A Padova il debutto in prima nazionale dello spettacolo diretto da Serena Sinigaglia e adattato da Emanuele Aldrovandi. Da mercoledì 2 marzo debutta in prima nazionalesul palcoscenico del Teatro Verdi di Padova “La peste di Camus. Il tentativo di essere uomini”, una co-produzione di Teatro Stabile del Veneto, Teatro Stabile di Bolzano e Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano con la regia di Serena Sinigaglia, che sceglie il classico dell’autore francese relativamente all’urgenza di portare in scena storie e fatti necessari, che possano aiutare l’uomo ad affrontare questo momento storico così particolare. In scena nel ruolo dei protagonisti del romanzo edito da Gallimard e adattato da Emanuele Aldrovandi, sono gli attori Marco Brinzi, Alvise Camozzi, Matteo Cremon, Oscar De Summa e Mattia Fabris.
Il romanzo di Camus
È un romanzo, quello di Albert Camus, che scandaglia a fondo l’animo umano e lo fa scegliendo un momento estremo, di assoluta emergenza, di sconvolgimento dell’ordinario. L’umanità di Camus è divertente, sorprendente, commovente e appassionante: l’autore ci guarda senza giudicarci mai, con occhi sempre nuovi. E ci propone una direzione possibile, un senso nel caos, un freno alla paura. È da queste considerazioni che la regista Serena Sinigaglia si muove per realizzare una versione scenica del testo. L’amore laico e terreno è l’inaspettato protagonista di questa storia, il filo che unisce le strane vicende intercorse ad Orano (in Algeria) in un periodo imprecisato degli anni ‘40. Appena pubblicata, l’opera, che rientra nel cosiddetto Ciclo della rivolta, riscosse un grande successo arrivando a vendere nei primi due anni 160mila copie e aggiudicandosi il ‘Prix des Critiques’.
La tournée
Dopo il debutto sul palco del Verdi, dove resterà in scena fino a domenica 6 marzo, lo spettacolo sarà in tournée al Teatro Goldoni di Venezia(10>13 marzo) al Teatro Mario Del Monaco di Treviso(18>20 marzo) e al Teatro Carcano di Milano(22>27 marzo).
Emanuele Aldrovandi
La difficoltà principale nel trasporre teatralmente un materiale narrativo è quella di riuscire a mantenere la profonda stratificazione semantica propria di un’opera letteraria, facendola passare attraverso un mezzo che, per la sua specificità, necessita “azione” – dove per azione non si intende meramente azione fisica, ma azione fra personaggi, conflitto, che naturalmente può essere anche solo dialettico, ma che ha bisogno di un “movimento” e di una “dinamica interna”.
Questo movimento e questa dinamica interna sono presenti, ovviamente, nei dialoghi di Camus. Ma ci sono anche ampie parti prive di dialoghi in cui il narratore descrive ciò che sta succedendo o esprime le sue riflessioni su quanto è appena avvenuto o sta per avvenire. La sfida che mi sono imposto – e che mi ha imposto Serena Sinigaglia – è stata quella di riuscire a non tradire la bellezza di queste descrizioni e la profondità di queste riflessioni. Sia riportandole all’intero di una struttura “mista”, in cui i personaggi agiscono ma allo stesso tempo narrano, rivolgendosi direttamente al pubblico, sia aggiungendo altri dialoghi che rendano “agiti” i temi trattati all’interno dei brani più narrativi. Per fare questo è stato necessario scrivere da zero intere scene. Ma abbiamo cercato di farlo restando il più fedeli possibile ai personaggi, alle atmosfere e ai temi originali.
Il romanzo di Camus, inoltre, presenta una struttura articolata in cui le relazioni fra i personaggi progrediscono attraverso brevi incontri ripetuti nel tempo. Quello che abbiamo fatto, per rendere più compatta la fruizione teatrale, è stato condensare questi incontri in un numero minore di scene. Evitando una frammentazione eccessiva che avrebbe distolto l’attenzione dello spettatore, ma cercando di conservare l’essenza del rapporto fra i protagonisti. A livello di linguaggio, l’idea è stata quella di aspirare a una lingua che non fosse caratterizzata da inflessioni regionali o territoriali. Per rendere al meglio l’universalità di una storia che, come le grandi opere della letteratura sanno fare, è in grado di parlare agli esseri umani di ogni epoca.
