Ci vuole la pazienza di un cronista locale di giudiziaria, ovvero di quelli che stanno giorni sotto il sole, il freddo e la nebbia, ad attendere una notizia davanti al tribunale, per scrivere un libro del genere. “La via delle armi”, Edizioni Laterza, 2022, del giornalista Ugo Dinello. Merita una lettura attenta. È la storia nera di oltre mezzo secolo di repubblica italiana. E fa riflettere. Un fil rouge collega le tristi vicende del nord-est, i depistaggi voluti e consapevoli di importanti organi dello Stato. Unabomber, Gladio, Peteano. Una storia di attentati di destra con 153 morti e 971 feriti. Molti protagonisti sono veneti o friulani. Alcuni nomi che fanno ancora paura: Gianfranco Bertoli, Vincenzo Vinciguerra, Carlo Cicuttini, Carlo Digilio, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Marco Morin. Parliamo delle stragi che hanno colpito duro. Stragi di Bologna, Banca Agricoltura a Milano, Piazza della Loggia Brescia. Attentati alle ferrovie a Roma e Napoli. Depistaggi clamorosi da parte di ufficiali dei carabinieri, poliziotti, magistrati. Un libro serve per non dimenticare. Le future generazioni potranno così avere memoria storica. E c’è un punto fisso geografico non casuale: il Poligono di tiro del Lido di Venezia.
Ugo Dinello e le sue indagini
Ugo Dinello, 60 anni, lidense, figlio di Giovanni, partigiano della Biancotto, celebre co-protagonista della Beffa del Goldoni del 1945, è un giornalista alla Nuova Venezia. Comincia con una immagine allegorica. I mosaici di San Marco a Venezia con 6 milioni di piccole tessere e 8.600 metri quadrati di storia biblica illustrata. Per ricordare le stragi neofasciste degli anni ‘70, ‘80 e financo ‘90. Paragona i 22 mila faldoni depositati nei tribunali del nord-est ai mosaici della Basilica. Bisogna vedere la storia nella sua complessità. Una storia vergognosa dove i nostri servizi segreti usano sempre la stessa tecnica, il comma “f” della CIA. Dare la colpa agli altri (ovvero i comunisti), se non ci credono per evidenti anomalie, a gente comune, oppure depistaggi e documenti che fatalmente spariscono dalle Procure.
Si parte con Unabomber
Unabomber, infelice etichetta copiata da un film americano, colpì il nord-est tra il 1988 e il 2006, causando morti e feriti. Cinque le province interessate: Pordenone, Udine, Treviso, Venezia e Trieste. Agì in modo anomalo e fantasioso, usando con grande perizia esplosivi e congegni di accensione, conoscendo sempre alla perfezione luoghi e angoli sprovvisti di videocamere. Colpì nelle scuole, in chiesa, nei parchi, negli uffici pubblici, nei supermercati. Con tubi avvolti nei giornali, contenitori di uova, tubetti di maionese e di pelati, ovetti kinder, candele elettriche poste davanti agli altari, giocattoli per le bolle di sapone. Una donna di Rovereto in Piano (PN) si salvò dalla mutilazione certa, solo perché insospettita dalla pesantezza anomala del tubetto di maionese. Un’altra donna, venne graziata dalla pioggia. Il sellino della sua bicicletta non esplose, quando si sedette sopra, grazie all’umidità che aveva alterato il sofisticato congegno pieno di nitroglicerina. Più sfortunati però due fidanzati che sulla riva del Piave, trovarono una bottiglia vuota, con dentro un messaggio. Gli scoppiò tra le mani. Unabomber era un sadico oppure c’era una sottile strategia criminale? Ma basta un colpevole per capire una strage? Si disse poi.
Da Unabomber a Gladio
La vicenda Gladio e Stay Behind è più complessa e internazionale. Ma in mezzo ci sono due tentativi di colpi di Stato (1964, Piano Solo-SIFAR e 1970, Golpe Borghese, fallito per…pioggia).
Il Veneto e il Friuli furono le regioni europee con la più alta incidenza di attentati. Maggiori della stessa Irlanda del Nord.
