Viviamo momenti difficili come non mai. La guerra e la difesa della libertà sono due aspetti confliggenti, che ci affliggono profondamente. Difficile essere sereni, tranquilli, occuparsi delle proprie cose, quando migliaia di persone muoiono per salvare il loro paese dall’invasione russa. D’altra parte, non si possono nemmeno dimenticare le altre migliaia di giovani che sono costretti a partecipare a questa guerra dall’altra parte del fronte. Aiutare un Paese aggredito è legittimo ed è doveroso dare la propria solidarietà, tuttavia, tra i nostri cittadini, cominciano a sentire più voci che anelano alla pace, a trovare almeno un cessate il fuoco che dia respiro ai combattenti, che apra alla speranza di una pace vera. Lo sentiamo forte il bisogno di pace. Ricordiamoci però quanto sosteneva Papa Giovanni XXIII: non c’è pace senza giustizia.
Non c’è pace se c’è paura
La prospettiva di un impiego di armi nucleari è devastante, rivivono antiche paure, nascono fantasmi apocalittici. Dopo tanti mesi di guerra feroce con numerose vittime e tragiche distruzioni di intere città e paesi, comincia a diffondersi, nel nostro paese, l’idea di non continuare a fornire armi all’Ucraina. Molte frange di popolazione tra cattolici e laici, esausti da questa situazione che produce paura e sgomento, hanno indetto la marcia per la pace, tenuta ieri, chiedendo altresì di interrompere l’invio di armi. Alcuni partiti si schierano con questo movimento, ma altri partecipanti non sostengono questa tesi proponendo un negoziato per la pace ad alto livello.
Un negoziato la strada da seguire
Ma a fronte di questo urgente e comprensibile bisogno sorge una naturale domanda: vogliamo che la Russia di Putin conquisti il Paese, che colpisca con ferocia, come si è visto con le camere di tortura, gli ucraini che stanno combattendo per salvare la libertà, la democrazia? A malincuore è difficile abbandonare la politica dell’Occidente. Siamo consapevoli che non è solo la difesa della libertà e della democrazia che spingono gli Stati Uniti a sostenere l’Ucraina, ma, pur con questi limiti, pensiamo che sia ancora la strada più giusta da seguire.
Dalla ricerca della pace agli effetti
Questa guerra esercita altri due effetti che ci colpiscono in modo diretto. Il primo è il tourbillon del prezzo del gas. D’accordo, aveva cominciato a crescere prima dello scoppio della guerra, ma questa ha esasperato il tutto. Dal blocco della fornitura di gas dalla Russia al sorgere della speculazione, dalla ricerca di fonti alternative al tentativo dell’Europa di affrontare il caro bollette. Anche la globalizzazione è mutata, la guerra e la pandemia hanno inciso sul flusso logistico, creando disfunzioni che si sono abbattute sulle catene di fornitura, concorrendo così ad alimentare l’inflazione esasperando la disuguaglianza che insiste nel paese.
Non c’è pace se si riaccendono le tensioni
Oltre a questo effetto sulla vita delle persone, sul loro bilancio familiare, la guerra in Ucraina e la politica bellicosa e arrogante di Putin, volta a ricostruire la Russia dei Soviet, hanno pesantemente inciso sulla geopolitica aumentando la tensione tra le grandi potenze e non solo. Tra Stati Uniti e Cina, in primis, si è riaccesa la competizione politica ed economica. E’ il confronto tra un modello fondato sulla libertà d’impresa e sul libero scambio e uno che, sulla mano pubblica e sulla “regolamentazione accentratrice”, costruisce i suoi riferimenti.
Che torni lo spirito comunitario
Anche l’Europa soffre, l’unità di intenti sperimentata con la pandemia sembra ora allentarsi per un riscoperto spirito sovranista. Si pensi alla Germania che assegna ingenti risorse per imprese e famiglie al fine di alleviarle dal caro energia senza condividere manovre comuni per conseguire la stessa finalità. Augurabile che lo spirito comunitario faccia la sua ricomparsa!