Dopo la mostra “Gioielli e Amuleti. La bellezza nell’Antico Egitto”, al Museo del Gioiello nella Basilica Palladiana di Vicenza, è in corso l’esposizione ancillare di quella che ha per titolo “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, curata da Christian Greco (Direttore del Museo Egizio di Torino), Corinna Rossi, Cédric Gobeil e Paolo Marini, allestita nel Salone superiore della stessa Basilica. Entrambe si potranno visitare fino al prossimo 7 maggio.
Torino a Vicenza
È il caso di dirlo subito in apertura: la stragrande maggioranza dei pezzi esposti (ben centosessanta su centottanta) proviene dal Museo Egizio di Torino, cui si aggiungono alcuni reperti prestati dal Museo del Louvre di Parigi. Nulla di sensazionale: ostraka (cocci lavorati, di cui uno presenta un’intima scena di allattamento), spatole, un peso in calcare, uno stampo per perline di faïence, un bastoncino per il tracciamento, fili a piombo, un accendino e una lampada. Il materiale fa della mostra una sorta di appendice o di costola temporanea (e piccola, considerata la ricchezza custodita nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze) del Museo Egizio di Torino.
La Basilica e l’Egitto
Iniziamo dallo scenografico colpo d’occhio che il visitatore ha sull’interno della Basilica. Il progetto dell’allestimento è dello Studio Antonio Ravalli Architetti, la realizzazione di MIMEC, mentre l’allestimento dei reperti è curato da Marco Rossani e Roberta Accordino del Museo Egizio.
Se mi passate la battuta, l’illuminazione presenta ombre e luci. Alcuni pezzi e diverse didascalie non sono perfettamente illuminati, mentre altri reperti sono qui più visibili e godibili che a Torino, come per esempio la Stele dedicata da Smen, al fratello Mekhimontu e a sua moglie Nubemusekhet (XVIII dinastia). Le teche hanno un’illuminazione “da gioielleria” (siamo a Vicenza, d’altronde).
La guida del direttore
I pannelli di sala sono piuttosto sintetici, ma compresa nel prezzo del biglietto (salato: 13 €; va detto che l’ingresso all’Egizio è passato a 18 €, che scendono a 13 € per chi possieda il biglietto di una delle due mostre vicentine) c’è un’audioguida ben fatta che si può scaricare dal sito dell’esposizione. Consiglio dunque di ascoltare la panoramica – con diversi approfondimenti – dello stesso direttore Greco, della durata di circa un’ora, prima di visitare la mostra. Alcune didascalie sono “firmate” dagli egittologi di Torino, in particolare quelle sui papiri, curati dalla dottoressa Susanne Töpfer.
L’Egitto in un percorso
Apre il percorso espositivo una statua raffigurante la dea Mut, datata agli inizi della XIX dinastia che presenta sul retro un’invocazione al sole nascente. Il viaggio si chiuderà ad anello con la Stele dedicata a Ra-Harakhty dal disegnatore Pay, della stessa epoca, in cui nel registro inferiore compare un inno al sole nascente.
In mezzo papiri, vasi, steli, statue (come quella di Ramesse II seduto tra il dio Amon e la dea Mut, uno dei pezzi più belli in mostra) e statuette (come quella votiva della regina divinizzata Ahmose Nefertari), ushabti (i miei preferiti sono quelli di Seti I), un paio di sarcofagi (quello di Khonsuirdis e quello della Signora della Casa Tariri, entrambi datati alla XXV dinastia).
La vita dell’Egitto
E ancora: un pomello in faïence con il cartiglio del faraone Ay (il successore di Tutankhamon), una lira a bracci asimmetrici, ma anche modellini di tombe, alcuni vasi micenei a staffa e degli esemplari di “vasi imitanti”. La didascalia di quello di Amennakht (una curiosità: la datazione indicata in italiano non coincide perfettamente con quella in inglese) recita così:
I vasi imitanti sono contenitori in argilla o legno decorati in modo da sembrare fatti in altro materiale come la pietra o il vetro. Probabilmente il significato era simbolico e magico: riprodurre per l’eternità il contenuto di questi vasi per il defunto”.
Il focus della mostra sull’Egitto
Il focus della mostra è sul villaggio di Deir el-Medina, in cui abitavano gli operai, gli artigiani e gli artisti impegnati a realizzare le tombe dei sovrani. Lungo il percorso un pannello indica l’aspettativa di vita media di un antico egizio, comparandola a quella di un italiano di oggi: 30 anni contro 80! Una rapida ricerca in internet consente però di allargare il confronto, fornendo alla riflessione altri dati interessanti. Nel 1960 nell’Egitto di Nasser l’aspettativa di vita era di circa 45 anni, mentre oggi (dati 2020) sfiora i 71 anni, una media raggiunta da noi negli anni Settanta.
Vita e morte
La mummia Il percorso conduce al reperto che, forse più di altri, ispira una riflessione profonda sulla dicotomia vita-morte: la mummia con sarcofago di Tariri. Come contrappunto finale, questo percorso materiale nel regno dei morti culmina con l’esperienza immateriale immersiva che narra la storia della sepoltura dello scriba Butehamon e dell’ultimo viaggio del defunto. I visitatori attraversano un’installazione di videomapping realizzata sulla riproduzione in stampa 3D del suo grande sarcofago, che svela i segreti che conteneva e dà vita al racconto di questo incredibile reperto.