“L’idea portante, che mi ha spinto a scrivere, è quella di parlare di astronomia attraverso il racconto, di aprire una finestra sulla ricerca in termini semplici, ma non banali, raggiungendo perfino le acquisizioni più recenti – afferma Marco Castellani. – Questa scelta permette di preservare l’incanto specifico della narrazione, dell’intrecciarsi di una storia, su un tessuto espressivo che viene volutamente mantenuto semplice, per garantire un accesso dolce sia ai ragazzi che agli adulti. Chi li ha già letti mi ha riportato anche un altro fattore, che è quello della trasmissione di un senso di armonia che gioca su vari piani, da quello intimo familiare a quello cosmico. In effetti è uno degli intenti principali di questo progetto di scrittura, ed è anche la ragione ultima per cui vi sono così affezionato”. Marco Castellani, astrofisico.
Perché un astrofisico come te decide di scrivere racconti? Qual è il significato della Parola?
“Scrivere non è stata tanto una mia decisione, quanto piuttosto una mia resa. Fin da quando ho memoria, ho sempre sentito congeniale il fatto di esprimermi attraverso la parola scritta, sia attraverso la poesia che la prosa. Sono affascinato dalla potenza della letteratura e questo fascino mi spinge non soltanto a leggere, ma a cimentarmi nel creare. Cerco di farlo rispettando in pieno la mia specificità, ovvero esprimendomi da un punto di vista che comprende sia la scienza che l’ambito letterario.
I due volumi dei racconti di Anita in particolare, rappresentano il luogo ove le istanze dello scienziato e quello dello scrittore trovano la possibilità di un incontro e di una conciliazione. La saggezza di uno sguardo, che è appena uscito su Amazon (anche in formato digitale), contiene sei racconti che si aggiungono ad altri sei già pubblicati qualche anno fa, nel volume “Anita e le stelle” edito da Arsenio e prossimamente in ristampa. Come i primi, questi racconti (fruibili benissimo da soli) possiedono tutti quanti un preciso sottotraccia scientifico, un chiaro intento divulgativo”.
Scienza e Parola, quale connessione per te?
“Scienza e Parola si cercano continuamente, si pongono in tensione dialettica, si scambiano doni, esistono solo in virtù di questa loro mutuo cercarsi. Poiché siamo esseri linguistici, la stessa scienza non può arrivare al nostro cuore, al nostro corpo, senza farsi parola, senza diventare racconto. Diceva acutamente la poetessa Muriel Rukeyser che l’Universo è fatto di storie, non di atomi e io credo che avesse percepito una verità fondamentale, perché niente che non sia una storia è per noi minimamente intellegibile. Questa frase della Rukeyser è anche il motto del Gruppo Storie dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ente entro il quale esercito la mia attività di ricerca e di divulgazione.
Il Gruppo Storie è giovane, essendo nato nel marzo del 2020 proprio con l’obiettivo di colorare ed arricchire la divulgazione scientifica attraverso le storie, la narrativa ed il teatro. Un campo tutto da esplorare, per riavvicinare la scienza all’umano, svincolandola una volta per tutte da ogni inutile tecnicismo. La scienza è un’avventura troppo bella per lasciarla solo agli scienziati, deve diventare di tutti. La Parola è il veicolo che possiamo usare, lavorando pazientemente perché questo avvenga”.
Sei fondatore di AltraScienza, di cosa si tratta? Qual è l’obiettivo?
Il gruppo AltraScienza intende divulgare l’immagine di una scienza aperta, morbida e in relazione feconda con ogni altra parte dell’umana avventura. I risultati della fisica moderna ci invitano con decisione a fare un passo avanti importante nel modo in cui pensiamo il mondo. A livello di coscienza ordinaria, siamo fermi ad uno schema “ottocentesco” che comprende il cosmo esclusivamente in termini di azione e reazione, in un quadro prevalentemente “particellare” della materia. Tuttavia, le più recenti acquisizioni della fisica ci parlano di un “nuovo mondo” di relazione, sfidandoci ad un rinnovamento profondo delle nostre idee.
Puoi farci un esempio del “nuovo mondo” aperto dalla fisica contemporanea? Al fondo del fondo dell’universo, qual è la chiave che tiene insieme il Tutto?
