C’è un modo di sottrarsi all’andazzo di questo nostro tempo, di superare con il rifiuto l’indifferenza che ci incrosta l’anima? Io ne ho trovato uno nelle pagine di cronaca. A Venezia, dove viveva, si ricorda l’architetto-scultore Gianni Aricò con una mostra ospitata nella Scuola granda di San Teodoro, a San Salvador nel cuore della città. Tante opere delle mille che Aricò ha firmato, ma soprattutto l’evento va segnalato per come è nato. Sono stati i suoi amici che, costituitisi in Comitato, hanno organizzato l’omaggio nel primo anniversario della scomparsa dell’artista.
Non è da tutti i giorni una notizia così: l’amicizia che diventa motore di promozione dell’Arte, amore e fervore di solidarietà, oasi nel deserto del diffuso egoismo sociale, ma anche un gesto che diventa dono alla città dove Aricò ha lasciato i suoi sogni di bronzo (ma anche di vetro scolpito…) e dove sono presenza monumentale. Presenza propria della scultura che si lega all’ambiente, ai giorni della città e direi al suo destino.
Anch’io sono stato amico di Aricò e della moglie Angela: all’inizio la frequentazione era legata al mio lavoro, alle mostre, ma poi c’erano le visite casuali allo Studiolo dove lui sedeva in uno spazio ristretto quasi occultato da statue, dipinti su carta, cataloghi: lì sono nate le nostre interviste ma anche le chiacchiere tipiche fra amici.
E, un giorno, sono stato attratto da una Pietà che giaceva inconsueta fra le medaglie: piccola, alta appena 4 centimetri ma drammaticamente intensa. Visto il mio interesse, il maestro mi ha detto, semplicemente: “Prendila”. E io l’ho presa. E sta sempre con me, sul mio tavolo da lavoro: Maria reclinata sul figlio che tiene in grembo e lo culla per un’ultima volta: Gesù è avvolto dal sonno della morte ma destinato a un prodigioso risveglio.
Piccolissima scultura, dicevo, ma grande messaggio trasmesso in perpetuo dall’arte. E, per chi ha il dono della fede, in quei 4 centimetri di bronzo non c’è solo finitudine e dolore ma, appunto, l’annuncio di un Risveglio.
Dialoghetto sul tempo che fa
Due amiche agé si incontrano davanti a uno studio medico e, nell’attesa, si scambiano le solite notizie sul clima. Sono notizie di una gravità che ci spaventa: le stagioni “stanno impazzendo”. Scendono nei particolari: una delle due ha, in pieno centro, l’orticello e il giardino e aspetta con ansia la pioggia. L’erba non la interessa, tanto “non fa ombra” ma teme per le piante e i fiori, che sono a rischio…
“Devo stare attenta perché le ortensie sono in sofferenza” dice. “Solo le rose sono ancora forti, perché hanno radici profonde. Confesso che fiori e piante sono come amici per me… Penso a loro ogni giorno”. L’altra è meno drammatica perché ha soltanto sei piante di orchidee tutte ricevute in regalo. “Ma – dice – non sono troppo preoccupata. Devi capire che io non ho un giardino da curare. Tutto il mio spazio green è il davanzale di una finestra.“
”E cosa ti dicono, le tue orchidee?”
“Come?” replica l’altra, sorpresa. Ma subito risponde: “Mi parlano con voci mute, come vuole madre Natura”.
“Giusto. A proposito, come ti informi sui loro bisogni?”
“Con una App sul telefonino”.
“Invece io mi fido del mio Frate Indovino. In casa mia c’è sempre lui”.
“Ah, bene” dice a mezza voce l’amica, e il dialogo finisce lì.
P.S.
Il fenomeno editoriale del popolare calendario o almanacco religioso-meteorologico pubblicato dai frati Cappuccini di Perugia, sfida allegramente l’impero tecnologico digitale: la casa editrice ne stampa ogni anno 6 milioni “scarsi” di copie!
Un (bel) libro in valigia
Si dice, e si fa, che l’estate è anche stagione per coltivare la lettura. Stregato da un romanzo italiano della prima metà del ‘900 mi permetto di suggerirlo – ed è, modestamente, una richiesta di condivisione – anche come ri-lettura perché riserva qualche sorpresa. Si tratta di Vino e pane, fra i romanzi più belli di Ignazio Silone (1900-1978) che oggi trovate negli Oscar Mondadori (1993) ma fu pubblicato in inglese nel 1937 e rispecchia la condizione del suo autore, allora esule in Europa, ribelle a due totalitarismi, il comunismo di Stalin e il fascismo di Mussolini.
Il libro narra la vicenda di un giovane abruzzese, Pietro Spada, che negli anni Trenta dell’altro secolo è braccato dalla polizia fascista per la sua attività “rivoluzionaria” cioè l’utopia socialista: è rientrato in Italia da clandestino e la missione che più gli sta a cuore è il coinvolgimento dei contadini della sua Marsica, i cafoni legati alla dura terra da cui tanti vogliono fuggire: e mentre aspettano che “riaprano l’emigrazione” assistono impietriti alle adunate del regime che prepara, e attuerà in modo spettacolare, l’aggressione all’Etiopia (ottobre 1935).
Il romanzo con al centro un uomo in rivolta piacque a Albert Camus (autore de L’homme révolté…) che lo recensì parlando dei “quadri di un’Italia eterna e rustica” e dei “gesti secolari di questi contadini italiani”, cioè i cafoni che, ricordo a un possibile lettore di oggi, non si fanno tentare dalla “rivoluzione”, sono refrattari alla politica, tanto, dicono, “le cose vanno per conto loro”. Ciò che resiste nel loro mondo arcaico sono il pane e il vino di cui si nutrono e che sono un simbolo fortissimo.
C’è una poesia della terra in quei “quadri”, sostenuta da una religiosità semplice quanto inattaccabile che in certi momenti si manifesta come un’eco dell’eucarestia. dice un personaggio: “Il pane è fatto di molti chicchi di grano. Perciò esso significa unità. Il vino è fatto di molti acini d’uva e anch’esso significa unità. Unità di cose simili, uguali, utili. Quindi anche verità e fraternità sono cose che stanno bene assieme”.
Canto alla luna
(poesia)
La luna geme sui fondali del mare,
o Dio quanta morta paura
di queste siepi terrene,
o quanti sguardi attoniti
che salgono dal buio
a ghermirti nell’anima ferita.
La luna grava su tutto il nostro io
e anche quando sei prossima alla fine
senti odore di luna
sempre sui cespugli martoriati
dai mantici
dalle parole del destino.
Io sono nata zingara,
non ho posto fisso
nel mondo,
ma forse al chiaro di luna
mi fermerò il tuo momento,
quanto basti per darti
un unico bacio d’amore.
Alda Merini, Vuoto d’amore, Corsera ed. 2014
Grazie per aver ricordato Silone.lui aveva capito tante cose ed è stato poco capito da molti ma il tempo fa giustizia e gli amici. Vittoria