Il duello a colpi di bugie, dalla pandemia alla guerra guerreggiata, è un fenomeno che può attrarre gli studiosi del comportamento umano, ma è una iattura, un incredibile oscuramento dell’anima, una azione criminale che uccide la verità dei fatti; è manipolazione, implacabile come un’arma di distruzione di massa: ci sorprende e ci frastorna nonostante fossimo abituati alle bufale dei politicanti.
La guerra non produce bufale ma veleni delle coscienze.
La guerra porta alla luce parole che la Storia – credevamo – aveva sepolto.
Proprio la stessa parola guerra sembrava improponibile, fuori ormai dal nostro orizzonte; invece,… Già sentite, alcune, durante la fase acuta della pandemia, ora ci sono parole che vorremmo dimenticare: comunismo, vittime civili, strage, massacri, donne stuprate, bambini ammazzati. E, insieme, eccone altre che vorremmo escludere dal nostro vocabolario: padrone, che va con servo e schiavismo moderno, attuale: mio nonno, classe 1886, mi diceva negli anni Cinquanta che “al paròn se ghe dixe servo suo, sior paròn”; poi ecco barbarie, strage degli innocenti, pestilenza, propaganda, schiave del sesso, imperialismo, lebbra, terrorismo…. Ma anche comunismo, con la coda di “democrazia guidata” ecc.
Queste sono alcune parole che non appartengono a tutti, e che niente e nessuno sembra averle esiliate, anzi troppi le sfruttano. E quelle usate nella disinformazione bipartisan, ahimè, non sono nuove, no, sono semplici e usuali: solo che nella nostra bocca e nella nostra esperienza hanno un significato, mentre ne prendono un altro, e quanto diverso, quando qualche “padrone” le elabora in salsa russa. Aggiungiamo che la disinformazione (di Stato in particolare) ha una sorella carnale, e si chiama censura.
C’è di che essere desolati. Chissà che cosa direbbe Leopardi, Lui che nel suo pessimismo ha scritto: “Dico che il mondo è una lega di birbanti contro gli uomini da bene, e di vili contro i generosi”.
La sindrome del vassallo
In un pungente articolo di qualche tempo fa, Dacia Maraini ha usato un’espressione che ho sottolineato perché ci parla del presente e fa parte della nostra storia recente di europei: è “la sovietizzazione dei Paesi vassalli” che spiega la strategia (post comunista) della Russia putiniana e anche l’invasione e la guerra in Ucraina iniziata il 24 febbraio scorso proprio – incredibilmente – su suolo patrio dell’Europa: e il fantasma di Stalin se la ride.
L’ombra del vassallaggio si estende dal remoto feudalesimo fino al tempo presente con l’eredità sovietica e, prima ancora, zarista (dare dello zar a Putin non è offensivo). Ricordiamo in molti quando a Mosca si denigravano le malefatte di Stalin, ma poi lo stesso grande accusatore Kruscev non è stato leggero o “amico” dei vassalli ungheresi che nelle piazze chiedevano democrazia: è stato a Budapest nel 1956; e come dimenticare la spietata applicazione della “dottrina Breznev”: è stato a Praga nell’estate del 1968.
C’è uno stantio odore di Medioevo in quella parola citata da Maraini, che porta con sé, oggi, despotismo e annessioni forzate alla… materna Russia: episodi che assomigliano a tessere di un mosaico geopolitico duro come un monolite di ghiaccio siberiano. Guardando all’indietro e risalendo la corrente del tempo si arriva a 1953, alla morte di Stalin, quell’iceberg avrebbe potuto essere almeno scalfito dall’aria tiepida del “disgelo” che prenderà nome e speranze dall’omonimo romanzo di Il’ja Erenburg (1954-55). Invece la sindrome del vassallaggio continua ad avere fiato. E fiamme.
Visione macabra
Come una tempesta di fulmini
che brucia l’aria,
e la terra consacrata
alla vita,
così il Nemico cainamente
aggressivo
e folle
ci ha bruciato il respiro
e sepolta la speranza.
Il tempo all’improvviso
è morto,
ridotto a cenere che il vento
disperde
sull’orizzonte del divino Nulla.
In lontananza,
lo senti?,
un prete barbuto benedice
a gran voce
il massacro atroce.
Amen?
(Anonimo 22)