“Tra una crisi e l’altra. Storia dell’economia italiana negli ultimi 15 anni”. Giorgio Brunetti, veneziano, uno degli economisti italiani più ascoltati, docente di Economia aziendale a Ca’ Foscari e alla Bocconi di Milano dove è professore emerito, racconta nel suo nuovo libro (Bollati Boringheri, 160 pagine, 14 euro) cosa è accaduto alla nostra economia nel Duemila. Lo fa con un’analisi lucidissima e spesso inclemente, ma anche con uno sguardo attento al futuro. Non è un quadro solo pessimista, Brunetti affida a un capitolo intitolato proprio “Verso il futuro” i suggerimenti su come affrontare la sfida che ci aspetta già da oggi, a partire dal Pnrr.
Brunetti e un’analisi precisa
L’autore ripercorre le tempeste economiche e finanziarie che hanno sconvolto dal 2008 non soltanto l’Italia, ma il mondo intero. Dalla crisi americana che ha travolto banche e istituti storici, a quella del debito sovrano, fino alle politiche d’austerity messe in atto dall’Unione Europea. Per continuare con la pandemia che ha rallentato la ripresa e ha imposto inattese regole.
Il momento storico e sociale
Giorgio Brunetti, autorevole collaboratore del nostro settimanale, affronta nel suo libro in particolare la situazione italiana e fa un’analisi del momento storico e sociale. Nel capitolo che segue parla della politica in una situazione particolare, quella che precede l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Un’elezione difficile, contrassegnata dalla crisi dei partiti, dalla presenza importante di un tecnico al governo, da un’incertezza che attraversa tutto il fronte della democrazia parlamentare mentre continuano ad agitarsi sirene sovraniste e populiste.
Verso il futuro; Brunetti e la pandemia
La pandemia non è cessata e nemmeno gli esperti si pronunciano sulla sua durata, sostengono che occorrerà conviverci ancora a lungo controllando la circolazione del virus e monitorando come evolve. La vaccinazione sta producendo effetti insperati, ma si sta sempre all’erta visto che la variante Delta del virus continua a contagiare ancora molto.
Si è accertato che il vaccino è l’arma più efficace per debellare il virus, ma al contempo ha preso vigore un movimento, anche di piazza, che si oppone a tutto quanto riduce la libertà del cittadino, siano le forme di contenimento (lockdown), sia ora il green pass, nato essenzialmente per spingere le persone alla vaccinazione ed evitare di imporla come obbligo.
Brunetti analizza le decisioni del Governo
Tra l’altro, il governo ha anche deciso di considerare la vaccinazione un requisito per operare nel campo sanitario, così come per gli insegnanti e tutti coloro che lavorano nel settore scolastico. Sono scelte molto sofferte da parte del governo, perché i partiti della coalizione hanno sempre qualcosa da ridire e cercano spesso di opporsi per assecondare le paure, le avversioni e gli «interessi di bottega» degli elettori.
I No-vax, un movimento complesso
In realtà, sebbene il piano di vaccinazione prosegua con un certo successo, permangono sacche di renitenti anche tra gli over sessanta, nota categoria a rischio. Convergono in questo atteggiamento motivazioni diverse. Dalla sfiducia nei confronti delle esperienze scientifiche e della competenza medica, all’opposizione populista che considera quella al vaccino una forma di resistenza allo Stato che si vuole smantellare, per finire con chi ha paura e preferisce attendere per vedere cosa succede.
Brunetti e l’analisi sul green pass
All’opposizione, vicini a questo movimento, ci sono intellettuali di grande prestigio, che hanno visto nel green pass una forma di discriminazione tipica dei paesi totalitari. Massimo Cacciari, molto attivo in questa polemica, ha individuato un approccio politico tipico del nostro paese, sostenendo che il ricorso allo stato di emergenza produce uno stato di emergenza «costituzionalizzato» come «conseguenza di governi deboli e partiti sradicati».
Il fondamento della decisione tende quindi a passare alla struttura tecnica, come è avvenuto per la crisi economico-finanziaria: allora erano le leggi dell’economia e del mercato a determinare in ultima istanza il «che fare». «Ora è la scienza medica o alcuni suoi eminenti settori. Non è la stessa cosa certo – ma è esattamente la stessa logica».
Brunetti e una democrazia “malata”
Sono considerazioni e opinioni che vertono sulle disfunzioni e sui pericoli che corre la nostra democrazia, certamente malata. Va riconosciuto però che la salute, anche secondo la nostra Costituzione, va salvaguardata e che la scelta di non vaccinarsi è priva di credibili basi scientifiche: i vaccini infatti, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, salvano ogni anno la vita di tre milioni di persone.
