Spietati, i numeri dell’Istat ci fotografano in gruppo: vediamo, infatti, una società che da troppi anni va perdendo i pezzi (i nostri morti) e non li sostituisce (le nuove nascite). In particolare, l’Istituto nazionale di statistica ufficializza la trasformazione della forma famiglia. Dal punto di vista scientifico, basta una sola persona per essere etichettata famiglia, e queste famiglie, queste solitudini come sarebbe meglio chiamarle, sono ahimè molto diffuse: per la precisione, coprono il 35 per cento del totale. E sono principalmente donne, donne anziane in case troppo grandi per una sola persona, immerse nel flusso delle memorie e con tanti problemi propri dell’invecchiamento e del quotidiano.
Dove vada l’istituzione famiglia non è prevedibile, forse verso l’estinzione? Intanto, ci fanno sapere che c’è una popolazione parallela, quella delle bestie domestiche o animali da compagnia che addirittura ci superano. Come ha scritto lapidariamente Vittorio Filippi sul Corriere del Veneto, “calano gli umani, crescono gli animali”.
A proposito, fin dai tempi dell’Arca, per dire di un tempo remoto, “il cane e il gatto avevano adottato l’uomo, anche se lui ancora oggi pensa il contrario”. Così scrive il Filelfo poeta a pag. 62 del suo appassionante libro L’assemblea degli animali (Einaudi 2020), “e non comprende perché, ogni volta che guarda nei loro occhi, trae una sensazione di pace”.
Regalarsi… un dono
Una lettrice scrive: “Nella sua rubrica lei ha scritto spesso di poesia e di linguaggio figurato. Ebbene, sono curiosa di sapere cosa mi dice di questa frase che ho ricopiato da un articolo uscito sul Corriere della sera: Un dono da regalarsi per affrontare l’esistenza. Cosa succede alla nostra lingua? Il dono è già un regalo. O no?”
Fermo restando che le lingue sono vive e cambiano con l’uso (e quelle morte vivono nei testi tramandati) oggi indaghiamo un “pezzo d’italiano strambo”, sperando che non diventi… un gioco di parole. Perché, in realtà, senza scomodare il linguista, si tratta di un’espressione che si può accettare proprio associandola al parlar figurato di cui scrive la lettrice. Qualcosa passa come oggetto di un’azione da un soggetto a un altro e in questo passaggio cambia il verbo. In altre parole: appena ricevuto un dono (oggetto o parola) possiamo trasmetterlo ad altri, partendo da noi stessi, dunque come nostro regalo. In altre parole, forse l’autore voleva semplicemente usare un verbo sinonimico (donarsi un dono). Direi di accettare la frase come una licenza poetica.
P. S. Ma ci sono anche le iperboli (o altro), come questa del sindaco di Venezia: parlando della crisi energetica, che costringerà a ridurre se non eliminare le luminarie natalizie, il primo cittadino ha detto: “Faremo di tutto per non cadere nella paura e nell’oscurantismo”, “Non ha senso cedere all’oscurantismo e alla paura”. Due citazioni di uno stesso pensiero, stessa pagina: oscuramento del cronista? Buio a mezzogiorno…
L’isola degli incontri
Da settantun anni, a Venezia dire San Giorio significa parlare dell’isola che sta al centro del Bacino di San Marco con il suo tesoro: la Fondazione culturale dedicata a Giorgio Cini, figlio del conte Vittorio e morto giovane. Oggi la Fondazione nata dal dolore paterno, è un faro di cultura universale, ed è un tutt’uno con l’isola che fu dei Benedettini e negli anni Cinquanta dell’altro secolo è stata recuperata dal degrado che ne aveva offeso la bellezza architettonica e il valore storico-spirituale.
Oggi “è importante che la Fondazione sia percepita come parte di Venezia, non come luogo elitario” ha detto il presidente Giovanni Bazoli. San Giorgio, ha aggiunto Renato Brunetta, “è essenziale per coniugare il mito e le basi economiche” che garantiscano il futuro della città.
L’Anonimo di queste pagine ha vissuto a San Giorgio giornate indimenticabili e ha fatto incontri di altissimo livello. È stato bello dialogare con Max Horkheimer, per esempio, o con Jean Starobinski, e con Edgar Morin, oggi ultracentenario: voci di giganti del pensiero contemporaneo che echeggiano nel ricordo come, allora, nel silenzio dei chiostri.
So soltanto…
(poesia)
So soltanto che era un soldato
con un paio di scarpe nuove
che accanto gli stavano
a vegliarlo giorno e notte.
Aveva una fucilata nel petto
e ogni volta che tossiva guardava
con ceruli occhi le scarpe
che vegliavano come cani
la branda dell’infermeria.
Morì alle cinque del mattino
dicendo queste sole parole:
“Mettetemi, amici, le scarpe,
è venuta l’ora di andarmene”.
Morì alle cinque del mattino
con gli occhi rivolti alle scarpe.
Raffaele Carrieri
Da Lamento del gabelliere