“Ti ammazzo”, “Ti mangerei viva”. Si diceva così fra parenti o amanti, ed era un parlare figurato, iperbolico e innocuo. Oggi, frasi come queste non si possono nemmeno pronunciare per scherzo: da metafore si sono convertite in cronaca nera. Un vento leggero che soffia nelle vele del navegar quotidiano ci sta portando fuori rotta? Il rischio c’è, e si chiama degrado progressivo. E significa tante cose.
Stiamo perdendo i freni morali? Stiamo sfuggendo alla responsabilità nei confronti degli altri? Stiamo spianando la strada a una forma di indifferenza pandemica?
Domande, domande…
Dal mare, intanto, diventato cupo scenario di naufragi e profondo cimitero senza tombe, ci arrivano sempre più spesso migranti inermi, sospesi in un presente senza radici: sono gruppi di bambini e ragazzi lasciati andare dai loro genitori, cuccioli d’uomo “affidati alla sorte”, indifesi e ignari del mondo che li attrae con i suoi miti, e con gli orchi in agguato.
Che destino li aspetta?
Domanda drammatica. Eppure si può rispondere così: la “sorte”, su questa sponda del Mediterraneo, non è cieca: i soccorsi italiani vincono anche il degrado morale di chi abbandona le proprie creature alle onde del destino: possiamo dire a voce alta che la civiltà sta operando di giorno e di notte, sempre, in mezzo alla disperazione estrema. Nonostante tutto.
I muri urlanti
“L’arte è partecipazione”. Così un giornalista italiano ha commentato la pubblicazione, sui giornali, dei murales di (e attribuiti a) Banksy: sono immagini di vitalità gioiosa, cioè sfide alla morte di guerra dipinte su frammenti di muri integri in mezzo alle macerie di abitazioni civili. La location: una cittadina dell’Ucraina bombardata dai missili di Putin.
Dunque, Banksy, l’invisibile creativo della street art, ha reagito ancora, partecipando con le sole armi del cuore al dolore di un popolo aggredito in patria da un nemico spietato: le sue “apparizioni” disegnate sulle facciate di case sventrate, emergono con la propria forza espressiva dal grigiore quotidiano e dalle nebbbie dell’indifferenza, e ogni volta – ovunque egli agisca – rivelano una situazione critica o drammatica. Le sue opere sono come urla nel silenzio.
Ah, i muri “scritti”! Ci sono stati una volta i cartellonisti del regime fascista che hanno rivestito i muri d’Italia con manifesti giganti le cui immagini erano spesso ispirate dal razzismo imperante: anche allora i muri parlavano, ma le loro voci erano dettate da una ideologia liberticida, agli ordini di un potere oppressivo che aveva provocato una guerra di aggressione: come dire che per decenni l’arte non partecipava a grandi ideali democratici ma era “di servizio”; oggi Banksy “scrive sui muri” con immagini di forza poetica e di liberazione.
Mentre, nelle settimane scorse, nuovi e stupidi iconoclasti hanno imbrattato – senza riuscire a cancellarli – i dipinti di grandi autori, Banksy il silenzioso reagiva contro l’odio armato e contro l’ignoranza orgogliosa di gruppuscoli estremisti esaltando pacificamente il valore perenne dell’Arte nella storia umana.
Senza fiori, senza pietà
I tre femminicidi avvenuti a Roma il 17 novembre smuovono molti pensieri e sentimenti. “Per esempio, osserva N., nessuno ha lasciato un fiore come segno di pietà per quelle sventurate. Forse perché praticavano la prostituzione e questo le rendeva meno umane, meno degne del nostro rispetto? Nell’ora della morte dovremmo vedere soltanto tre donne massacrate, non il loro mestiere. Anche certi media” continua, “hanno tardato a dare rispettosa e adeguata attenzione a quelle vittime evitando, all’inizio, di scavare nelle loro esistenze precarie e tragiche: oscure. Un famoso tg della sera ha aspettato 23 minuti prima di tornare a parlare brevemente della loro tragedia: tre donne, le invisibili del condominio, assassinate da un killer seriale, sono finite in coda alla politica. Come fantasmi senza nome”.
Quel delitto ci ha rivelato una delle piaghe di questa società in crisi non solo economica: ferite che purtroppo ignoriamo o fingiamo di non vedere finché non crolla il muro ipocrita che separa “i fatti della vita” e li instrada su binari paralleli: da una parte i dannati, dall’altra i salvati. “L’adultera del Vangelo” dice ancora la signora N., “nessuno dei suoi accusatori l’ha uccisa…. Ma allora fu l’intervento di Gesù a salvarla dal linciaggio e restituirle la sua dolente umanità”.
Un appunto
(poesia)
La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo nel suo pelo caldo:
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.
Wislawa Szymborska
Da La gioia di scrivere, Adelphi edizioni 2009