana è il magnete. Si sente dire che l’arredamento è il vestito della casa, ma sappiamo bene che c’è dell’altro: è “la roba”, cioè l’insieme delle cose legate con robusto filo di sentimento alla vita.
E torna alla mente una novella di Giovanni Verga dove è detto che “la roba vuol stare con chi sa tenerla e non la sciupa”. Il distacco può essere lacerante. Perché, vivendo tanti anni con le “cose di casa”, abbiamo finito per metterci un po’ della nostra anima.
Necessità e passione
Qualcuno si è meravigliato che il presidente francese, in un discorso ufficiale, abbia detto questa frase: “Chi avrebbe potuto prevedere il cambiamento climatico e il suo impatto?” Incredibile, ma vero.
Infelice battuta, che lascia esterrefatti non solo i militanti ambientalisti, che conoscono la verità, ma anche la massaia del villaggio più remoto di Francia… L’allarme è scattato da decenni, e proprio in francese, nel 1990, cioè più di trent’anni fa, è uscito un libro che nella traduzione nostrana suona così: 5000 giorni per salvare il pianeta a cura del benemerito Touring club italiano e dell’editore Zanichelli (Bologna 1991).
Si sapeva, dunque, eccome! C’erano i documenti e la scienza che li produceva. Si prefigurava e si temeva il disastro ambientale, e già si parlava con gravitas del degrado in cui stava scivolando il nostro mondo: voci di profeti inascoltati? Tenebrosi scenari di una setta dogmatica? Era la voce accorata della scienza.
Nonostante le bugie dei politicanti smemorati, e gli interessi occulti e palesi, oggi la parola ecologia circola anche nell’empireo dei potenti della Terra (i colleghi di Macron). Ma è a livello popolare che dentro quella parola si agita un problema di coscienza mentre si sta diffondendo la consapevolezza di una necessità epocale e, in parallelo, si rivela una passione (Greta e i giovani, per esempio).
Un ricordo
Sono tre le materie in via di esaurimento nel mondo: il carbone, il petrolio, il gas. Tutti “prodotti” di nostra Madre Natura insieme ad aria e acqua: li distingue l’origine naturale. A proposito di gas, l’Anonimo ricorda l’euforia che accompagnò l’estrazione del metano nelle campagne del Polesine di Rovigo negli anni Cinquanta-Sessanta: d’improvviso, nel sottosuolo di una terra classificata come “area depressa” e dunque scarsa di lavoro e ahimè segnata dall’emigrazione, si scopriva una “ricchezza” inaspettata, fonte di lavoro in tempi grami.
Si vedevano ovunque le torri di perforazione, il flusso d’acqua che accompagnava l’estrazione, forme tecnologiche nuove nel paesaggio: c’era un impianto perfino nelle vicinanze della piazzetta di San Marco, la minuscola frazione del mio paese dove facevano da quinta il magazzino Culatti per la lavorazione dell’aglio, la chiesetta dedicata all’evangelista e la drogheria-osteria Turolla: il vecchio e il nuovo, ovvero il sacro e il profano raccolti in pochi metri quadrati che, con l’aggiunta del metano nel piccolo spazio agreste, facevano sognare un po’ di sicurezza.
Non sapevano, i fiduciosi polesani, che quell’emungere milioni di metri cubi di gas sotterraneo aveva un costo… salato, cioè l’abbassamento del terreno, chiamato subsidenza, che consente al mare di entrare nel Delta – ambiente bellissimo e fragile – e di insinuarsi nel Po per chilometri, e questo si chiama cuneo di salsedine, veleno per l’agricoltura.
Con decisione ahimè tardiva, i pozzi metaniferi sono stati alla fine chiusi, e con loro il sogno di molti polesani. Ma questo si sa: i sogni sono volatili. Come il gas.
Evapora il tempo
(poesia)
Evapora imprevedibile il tempo
ad ogni albeggiare
come la densa rugiada
della nostra età.
Evapora sonnolento il tempo
come il tuo respiro
alle prime luci
del nostro risveglio.
Evapora fuggitivo il tempo
come le lacrime
dei brutti sogni
e lascia ceneri di anniversari
nell’eco di cerimoniosi addii.
Anonimo, 2023
Grazie Ivo!!!
Chiara
Grazie Ivo per i racconti e per le riflessioni importanti a riguardo dell’ambiente… Ti leggo sempre con vero piacere.
Un affettuoso abbraccio
Rina