E’ possibile dipingere lo stesso quadro per tutta la vita? E’ il caso di Franz Kline, action painter, esponente dell’Espressionismo astratto e dell’informale. Amico di Willem de Kooning a cui deve l’approdo a un’originale intuizione che, altrimenti, sarebbe rimasta lettera morta. Ebbene è possibile se dietro a un segno apparentemente slegato si cela un alfabeto strutturale che definisce la realtà. La vita di Kline nasce già segnata dal dolore e dalla solitudine, e l’utilizzo della parola segno cade quanto mai azzeccata. E’ un orfano che per tutta la vita rincorre un nido che possa spazzare la sofferenza che sembra animare le sue opere.
La storia di Kline
Malgrado le difficoltà iniziali Franz Kline si forma alla Boston University e successivamente alla Heatherly’s Art School di Londra. Le sue opere, di dimensioni imponenti, sono il frutto di numerosi studi preparatori, anche se si immagina che gesti così impazienti e, a tratti violenti, sulla tela siano frutto di improvvisi sprazzi di emotività. Tuttavia, per l’artista statunitense non è così. Nel suo periodo bianco e nero, lo studio del gesto e del segno si declinano a partire da un’emersione dal bianco con cui viene preparata la tela, di pennellate ampie e corpose di nero che vengono, a loro volta, soffocate da altro bianco. Il risultato è spiazzante e drammatico, la sensazione è quella di entrare in un abisso geometrico e sghembo, quasi un’altra dimensione in cui assimetria e cacofonia sono gli elementi fondamentali.
Il dramma
Il senso della progressione di questa ricerca arriva quasi all’improvviso per Kline che, nel frattempo dal Massachusetts dove viveva si trasferisce a New York alla fine degli anni ‘50. Con lui c’è Elizabeth Vincent Parsons, la ballerina inglese che nel frattempo è diventata sua moglie. Kline frequenta lo studio dell’amico Willem de Kooning. I due si confrontano, sperimentano, l’artista vive un dramma famigliare potente con Elizabeth che si ammala di depressione, che ogni giorno scompare un po’, l’epilogo e la diagnosi sarà schizofrenia. Franz la vede perdersi in un vuoto senza fine, ecco che la vita ritorna ad essere quel pozzo di solitudine che trova un unico sfogo nella creazione artistica.
Kline e l’ossessione di un unico ritratto
A dare corpo all’ispirazione di Kline ci pensa l’amico de Kooning il quale suggerisce, quasi rabdomanticamente, la svolta. Le decine di ritratti che Kline fa della moglie, in modo compulsivo e disperato sono il chiavistello in grado di aprire la cassaforte del successo. De Kooning chiede a Kline di proiettare il disegno di Elizabeth perennemente abbandonata sulla sua sedia a dondolo. L’immagine è un’agnizione, Elizabeth viene trasfigurata in segni primari, segni neri e pesanti che rappresentano le linee portanti della realtà che l’artista sta vivendo. Lo sfondo è un bianco accecante che costituisce il vuoto di emozioni che sta distruggendo la mente di Elizabeth e la vita di Franz. Un’astrazione segnica che diventa la cifra indentificativa di Franz Kline, un’isola in cui il naufragio dell’uomo diventa la zattera dell’artista. Franz Kline morirà a New York nel 1962 per una cardiopatia reumatica, le sue opere sono esposte nei principali musei di tutto il mondo.