“La stessa nozione di “particella elementare” – quel “mattoncino ultimo” da cui tutto dovrebbe comporsi per agglomerazione successiva – è stata completamente destituita di senso dalle ultime ricerche della fisica subatomica, come hanno indicato con efficacia molti grandi fisici e divulgatori. Non è come pensavamo: al fondo del fondo della materia non vi è alcuna particella fondamentale, anzi procedendo via via nel piccolo ci troviamo di fronte ad uno zoo di particelle di incredibile varietà, tanto che ogni sforzo di giungere allo strato fondamentale del tutto, ha il solo effetto di generarne delle nuove.
Ciò che appare davvero come architettura fondamentale che tiene insieme tutto il resto è la relazione tra di esse: la relazione è il vero ente fondamentale su cui si costruisce tutto ciò che esiste. Questo è ben chiaro alla fisica contemporanea, ma non è ancora acquisito dalla nostra mente. Vediamo inoltre che questo nuovo modo di pensare che attraversa la fisica, si ritrova parimenti nelle altre discipline, dalle scienze della vita a quelle in apparenza più tecniche. AltraScienza si unisce dunque a tante altre realtà che avvertono la pressante esigenza di portarci ad un modo di pensare che è per molte parti ancora nuovo, senz’altro più relazionale, maggiormente in linea con i moderni risultati della scienza e con lo stato più avanzato della consapevolezza umana”.
Come astrofisico parli di natura come luogo di connessioni e interrelazioni infinite. Questa matrice “relazionale” è presente anche nel cosmo? E come si manifesta?
“Sempre molto interessante analizzare il modo in cui pensiamo il cosmo: più che rivelare qualcosa di lui, rivela moltissimo di noi. Il cosmo non è una entità “solida” ed uguale a sé stessa nel tempo, ma in qualche modo gioca con la nostra immaginazione e la nostra capacità di percezione, mostrandosi diverso ad ogni epoca. Come dicevo, la fisica moderna ci parla di relazione come entità fondamentale, introducendoci così ad una nuova radicalità, che ci disorienta, ci spiazza. Ad esempio, capire che un ente fisico non ha qualità, se non quelle che derivano dall’interazione con l’ambiente circostante, ci può lasciare senza fiato. Una cosa a sé stante – ipoteticamente estranea alla relazione con altri enti – non possiede proprietà fisiche definite, come massa, forma, colore.
Semplicemente, la fisica ci dice che non può esistere. Ribadisco, non tanto in senso filosofico, ma in senso strettamente fisico. Ecco dunque quello che a mio avviso è il vero motivo d’esistenza di discipline come la fisica, o l’astronomia! A volerle prendere sul serio, ci conducono in territori di pensiero dove il senso comune – il cosiddetto “buon senso” – non oserebbe mai portarci. Ci forzano ad aprire la mente, a considerare nuove ipotesi, a contemplare nuove realtà. Insomma, ad uscire dal guscio delle nostre vecchie abitudini, per aprirci ad un modo realmente rivoluzionario di vedere il cosmo”.
Come definiresti da astrofisico quest’epoca? Quali sono i rischi che corriamo? Quali le opportunità?
“Ci troviamo, come dice anche Papa Francesco (insieme a tanti altri accorti interpreti del nostro tempo), non tanto in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca. Questo si manifesta anche attraverso un disagio, che più o meno avvertiamo tutti: il mondo come lo conosciamo è sfinito, sfibrato. Sentiamo tutti di passare come attraverso le doglie di un parto; il vecchio mondo è asfittico, ormai defunto, ma il nuovo ancora non si vede chiaramente. Il rischio principale che corriamo, a mio avviso, è strettamente legato proprio al concetto di opportunità.
Il rischio è davvero quello di non cogliere l’opportunità straordinaria di questo tempo, di aver timore di uscire dall’ambito delle cose già viste o già dette, di non voler guardare in faccia la possibilità di fare un reale salto di consapevolezza, quel salto che ogni segnale dall’Universo sembra volerci suggerire. Il nuovo può far paura anche se ci corrisponde, e noi puntiamo i piedi, non vogliamo crescere. Invece, questo è proprio il momento di avere fiducia e di scommettere”.
