Se n’è andato in punta di piedi senza disturbare nessuno, con la riservatezza del gran signore che era. E solo adesso che non c’è più, rispolverando negli archivi ci si rende conto di quanto la sua vita sia stata importante. Perché nel mondo del giornalismo veneto e nazionale degli ultimi cinquant’anni lui è stato un protagonista assoluto, capace di coniugare l’impegno professionale con l’aiuto per gli altri senza stancarsi mai. Un esempio sicuramente difficile da imitare, ma di cui sapranno sicuramente far tesoro tanti giovani colleghi che non l’hanno mai conosciuto. Gabriele Cescutti, ottanta anni, giornalista senza macchia e senza paura, l’uomo alla cui intransigenza perfino gli editori hanno sempre riservato l’onore delle armi, è morto nella sua Venezia dove era nato e dove aveva compiuto i primi passi nella professione.
La storia di un gran giornalista
Cresciuto senza mai aver conosciuto il padre, morto come migliaia di altri soldati in Russia, entra al Gazzettino giovanissimo. A ventidue anni è già giornalista professionista, un’eccezione negli anni Sessanta, distinguendosi subito per la serietà e la caparbietà con cui porta sempre a termine ogni servizio che gli viene affidato. E’ un tipo schivo, di poche parole, ma attentissimo come pochi alla realtà che lo circonda. Soprattutto a quella più vicina del giornalismo, che si sta liberando con fatica dai tanti lacci ereditato dal fascismo e dove serve aria nuova. Oggi è tanto normale parlare e discutere di libertà di stampa e i diritti, allora lo era molto meno perché le regole della professione andavano riscritte una per una.
Il giornalista e il sindacato
E’ in questo clima che Gabriele individua la sua strada, quella che non abbandonerà poi per tutta la vita, diventando prima uno dei fondatori del sindacato veneto dei giornalisti e ad appena ventinove anni, nel 1971, segretario del sindacato dei giornalisti delle Venezie (a cui appartenevano allora anche i giornalisti del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige). Sono anni durissimi, in cui al lavoro di redazione si aggiunge quello ancora più stressante in aiuto dei colleghi. Che vantano diritti acquisiti mai riconosciuti; anni di lavoro fatti ma che sulle carte non esistono; mesi di ferie arretrate sospese nel nulla. Senza contare i trasferimenti a bruciapelo alla prima protesta.
E’ qui che lui dimostrerà di che pasta è fatto, senza accettare compromessi, senza arretrare mai di un passo, conquistandosi il rispetto dei colleghi e degli avversari, facendo del Gazzettino la punta di lancia di un sindacato nuovo di zecca. E ad ogni rinnovo del contratto di lavoro, sempre più ricco di tutele per i colleghi, gli editori che se lo troveranno di fronte impareranno che con lui i vecchi metodi del bastone e la carota non funzionano. Forse, si dice, è anche troppo rigido. Ma lui sa benissimo che l’etica non è un ombrello che si apre solo quando fa piacere. E che la serietà alla lunga paga sempre. Gabriele, comunque, è così, prendere o lasciare, e in questo ci sono tutte le sue radici di antico carnico abituato alle sfide.
Percorrere passo su passo quegli anni sarebbe comunque troppo complicato
Basti dire che oltre al lavoro di caposervizio nella redazione impaginazione del Gazzettino, ogni giorno, sacrificando la sua vita privata, è sempre disponibile negli uffici del sindacato e dove la sua presenza si rende necessaria. Ma non si limita a questo, il suo apporto negli istituti della categoria con la maturità cresce sempre più d’importanza. Diventa vicesegretario nazionale della Federazione della stampa, il sindacato nazionale dei giornalisti; consigliere d’amministrazione della Casagit, la cassa sanitaria integrativa. Ormai il suo nome, la sua abilità nel risolvere anche i casi più difficili sono diventati una garanzia e le sue capacità non sono più solo un patrimonio del giornalismo veneto, ma di tutti.
E’ per questo che, sul finire degli anni ’90, in riconoscimento delle sue doti di grande organizzatore e uomo integerrimo, i giornalisti italiani gli affidano il controllo delle loro pensioni
Gabriele viene così eletto presidente dell’Inpgi, l’istituto di previdenza appena privatizzato, che va rinnovato dalle fondamenta. E’ un compito delicato a cui si dedicherà per dieci anni, curandone con rigore i bilanci e difendendone con puntiglio l’autonomia minacciata da tante parti. Lui sa che sta affrontando la sfida della vita e fin che sarà al timone di quel glorioso istituto, nato nel 1926, i giornalisti rimarranno padroni delle loro pensioni. Dopo, nuvole nere si addenseranno sul cielo dell’istituto ed in meno di vent’anni i suoi successori faranno poi confluire tutto all’Inps. Ma questa è un’altra storia.
Un giornalista con la G maiuscola
La sua, dopo la pensione ed il Premio alla carriera che gli viene conferito dall’Ordine veneto, si conclude con un tramonto pieno di malinconia. Tornato stabilmente a Venezia, ridotti al minimo gli impegni con la Casagit, gli viene a mancare improvvisamente la moglie a cui era legatissimo. Era malata da tempo, ma non se l’aspettava che lo lasciasse proprio adesso che finalmente poteva starle sempre vicino. Per lui fu un colpo durissimo da cui non s’è mai più ripreso, perché ha cominciato anche lui a morire da quel giorno, chiudendosi, piano, piano, in se stesso. Chi ha avuto la fortuna di averlo avuto per amico sa che fino a poco tempo fa, ogni giorno, pioggia, sole o vento, lo si poteva incontrare sul battello diretto a San Michele. Lì vicino alla tomba della moglie si sedeva su uno sgabello e parlava con lei. Non aveva bisogno d’altro e sognava solo il giorno in cui l‘avrebbe rivista.
Un giornalista, un esempio
Adesso che finalmente riposa in pace sta a noi raccoglierne la grande eredità e seguirne l’esempio. Non sarà facile. Il sindacato dei giornalisti ha già fatto sapere che dedicherà alla sua memoria la nuova sede. E’ già qualcosa. Noi potremmo, per cominciare, riprendere a tenere le nostre schiene dritte come chiedeva Ciampi, un indimenticato presidente della Repubblica. E come Gabriele ha fatto per tutta la vita.