Gentili lettrici e lettori. L’argomento di oggi si presenta difficile da presentare e da argomentare ma vedo, come posso, di renderlo facile e masticabile per tutti. Cosa vuol dire scegliere medicina come Università degli studi. Diciamo che il tema di cui parliamo va visto sotto due punti di vista estremamente diversi tra loro. Ma che in qualche modo si congiungono in un punto indefinito del tempo e dello spazio. La parte materiale e la parte filosofica.
La parte materiale è alquanto ostica in quanto lo studio del corpo umano e delle sue componenti non è propriamente una passeggiata di salute. In parole povere studiare le molecole, le cellule, i tessuti, gli organi, gli apparati e tutto ciò che ne consegue ad una malattia è un percorso veramente complesso, anche perché non si parla di solo organi ma di tutti gli altri elementi e variabili che subentrano nella malattia anche se non fanno parte degli organi colpiti. Ad esempio il diabete non è una malattia solo del Pancreas ma tutti gli organi ne subiscono gli effetti nefasti. E questo vale per tutte le malattie esistenti.
Non basta un titolo di studio
Una volta uscito dall’Università con il famoso “pezzo di carta” in mano ti senti quasi un Dio. Il possessore assoluto di tutto lo scibile medico esistente e magari in grado di guarire e di spiegare qualsiasi morbo o disfunzione che ti trovi di fronte. La dura realtà però, si insinua, penetra e distorce le pieghe della tua sicurezza quando iniziano i fallimenti terapeutici di cui pensavi essere l’assoluto conoscitore perché ti devi confrontare un altro assoluto ancora più grande di te: la Natura. Quella che è tutto e niente, quella che ti dà ma anche quella che ti prende, quella che crea ma anche distrugge. Positiva a volte ed estremamente negativa altre.
Subentra pertanto la parte filosofica che ti fa intraprendere un percorso più introspettivo, più intimo, più realistico che ti fa capire i tuoi limiti. E, in base a come maturi questo concetto, o migliorerai definitivamente o entrerai nel tunnel del “burn out”. Che per i medici diventa un ostacolo a volte insormontabile. E’ un termine di origine inglese che letteralmente significa “bruciato”, “esaurito” o “scoppiato”. Chi invece sceglie ulteriori vie di sfogo, come palestra dell’anima, per reprimere, contenere, incanalare e concretizzare questa frustrazione da ansia prestazionale, ha ancora una grandissima via di scampo.
La mia esperienza e la beneficienza
Per parlare della mia esperienza sicuramente un ruolo fondamentale lo ha giocato la beneficienza e l’aiutare il prossimo in difficoltà e cosi, almeno 14 anni fa iniziai questo percorso bellissimo e ricco di soddisfazioni che mi ha portato oggi ad essere nel direttivo di una delle onlus più belle e significative che abbia mai conosciuto: l’associazione “SOGNI” con la quale realizziamo desideri e sogni di bambini malati oncologici. Allo stato attuale, visto il volgere della situazione mondiale verso la guerra, ho deciso, visti i molti profughi Ukraini, di dedicare parte del mio tempo lavorativo a visitare gratuitamente le donne con problemi ginecologici e ostetrici che vengono ospitate in Italia. Già due casi stanno andando a buon fine e una tra qualche giorno partorirà in salute e quasi serena, vista la situazione.
La maturazione
Il tempo trascorso a curare e a diagnosticare malattie più o meno severe, apparentemente, potrebbe sembrare che ci spinga verso una desensibilizzazione emozionale ma in realtà porta ad una maturazione di noi medici che, con il trascorrere degli anni a praticare questa nobile scienza, arriviamo a capire quanto sia indispensabile la nostra costante presenza nel contesto di un grande disegno che ci spinge a stare vicino ai pazienti, a soffrire con loro, a gioire con loro, a tenerli per mano per dissipare ansie e dolori. Dobbiamo imparare ad essere il contenitore di tutte le gioie e tutti i tormenti: tenere lo scrigno della felicità aperto affinchè si possa goderne quando vi è una guarigione mentre fondamentale tenere chiuso quello delle sofferenze, affinchè si possa dimenticarle.