Scienza e pace. Einstein e molti altri scienziati si sono schierati per la pace. Eppure una nuova guerra è scoppiata anche nel cuore dell’Europa…
“Proprio perché le regole del vecchio mondo sono quelle della contrapposizione di tipo conflittuale o addirittura bellico (ad ogni scala, da quella familiare a quella dei rapporti tra le nazioni), bisogna riconoscere che non ci viene affatto facile introdurci in questo “nuovo universo” costituito di rapporti pacifici ed armonici tra i vari enti. Non è una cosa che ci viene naturale.
A smentire drammaticamente ogni idea semplicistica di progresso quasi “automatico”, basta stare alla cronaca di questi giorni, basta osservare con che pericolosa solerzia si stia andando verso scenari di guerra sempre più preoccupanti, con tutte le parti in gioco incapaci di ammorbidire il punto di vista per incontrare realmente l’altro. Prendere consapevolezza che questo processo di crescita non è banale, che l’attitudine alla pace non è un contenuto di cui la coscienza si può appropriare, ma è un cammino in cui si può decidere di introdurci: ecco, questo è il primo passo della rivoluzione, questo è davvero l’inizio della possibile liberazione”.
Da astrofisico quale ruolo può giocare la scienza? Perché è così difficile comunicare il mistero del cosmo e la necessità della pace?
“Il cambio di paradigma è totale, in quando non è qualcosa da possedere nel senso della coscienza classica, abituata ad incamerare e fare proprie idee e concetti (esattamente come siamo abituati a relazionarci con le cose in termini di possesso). Piuttosto, potremmo dire, è qualcosa da cui essere posseduti, qualcosa che implica un lasciar andare, una resa. In sintesi estrema, transitare dal framework del domino a quello della invocazione è il compito della donna e dell’uomo del nostro tempo: si riconoscano essi in un percorso spirituale o meno, tale compito non cambia.
Certo, la scienza qui ci può aiutare, perché ci invita ad un modo diverso di guardare il mondo, ma poi il lavoro lo dobbiamo fare noi. Ultimamente, non avremo mai pace, se pretendiamo che cali dall’alto come per magia, oppure per semplice persuasione. Né ci potrà essere pace, per esempio, se continuiamo a credere che ricorrere alle armi possa mai portare, paradossalmente, alla cessazione di qualche ostilità. L’opzione non violenta deve essere radicale. La pace non è un concetto, non è affatto “comoda” come una certa propaganda di sistema vorrebbe farci credere, ma è difficile, faticosa, è un lavoro innanzitutto su noi stessi, un lavoro da riprendere ogni mattina”.
Riquadro in evidenza
Thomas Berry, “Non ci mancano certo le forze dinamiche per costruire il futuro. Viviamo immersi in uno sconfinato oceano di energia. Ma questa energia, in definitiva, è nostra, non per dominio, ma per invocazione”.
Perché un astrofisico si è avvicinato alla scrittura?
Fin da piccolo ho avvertito l’esigenza di raccontare e questo anche per le cose che la scienza mi diceva. Ho sempre sentito il bisogno, oserei quasi dire la missione, di introdurre altri – per come si può – a quello che stavo scoprendo io stesso, a fare di ogni acquisizione non tanto un tesoro da custodire privatamente, ma una occasione di condivisione: appunto, di racconto. Questi racconti dunque sono nati innanzitutto assecondando una mia esigenza di comunicazione, ma presto sono diventati una stupenda occasione di incontro con i ragazzi delle scuole. Voglio ricordare un lavoro bellissimo che è stato svolto in collaborazione con la professoressa Carla Ribichini – che firma le prefazioni ai miei due libri su Anita – presso l’Istituto Comprensivo Corradini di Roma. Questo lavoro ha coinvolto ragazze e ragazzi della scuola, che sono stati accompagnati dall’insegnante attraverso i dialoghi di Anita con la sua mamma astrofisica.
Dunque i tuoi racconti nascono anche da “relazioni”, e non poteva essere diversamente…
Tutto è avvenuto in maniera attiva e partecipata, in modo da elaborare creativamente i contenuti proposti, fino ad esprimere se stessi accordandosi al “clima” stesso della narrazione. Alcuni dei loro interventi sono proposti in questo ultimo libro: tra un racconto e l’altro, si possono così leggere le parole meravigliose che loro stessi hanno creato, che risuonano mirabilmente con le vicissitudini della piccola Anita, formando un continuum che a mio avviso è la dimostrazione più bella e semplice di come da una finzione narrativa possa nascere una vera relazione, si possa creare un ponte di parole su cui passa l’umanità delle persone in crescita, senza filtri e in grande sincerità. Credo che questo sia il risultato più bello e mi piace molto che se ne possa trovare traccia in questo mio libro.