Un piccolo ripasso. Nel 1973, a 300 metri dai serbatoi del fosgene a Porto Marghera, cade un aereo Dakota, l’Argo 16, usato dai nostri servizi segreti. Muore tutto l’equipaggio. In precedenza aveva portato in Palestina degli attentatori arabi sfuggiti a Israele. Una vendetta che poteva costare cara a Venezia. Ma già nel 1973 si parlava delle reti Stay Behind che gli americani avevano potenziato proprio ai confini della cortina di ferro, tra ovest ed est. Dove per est si indicava il potere sovietico. Nel 1990, ad un anno dalla caduta del Muro di Berlino, il Governo Andreotti è costretto ad ammettere l’esistenza della struttura paramilitare Gladio pronta a intervenire ai confini jugoslavi in caso di attacco sovietico. Andreotti alle Camere parla di 622 volontari, molti nomi eccellenti sono spariti. Per altri Invece i mobilitati sono almeno 5 mila.
Unabomber e Peteano. Come stravolgere la verità
Ma la vera stortura del sistema è la strage di Peteano, vicino Gorizia. Vengono uccisi tre carabinieri che si erano avvicinati ad una 500 rubata pochi giorni prima. Una telefonata, che si saprà fatta in un bar, dal neo-fascista di Ordine Nuovo, Carlo Cicuttini. Avvisa in chiaro dialetto giuliano dell’auto abbandonata con tre fori di proiettili sospetti. I carabinieri aprono il cofano. Un sofisticato accenditore a strappo, che si saprà poi appartenere ai servizi segreti e custodito nel nascondiglio Gladio n.203 di Aurisina (Ud), farà scoppiare l’esplosivo, massacrando i tre carabinieri. L’esplosivo Semtex era di esclusiva fabbricazione ceco-slovacca, paese in orbita sovietica, i timer della Germania dell’est. Poi, pochi mesi dopo un ventenne, Ivano Boccaccio, legato all’estrema destra, tenta di far dirottare un piccolo aereo decollato da Ronchi dei Legionari e diretto a Venezia. Viene ucciso dalle forze dell’ordine.
Piccolo particolare
Era in possesso di una pistola calibro 22, la stessa che aveva procurato i fori alla Cinquecento di Peteano. La cui indagine, non venne affidata al comando provinciale dei carabinieri di Gorizia, ma arriva da Roma, il colonnello Dino Mingarelli, uomo dei Servizi segreti, vicino al generale Giovanni De Lorenzo, monarchico, quello del tentativo del colpo di Stato del 1964. Subito vengono distorte le indagini. Per i tre carabinieri morti, si dà prima la colpa ai compagni di Lotta Continua di Milano. Subito scagionati per chiara bufala, poi le indagini si concentrano su sei amici al bar sport di Gorizia, i quali totalmente estranei, verranno messi per mesi in galera, prima di essere liberati e chiedere allo Stato i dovuti risarcimenti. Un dipendente della Prefettura, Mauro Roitero, che si firma sotto falso nome, Antonio Minussi, scrive una lettera al Tribunale, affermando di avere sentito proprio Cicuttini al bar, fare la telefonata ai carabinieri. Non gli credono. Verrà trovato morto poco dopo, in ufficio. Aveva i pantaloni abbassati e stava leggendo una rivista porno. Morto di infarto. Ma era tutto inventato dai Servizi. Era morto avvelenato. Silenzio assoluto. Intanto Cicuttini tenta di cambiare, con una operazione in Spagna, le sue corde vocali, ormai prova inconfutabile della telefonata al bar.
Passano dieci anni di nulla
Nel 1982 la competenza, su ordine della Cassazione, passa al Tribunale di Venezia. Il presidente del Tribunale affida la pratica, già con odore di muffa, ad un 29enne uditore, in procinto di diventare da grande giudice istruttore. È Felice Casson. Si conta, data l’inesperienza, sulla veloce archiviazione. E invece. Con tanta pazienza, intelligenza e un pizzico di fortuna e di coincidenze astrali, Felice Casson porterà all’ergastolo i colpevoli (Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini) e decine di anni di galera ai collaboratori.
Unabomber, Gladio e Peteano: una storia da riscrivere tenuta nascosta
In Italia all’epoca si parlava di teoria degli opposti estremismi e di strategia della tensione. Trenta anni di storia italiana ancora tutta da riscrivere. E lo sforzo di un piccolo cronista di giudiziaria ha oggi contribuito a rendere più chiara e soprattutto incontestabili le vicende terroristiche a nord-est. La terra più tranquilla e produttiva d’Italia.
Qualcuno si rigira nella tomba. Di sicuro non i 153 morti per colpa degli attentati, tra cui i tre poveri e semplici carabinieri di Peteano. I loro figli e nipoti hanno diritto di sapere tutta la verità.