L’aggiunta del “merito” alla denominazione del Ministero dell’Istruzione ha suscitato un dibattito che ha richiamato ampio interesse. Secondo la Treccani il merito è frutto di uno scambio: le proprie opere o le proprie qualità acquisiscono l’onore, la stima, la lode, oppure una ricompensa (materiale, morale o anche soprannaturale). Tutto questo in relazione e in proporzione al bene compiuto e sempre sulla base di un principio etico universale.
Merito e meritocrazia
La meritocrazia in una società liberale dovrebbe essere il criterio di scelta per avere nelle diverse attività umane persone preparate, responsabili e dall’agire morale. L’obiettivo è favorire lo sviluppo nella società della giustizia sociale.
Nella realtà le cose sono un po’ diverse. Sandel, filosofo americano che si è occupato della meritocrazia, ha una posizione nettamente contraria. Considera la meritocrazia un tiranno, un’ingiustizia che induce a dimenticarsi che, nella maggior parte dei casi, sono la fortuna e la buona sorte a decidere il successo delle persone.
Se non bastasse il merito?
Pesano particolarmente i punti di partenza, la famiglia dalla quale si nasce, la qualità delle scuole che si frequentano, dalla fortuna e dalla buona sorte se ti accompagna o meno. A tal proposito, Sandel vede proprio la fortuna e la buona sorte come sinonimi di disponibilità economica. Le università americane della Ivy League hanno una percentuale più ampia di studenti ricchi. Avere alle spalle una famiglia danarosa, potente, conduce verso scelte precise sull’educazione e sui luoghi in cui riceverla, significa avere viaggiato di più, avere accesso ad un giro di contatti che facilitano la carriera.
Il merito di crederci
A me la meritocrazia fa ricordare l’ascensore sociale, forse modesto, che esisteva ai miei tempi che aveva allora permesso a parecchi giovani di famiglie non abbienti di salire nella scala sociale. Un meccanismo che si avvaleva di alcune condizioni di partenza. Innanzitutto il ruolo della famiglia che, sebbene in precarie condizioni economiche, riusciva con tanti sacrifici a far studiare i figli o almeno quelli che sembravano più dotati, “più disposti a stare sui libri”. Venivano previlegiate le iscrizioni agli istituti commerciali, magistrali o tecnici, non certo ai licei che erano il passaggio obbligato per continuare gli studi, all’università.
Questi istituti davano, invece, la possibilità, con il diploma conseguito, di entrare nel mondo del lavoro: banca, scuola, settore pubblico o imprese private. Talvolta questi diplomati si iscrivevano all’università part time, avendo già un lavoro. Altri diplomati, invece, proseguivano il percorso universitario all’epoca limitato ad alcune facoltà, ma una decina di anni dopo venne aperta la possibilità, per questi diplomati, di iscriversi a quasi tutte le facoltà.
Ricordo un’altra condizione di contesto che ho conosciuto all’università
Più di una istituzione bancaria e associativa davano borse di studio. Ca’ Foscari istituì un collegio a Ca’ Dolfin, aperto a giovani con ottimo curriculum scolastico, ma di modeste condizioni economiche. Si offriva loro vitto e alloggio. Tra i professori più d’uno era sensibile ad aiutare gli allievi fornendo i libri di testo o cercando, per i più bisognosi, impieghi temporanei che conciliassero studio e lavoro.
Ecco alcuni spunti dal passato utili per rilanciare la formazione e la competenza indispensabili come non mai nel mondo d’oggi