Volevo fotografarli, per documentare un certo tipo di degrado urbano: erano due fiorellini con un nido di foglioline verdissime e spuntavano da una fessura alla base del muro di un condominio: singolare ornamento! Li ho visti come figli dell’indifferenza e, prima ancora, del caso (il vento portatore di semi) ma sono pur sempre fiori, cioè bellezza concentrata in pochi centimetri quadrati di materia inerte.
Chissà quale impressione faranno sui bambini, che li vedono alla loro altezza dalla carrozzina; per il poeta sono come creature lillipuziane clandestine di città. In effetti, non sono sempre visibili, e non per colpa loro ma del nostro sguardo fuggitivo: “non c’è peggior cieco…”.
Di questi affioramenti erbacei, più o meno evidenti – ma fastidiosi dal punto di vista estetico – se ne possono incontrare tanti, anzi troppi, a partire dai marciapiedi non curati, spazi privati o pubblici. Osservare per credere. Sulle rovine della buona manutenzione le erbette fioriscono alla base dei nostri giganteschi cubi di cemento, gli alveari umani delle nostre città: qualcuno potrebbe vederle come un “segno”, cioè una rivalsa della Natura nei confronti del manto di cemento chiamato urbanizzazione.
Con un’immagine fantasiosa e violenta si potrebbe dire che le nostre città sono state il modello, le antesignane del Grande Cretto di Gibellina, il sudario di cemento ideato e realizzato da Alberto Burri sulle rovine del paese siciliano: una cancellazione, una trasformazione, una metafora?
I ciuffetti d’erba, i fiorellini bicolori hanno una loro verità: dimostrano la gratuità della Natura, la sua vitalità ricostruttiva: come nei boschi dolomitici devastati da Vaia nel 2018.
Una fessura, nell’arida pietra, ci parla della vita.
Dove vai, Homo sapiens?
Li troviamo sparsi nei giornali, nei libri e a volte alla radio, e li segniamo con l’evidenziatore per imprimerli nella memoria, per discuterli nel nostro intimo: sono quelli che potremmo chiamare pensieri d’inciampo. Per esempio questo: “Non guasterebbe affatto se una nuova specie apparisse davvero, magari con un libro di Darwin sotto il braccio, e ci desse finalmente il cambio: sarebbe un bene per tutti”. Firmato Lazlo Krasznahorkai, scrittore ungherese. Inezie: la fine della specie umana, nientemeno!
Meno catastrofico Edgar Morin nel libro La via (2012) una specie di Bibbia del nuovo umanesimo, “per l’avvenire dell’umanità”, una via di salvezza per il vascello Terra che veleggia nell’universo con il suo carico di terrestri (uomini, piante, animali).
A proposito di questi “viaggiatori” – e si torna al crudo scenario dell’ungherese – un altro autore scrive della “nostra non scontata permanenza su questo pianeta”. “Perché” scrive Telmo Pievani nel suo Finitudine (2020), “siamo una specie ambivalente, invasiva, trasformativa, creatrice e distruttrice”.
Yoda direbbe: “Cosa fareste, terrestri, se una nuova creatura dominante venisse a darvi lo sfratto?”
Il monumento a nudo
Se una potenza straniera trafugasse, per dire, la Pietà di Michelangelo e la esibisse nel suo museo più prestigioso? Fantasticherie, si dirà, roba da “preda di guerra”, scenario da romanzo giallo: fiction, insomma. Invece è storia che certi capolavori non sono nati site specific per la posizione che occupano oggi: infatti, molti sono arrivati fin qui da lontano (guardiamo in casa nostra: i Cavalli di San Marco, trafugati da Napoleone, ma già erano stati presi dai Veneziani a Costantinopoli). Si parla di capolavori “spostati” e se ne ri-parla perché è tornato a far notizia in cronaca l’ennesimo approccio diplomatico di Londra e Atene a proposito della restituzione alla Grecia dei Marmi di Lord Elgin, cioè i fregi in marmo pario del Partenone scolpiti dal divino Fidia, che dal 1816 sono ammirati in bella luce al British Museum (sono impressionanti).
Le sculture che completavano il Partenone – parte integrante del famoso monumento oggi spoglio – furono prima incamerate dal governo di sua maestà per concessione ottomana e poi acquistate ufficialmente dal governo sotto la pressione di forti polemiche. Lord Byron aveva parlato di saccheggio (di Stato). Dunque, quelle scene mitologiche sono diventate patrimonio nazionale di Londra – ma anche, per estensione e valore, dell’intera umanità.
La richiesta di Atene, di difficile accoglienza, è comprensibile: noi italiani abbiamo esultato per qualche restituzione (e diciamo ancora grazie a Canova, all’ambasciatore Siviero, al Nucleo specializzato dei Carabinieri, al governo). Il fatto è che le opere d’arte e in generale i beni culturali sono incarnati nel nostro retaggio di civiltà, direi nella nostra identità: sono, detto in metafora, una parte di noi. Perderli è doloroso.
Fratellanza
(poesia)
Sarà stato già detto – forse da quel
francese, che l’uomo è come un albero
e loro, le piante sono reciprocamente
come noi, erette. Le due specie
viventi e conviventi respirano l’aria
e bevono l’acqua: da sempre
si incontrano in Giardini fatali.
C’è in loro – nei recessi vitali, dico –
qualcosa che somiglia a noi. E’
la linfa che sale impercettibilmente
di fibra in fibra – il loro sangue.
Ah l’aggancio della fratellanza
biologica… Ma più giù ancora,
nell’anima cerebrale, si annida
un segno di somiglianza: è
l’arborizzazione, la loro grande rete
neuronale di connessione
(anche noi così, anche noi).
Siamo figli di una stessa Madre.
Anonimo