Il Camus di Serena Sinigaglia
Durante il lockdown mi sentivo persa, confusa, frastornata, come tanti, forse tutti. Non riuscivo a capire come fosse possibile ritrovarsi disarmati e nudi di fronte ad un virus. Nel 2020. Non nel Medio Evo. Un fatto straordinario che poi di straordinario aveva e continua ad avere ben poco. Non è la prima e non sarà l’ultima epidemia che si abbatte sull’uomo, mi dicevo.
E poi con lo stile di vita che abbiamo e la crescita esponenziale delle nascite, il dissesto ecologico, le diseguaglianze economiche e sanitarie, ovvio che accada, che accada proprio a noi uomini e donne del terzo millennio! Mi dicevo tutto questo ma dirlo non bastava a placare il disagio che provavo. Ero disorientata, non capivo dove collocarmi di fronte a questo tragico e inaspettato accadimento. Allora ho semplicemente fatto quello che faccio nei momenti di grave difficoltà. Leggere. Leggo i maestri del passato. Cerco in loro quel conforto e quelle risposte che dentro di me non trovo.
La scoperta della Peste di Camus
Amo Camus (come potrebbe non essere?) però non avevo mai letto La peste. Era lì tra i libri che mi ripromettevo di leggere e che poi immancabilmente non leggevo. Bene, finalmente era giunto il momento. Ho cominciato a leggerlo con il timore che forse non fosse proprio la lettura più adatta in tempo di Covid. Ma sin dalle prime pagine mi ha catturata e ho finito per divorarlo. Come un affamato, come un assetato, mi sono nutrita delle parole, dei pensieri, dell’umanità che Camus racconta nel suo libro.
Sembrava scritto per me e il mio smarrimento, come se fosse un libro del 2020 e non degli anni ’40 del secolo scorso. Parla di noi, parla di come reagiamo ad eventi inaspettati, che ci confondono e disorientano. La “peste” non è solo la malattia epidemica che quando arriva sospende il tempo ordinario e mette in crisi le certezze acquisite. La peste è anche metafora della condizione dell’uomo, del senso del suo passaggio su questa terra. Ma non aspettatevi che sia un libro pesante o angoscioso, non avrei mai retto a qualcosa di simile durante il lockdown. È un libro pieno di luce, di speranza laica, che guarda all’uomo con sguardo mite, lo guarda ma non lo giudica mai. È una storia appassionante, coinvolgente, commovente. Ho chiamato subito Emanuele Aldrovandi, drammaturgo e scrittore, che condivide con me l’amore per Camus.
Ho deciso di conservare sia il discorso diretto, i dialoghi, che la narrazione di Camus. Potendo così disporre di due piani di ascolto: quello che il personaggio dice e quello che il personaggio pensa veramente. Io ed Emanuele nei mesi di lavoro all’adattamento abbiamo riso, pianto, gioito, resistito accanto a quei personaggi come fossero persone in carne ed ossa. Non invenzioni della fantasia creativa di un uomo e quando abbiamo concluso, un senso di dolce conforto è sceso su noi.
Oggi più che mai sento l’urgenza di portare in scena storie e fatti necessari, urgenti, che possano aiutarci ad affrontare questi tempi bizzarri e violenti. Sento che il dovere del teatro è quello di ricordare, consolidare, difendere e diffondere i valori sacri dell’umanesimo in uno spirito di crescita morale e sociale. Di fronte al “distanziamento” imposto come obbligo sanitario, di fronte all’individualismo e alla miseria umana che si fa sempre più spazio in ogni dove, il teatro, in quanto arte di prossimità e condivisione assoluta, è il solo luogo dove riscoprirsi pienamente umani tra gli umani.