Estate, tempo di cura per la persona: vacanze ovunque, al mare, in montagna, al lago (con visite ai centri storici); e vacanze con il segno più, quello dello spettacolo. E‘ così che abbiamo sentito risuonare la grande musica nei boschi, fra le cime dolomitiche e sui prati d’altura delle Alpi Marittime. A migliaia gli spettatori sono saliti “lassù” per seguire i concerti in alta montagna, si sono seduti nell’erba fitti e colorati come i fiori di campo, con il cielo addosso, libero o striato da nuvole vagabonde.
E molti, estasiati dalla magia del silenzio, hanno pronunciato la frase “Siamo qui, fuori dal mondo”, come avessero compiuto una lunga fuga dalla dimensione della vita corrente, quotidiana e, appunto, approdati in un “fuori” strano, esattamente come quando si esce da una malattia.
Ma questa frase, che corre sui media, cioè confezionata dalla comunicazione di massa e ripetuta a pappagallo, è sbagliata in partenza (e noi, in buona fede, la ripetiamo). Il fatto è che certe frasi nascono perché non prestiamo la giusta attenzione alle parole. Pensiamoci: noi non siamo mai fuori dal mondo perché noi stessi siamo il mondo e, soprattutto, la verità è che le località in cui cerchiamo riposo, silenzio, bellezza ecc. sono nel mondo, addirittura il nostro mondo che, ahimé, si sta guastando perché lo priviamo del nostro amore rispettoso, e soffre come un fiore senz’acqua.
Essere fuori dal mondo, se proprio vogliamo cogliere il significato reale della frase, potrebbe voler dire “non vita”.
A pranzo con Piero Angela
A proposito di mondo, che poi è la Terra, l’Anonimo ha il curioso ricordo di un libro dell’indimenticabile Piero Angela che si intitola (è ancora negli Oscar) La straordinaria storia della vita sulla Terra. E tu dirai: curioso perché? Ecco i particolari. Era l’estate del 1992 e io mi trovavo a Cortina d’Ampezzo inviato dal Gazzettino a seguire gli eventi culturali dell’alta stagione. E lì un giorno arrivano Piero Angela e il figlio Alberto, con una novità: il libro citato sopra, che avevano scritto insieme, era quello che faceva notizia: padre e figlio impegnati nella costruzione della stessa opera di alta divulgazione.
In breve, li cerco, li raggiungo e gli chiedo un’intervista: ero lì per questo. Ma loro, personaggi famosi, erano oberati dagli impegni predisposti dall’ufficio stampa della Mondadori e proprio non potevano parlare con me. L’unico spazio libero era la pausa pranzo. Che si poteva fare? Li ho invitati io (cioè il mio giornale) e loro hanno accettato in allegria.
Così quel giorno, fra la curiosità dei turisti che affollavano il ristorante, ci siamo seduti a tavola e, fra un piatto e l’altro (non ricordo il menù), abbiamo registrato l’intervista che l’indomani è uscita con il giusto risalto nelle “mie” pagine culturali. I due autori erano già partiti verso altre presentazioni.
Oggi penso a Piero Angela con riconoscenza per avermi concesso di dialogare con lui e di aver riassunto per i lettori del Gazzettino, con la chiarezza gentile che gli era propria, “un viaggio lungo quattro miliardi di anni” e, insieme ad Alberto, per avermi fatto sentire partecipe di quell’avventura stra-ordinaria che è la vita nel nostro mondo.
Selfie, attori e registi
Il telefonino non è innocente, nel senso che fa corpo con la persona in modo tale, che il teppista o lo stupido integrale (quello orgoglioso di sé) o il mafioso lo usano con effetti inclassificabili. Detto questo, però, c’è un’amara considerazione da fare e riguarda i selfie dei delinquenti che filmano le loro aggressioni, in gruppo – o meglio branco – e le violenze verbali che “passano” subito alla rete: la brutalità per loro è come uno spettacolo, il pestaggio o l’accoltellamento come scena di un’azione di cui andare fieri: il film non è forse la settima arte? Nella società dell’immagine, oggigiorno basta avere un aggeggio elettronico in mano e subito c’è chi si sente regista (non importa la scena da filmare, purché sia forte) e chi attore che cerca l’applauso (guardatemi, ammiratemi gente”).
Ahimè, in questo nostro tempo il degrado non è solo ambientale. Mi chiedo se ci sia, forse, una morale in questi comportamenti? Forse non c’è, e questo sarebbe parte del nostro mal-essere.
Se il mondo…
(Poesia)
E se mi lascia il mondo?
Come un amante o un tempo
che non mi vuole,
come quando facevo i versi.
Quali parole dire al mondo
tutto che mi circonda
(e non m’abbraccia, perché è di nulla,
non che sia io un’ombra)
se lui
era lui che mi dava le parole?
Che muoiano con me,
che me le porti via lo stesso vento
di terra, verso sera,
quello che se si leva
e noi ce ne andiamo a vela,
a terra non ci riporta, o a stento.
Paola Mastrocola
Da Vent’anni di poesia, antologia del premio Montale
Passigli editore 2002