Produrre un chilo di radicchio costa oggi all’agricoltore 55, 60 centesimi al chilo, a fronte di una vendita all’ingrosso ad un prezzo che si aggira sui 15 centesimi! La tempesta perfetta del 2022 travolge in particolare l’agricoltura di Chioggia tendenzialmente votata alle orticole. A mettere a repentaglio colture specifiche come il radicchio di Chioggia Igp o colture tradizionali come carote e patate, un mix di emergenze: la siccità durata dodici mesi, un caldo assolutamente anomalo tra ottobre e novembre, costi energetici impazziti.
Siccità straordinaria, a luglio impossibile la semina delle carote
“Ho cinquant’anni e non ricordo una siccità di questa portata, quando è cominciato a piovere a fine novembre, l’acqua veniva assorbita immediatamente: non ho mai visto la terra così assetata!”, il commento è di Michele Bellan, imprenditore agricolo di Chioggia. “L’inverno del 2022 è stato completamente privo di piogge e durante l’estate poi il caldo soffocante ha messo a dura prova i nostri campi – continua Bellan. – A luglio dovevo fare la semina delle carote, ma non è stato possibile per la mancanza d’acqua, così è saltato il raccolto di autunno”.
L’azienda di Bellan comprende alcune decine di ettari coltivati a carote, patate, radicchio di Chioggia Igp, oltre che a seminativi come soia e mais.
A novembre il raccolto del radicchio anticipato venduto a 8 centesimi
“Anche per quanto riguarda il radicchio siamo in grande anticipo sui tempi naturali di questa coltura – riprende Bellan. – Il caldo assolutamente anomalo di ottobre, protratto fino a metà novembre, ci ha costretti ad anticipare di un mese il raccolto e ai primi di novembre abbiamo venduto quello che doveva essere il raccolto di dicembre ad un prezzo tragico di soli 8 centesimi al chilo, tra i più bassi di sempre! Adesso sono arrivate le piogge e inizia il freddo e stiamo già raccogliendo il raccolto di dicembre/gennaio. Il radicchio ha bisogno del freddo, perché soltanto così la pianta si contrae e produce quel magnifico colore rosso”.
Senza sbarramento, danni da salinità irreparabili alle colture del radicchio
A Chioggia la siccità straordinaria è stata accompagnata anche dalla risalita del cuneo salino nei corsi d’acqua dell’entroterra, rendendo così impossibile una adeguata irrigazione per molti raccolti che sono andati perduti. “Abbiamo convocato i tecnici regionali perché possano constatare quelli che noi chiamiamo danni da salinità – sottolinea Nazzareno Augusti, segretario di Confagricoltura Venezia nella zona di Chioggia. – Il fenomeno si è verificato a macchia di leopardo, ma purtroppo molti agricoltori si sono trovati con l’acqua marina risalita fino a 10 km in fiumi e corsid’acqua dolce. Da troppi anni attendiamo l’opera di sbarramento del cuneo salino, che subisce continui ritardi e impasse burocratici, nonostante i nostri drammatici appelli”.
Agricoltura insostenibile nella morsa di meteo e rincari
Anche per il presidente di Confagricoltura Venezia, Marco Aurelio Pasti, “lo sbarramento del cuneo salino è un’opera urgente e necessaria, non è pensabile abbandonare gli agricoltori di quest’area in balia del cambiamento climatico che, oltre ad un meteo sempre più estremo come caldo e siccità di quest’estate, sta portando ad un progressivo innalzamento del mare Adriatico ”.
Problemi per i produttori di radicchio
“Siamo sempre noi produttori a pagare sulla nostra pelle. Tra dieci anni non sappiamo chi continuerà a coltivare i campi. E l’agricoltura rischia di sparire, perché non è più sostenibile – aggiunge Bellan. – Anche i costi dei rincari energetici sono stati scaricati completamente su di noi dalla grande distribuzione e dai grossisti. I prezzi al supermercato aumentano. Ma il nostro prezzo di vendita all’ingrosso scende a livelli insostenibili. Mentre i costi di produzione, dal gasolio per i trattori ai concimi aumentano al punto da essere più che raddoppiati”.
A rischio la produzione locale di radicchio, raccolti per occupare i dipendenti
Diventa purtroppo sempre più probabile, in prospettiva, una produzione agricola locale più rallentata. E ridotta fino a diventare residuale, con la conseguenze di una pressoché totale dipendenza alimentare dall’estero. “Io sto lavorando per occupare i miei dipendenti stagionali, che da dieci anni sono con me. Quest’anno le spese di produzione superano di molto gli introiti, ma se perdo i miei lavoratori con cui ho instaurato un rapporto di fiducia e che sono per me il fulcro dell’azienda, cosa faccio? – conclude Bellan. – E così si va avanti, con la paura di poter vedere un giorno un territorio privo dell’agricoltura. Ma anche con la speranza di una ripresa e di condizioni migliori, finché resta anche la passione per la terra”.