Le motivazioni concettuali di una mostra come Opera – tri-personale di Wanda Casaril, Elisabetta Di Sopra e Ilaria Margutti, a cura di Francesca Brandes – risiedono nel filo rosso tenace che la modalità artistica femminile affida alla costruzione materica ed ideale della realtà. Le tre artiste hanno percorsi molto diversi, ma proprio in questa simultaneità immaginativa e d’intenti (nonostante l’utilizzo di strumenti differenti) consiste l’interesse principale dell’esposizione.
Nella Tri-personale Elisabetta Di Sopra
Elisabetta Di Sopra (Pordenone, 1969) è videoartista. Da molti anni attiva in Italia, docente del Master in videoarte dell’Università Ca’ Foscari, principale collaboratrice dell’Archivio Carlo Montanaro presso la Fabbrica del Vedere, a Venezia. Il suo video, dal titolo appunto Opera, propone l’alternarsi su un doppio schermo delle immagini di un intervento realizzato da una chirurga che commenta i propri atti (intesi nel senso della cura, della precisione e della necessità) e l’azione della fiber artist Ilaria Margutti. Mentre ricama su stoffa parole poetiche scaturite dalla quarantena. Versi di Antonella Anedda, della stessa Margutti e di altre donne che raccontano – ciascuna a proprio modo – ansie e paure scaturite dall’isolamento forzato.
Si aggiunge la Margutti
Ilaria Margutti (Modena, 1971), vive e lavora a Sansepolcro (Arezzo), dove svolge l’attività artistica e quella di docente di storia dell’arte. In mostra, Ipotesi del continuo, un’installazione in due teli (250×80 cm ciascuno), con ricamo a mano e inserti di intaglio su tela, filo di seta e ritorto fiorentino. Il titolo del lavoro si rifà alla teoria avanzata da Georg Cantor sulle dimensioni possibili degli insiemi di infinito matematico. Lo studioso dimostrò l’esistenza di una successione infinita di diversi infiniti. A partire da questo spunto, Margutti riflette sulla totale impossibilità di sottrarsi al ritmo dilatante dell’universo. Radici, spine fiori, parole, volti, nel suo operare non sono altro che estensioni di insiemi di infiniti diversi. Dentro cui le leggi della fisica – non trovando più risposte concrete – si affidano al ritmo del suono del cosmo. Al movimento delle mani che cuciono imprescindibili rapporti, ogni trasformazione possibile, tutti i passaggi invisibili dei gesti. Ilaria indaga i linguaggi attraverso cui la Natura ci parla, di domanda in domanda, di ricamo in ricamo. Così facendo, ricostruisce una relazione visibile con l’Universo, ogni universo, la nostra casa abitabile.
Nella Tri-personale anche la Casaril
Alle due artiste si è ritenuto interessante aggiungere la testimonianza di una decana della fiber art come Wanda Casaril. Nata a Venezia nel 1933, Casaril ha insegnato arte tessile all’Istituto Statale d’Arte del capoluogo lagunare fino al 1983. Poi si è dedicata esclusivamente al lavoro creativo, con numerose mostre in Italia e all’estero. Il medesimo codice che definisce il nitore concettuale di Elisabetta Di Sopra e Ilaria Margutti, con la loro precisa, ma immaginifica, opera di costruzione infinita, anima anche l’installazione in mostra di Casaril. Un atto di denuncia dalle connotazioni decise, il suo, contro lo stupro dell’ambiente che ci circonda. Perché esiste un’intenzione nel cuore delle cose, nelle stanze in cui il progetto prende forma. I nessi fondamentali emergono nei passaggi logici del processo formativo, ma anche nell’esperienza vissuta.
La riflessione
Per Wanda l’occasione è stata offerta da uno dei suoi viaggi in India. Dove ha toccato con mano lo scempio della cementificazione, a fronte di una Natura incontaminata. Così è nata Amen. Un messaggio scabro, in lettere di cartone, a cui l’artista ha sovrapposto una copertura in filo di cotone con foglie applicate di seta. L’insieme ricorda la bellezza perduta, con un residuo sedimentato di nostalgia, un substrato organico oltre la follia umana. Le tre artiste, anziché rimanere nella definizione statica di un principio, preferiscono fare linfa delle origini. Torna alla mente la definizione platonica per “filosofia”, ove il fare deve coincidere con il sapersi servire di ciò che si fa. Per Di Sopra, Margutti e Casaril la pratica è fondata su una forma di lucida meditazione. Consapevolmente presenti ed autonome, nell’adesione essenziale ai propri mezzi, che è anche un’adesione etica.
Tri-personale e un merletto che unisce tutto
Ciò che dà senso ad Opera (nelle sue diverse manifestazioni) è sempre il significato del codice, la pregnanza esistenziale del gesto, il rigore della risposta. Un intreccio estremamente significativo, a collegare diverse generazioni artistiche e diverse modalità d’intendere – emotivamente e culturalmente – il concetto di tessitura. Ma non solo: Opera è un viaggio psichico e pragmatico, in cui immaginazione e logica coincidono in una relazione dialettica. È ordinamento del mondo in itinere.
Nb: il testo è tratto dal contributo autoriale della curatrice Francesca Brandes presente su sito MUVE.