Qual è per te il compito della scienza e quale il compito della scrittura?
Il compito della scienza e quello della scrittura è esattamente lo stesso. Tale compito consiste nello svelare all’uomo la sua stessa umanità, portarla progressivamente alla luce e consentire che tale umanità venga finalmente accolta, compresa, amata. Certo è importante investigare l’universo, ma è importante in quanto, così facendo, investighiamo l’uomo, parliamo dell’uomo. Il modo di vedere il cosmo ci parla esclusivamente di noi: da come lo guardiamo comprendiamo chi siamo, a che punto siamo del percorso di evoluzione e – per dirla con Teilhard de Chardin – di “complessificazione”. L’universo stesso cambia insieme a noi. Anzi, per ogni passo del nostro cammino umano, possiamo dire, esiste uno specifico universo.
Com’era lo sguardo sul cosmo all’inizio del Novecento?
L’uomo degli inizi del Novecento vedeva l’universo come un ambiente ostile, luogo di scontri ed esplosioni, freddo e buio cosmico squarciato da lampi, fenomeni violenti, materia in collisione: in pratica, assolutamente inospitale. Lo viveva perciò con un senso di spaesamento, che inevitabilmente trasportava nei suoi rapporti personali, nelle relazioni con l’altro sesso, nella famiglia, nella società, nella politica. Purtroppo, anche nella guerra: il concetto di universo come luogo di scontro di poteri, come ambiente da dominare con la forze e non da esplorare con meraviglia e curiosità, genera un atteggiamento bellico e una attitudine di dominio che si riversa implacabilmente sulla nostra madre Terra, nonché su noi stessi.
E oggi qual è il nostro sguardo sul mondo?
L’uomo di oggi – attingendo alla nuova scienza e alla elaborazione letteraria – ha la possibilità inedita di aprirsi ad un universo morbido, realmente relazionale, costituito da reti di connessioni e di mutua assistenza, ad ogni livello, dal macroscopico degli ammassi di galassie al microscopico della fisica subatomica. Un cosmo non più freddo ed inospitale, ma sede potenziale di vita in miriade di ambienti e situazioni.
Cosa significa allargare lo sguardo sull’universo che ci circonda?
“Emblematico in questo senso è guardare ad un campo di ricerca ora molto attivo: quello degli esopianeti, ovvero quei pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal Sole. Mentre fino agli anni Novanta del secolo scorso, non se ne conoscevano se non pochissimi, adesso il conteggio supera già le diverse migliaia (al momento ne contiamo più di cinquemila), e ne vengono scoperti dei nuovi praticamente ogni giorno. Allora, vale la pena imparare a chiederci i veri motivi, i motivi profondi, dietro tutto questo.
Perché proprio in quest’epoca avvengono queste scoperte? Perché dopo millenni in cui il numero di esopianeti conosciuti era zero, in pochi anni siamo arrivati a conoscerne diverse migliaia? Ma di più, perché solo in quest’epoca disponiamo di un modello scientifico del cosmo, riusciamo in certo modo a riepilogarne compiutamente la storia, ne comprendiamo le dinamiche e possiamo, sia pure con infinite incertezze, fare ipotesi sul suo (e nostro) futuro? Che concetto nuovo di universo “preme” dietro queste incredibili scoperte? Come possiamo adeguare la nostra mente al nuovo che sta arrivando? E veramente siamo disposti a farlo? Questa, io ritengo, è anche l’unica strada per la vera pace”.
Nota Biografica Marco Castellani
Marco Castellani, ricercatore astronomo all’Osservatorio Astronomico di Roma dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), è laureato con una tesi sull’eccesso ultravioletto delle galassie ellittiche, dottorato in astronomia con una tesi sulla popolazione stellare delle galassie nane. Professionalmente si occupa di evoluzione stellare e fa parte del team scientifico del satellite GAIA dell’ESA (Ente Spaziale Europeo). Si occupa anche di didattica e divulgazione. Dal 2020 partecipa al “Gruppo Storie” dell’INAF ed è nel comitato di redazione della testata Edu INAF (edu.inaf.it). Il suo blog è raggiungibile al sito https://www.stardust.blog/