Una scelta di buon senso sia sanitaria che economica
I vaccini anti-Covid hanno ovunque abbattuto drasticamente il numero di decessi e dei ricoveri in terapia intensiva. Vaccinarsi è una scelta di buon senso per proteggere non solo se stessi, ma tutta la comunità di cui facciamo parte, nonché una scelta responsabile per non sovraccaricare il sistema sanitario nazionale. Per fermare il Covid serve quindi vaccinare tutti il più in fretta possibile. È una corsa a velocità sostenuta, perché lo Stato deve correre più delle varianti. L’obiettivo prima dell’estate era il 70% di vaccinati, ora abbiamo superato abbondantemente l’80%.
Obbligo vaccinale?
Accettando il principio della persuasione e non dell’obbligo, occorrerà raggiungere e prendere contatto con il più alto numero di cittadini al fine di metterli a conoscenza dell’efficacia dei vaccini, ricordando che oggi in ospedale sono ricoverate quasi esclusivamente persone non vaccinate. Serve la forza della ragione per battere il «populismo tecnologico». Vista la resistenza del mondo no-vax, comincia a prospettarsi, anche a livello governativo, il ricorso all’obbligo vaccinale. Una nota finale: finché non si vaccina il mondo intero, il virus continuerà a circolare, lo afferma il professor Silvio Garattini, scienziato e illustre farmacologo.
La politica
Il governo Draghi nasce dal fallimento della politica, dalla sua frantumazione e impreparazione. In poco meno di tre anni abbiamo avuto ben tre diversi governi, due politici (Conte 1 e Conte 2), sostenuti da due diverse maggioranze, e uno di «salute pubblica», quello di Draghi. Sergio Fabbrini segnala che, pur essendo il nostro sistema una democrazia parlamentare, il Parlamento ha dimostrato con regolarità di non poter funzionare. È stato costretto più volte a sospendere il proprio ruolo costituzionale, non riuscendo a dare vita a un governo in grado di governare.
I precedenti governi
I governi Ciampi (18 aprile 1993-13 gennaio 1994), Dini (17 gennaio 1995-11 gennaio 1996), Monti (16 novembre 2011-21 dicembre 2012) e ora Draghi (dal 13 febbraio 2021) sono la dimostrazione evidente dell’incapacità della politica di guidare il paese. Sono stati il correttivo «costituzionale» esercitato dal presidente della Repubblica.
Nelle altre democrazie parlamentari questo non avviene, perché di fronte a una crisi di governo si ricorre alle elezioni (vedi Spagna e Olanda). Da noi non va così, poiché vige il beneficio del vitalizio per i parlamentari, che scatta dopo cinque anni di legislatura. Naturale che questo costituisca un freno, tanto che il politologo Sartori propose, già nel 1994, di costituzionalizzare un sistema di governo (definito come presidenzialismo alternante) basato su due motori. Quando si spegne quello parlamentare si accende quello presidenziale.
Fallimento, si è detto, della classe politica. Ma quali le cause?
Hanno certo pesato il drammatico impoverimento culturale della nostra classe politica, la sua forte perdita di levatura nel corso dei decenni, ma soprattutto la scomparsa di quei partiti forti e dal profondo radicamento sociale che selezionavano la classe dirigente. Lo fecero nei primi decenni della vita repubblicana, in misura minore in seguito, e di qui lo scontento verso una partitocrazia imperante.
Brunetti e l’analisi sull’operato degli ultimi governi
In tre anni, con lo stesso Parlamento, l’Italia è passata da un governo (Conte 1) che voleva portarla fuori dall’Euro, a un governo (Conte 2) che l’ha riportata al centro dell’Eurozona, e infine a un governo (Draghi) che sta rendendo il paese leader dell’Eurozona. Come spiegare questa oscillazione?
La debolezza del «sistema delle élite» può aiutare a capire. Se partiamo dalla politica, l’oscillazione del Parlamento italiano è dovuta alla difficoltà del nostro sistema di rappresentanza nel fare da filtro tra le esigenze dei cittadini e quelle del sistema decisionale. Quel sistema di rappresentanza non ha prodotto una élite politica strutturata e preparata.
L’élite politica è il risultato dell’interazione tra sistema partito, sistema elettorale e sistema di governo. Priva di partiti strutturati e di leggi elettorali competitive, la democrazia ha finito per promuovere nelle elezioni del 2018 una maggioranza di «rappresentanti per caso».
Brunetti e la democrazia
Ricordiamoci lo stato della nostra democrazia, che in questo decennio si è ulteriormente modificato. Giovanni Orsina ci aiuta ricorrendo all’etimologia della parola «democrazia», che è costituita da popolo e potere: potere al popolo. Di potere in capo allo Stato nazionale ne è rimasto pochino. In parte è defluito verso il basso, verso le regioni, come si è visto nel corso della pandemia. Ma molto di più è stato risucchiato verso l’alto, verso l’Europa e i mercati finanziari, come si è potuto constatare con sempre maggiore chiarezza dalla crisi del debito sovrano del 2011 in poi.
Il mercato e le crisi
Quanto all’elettorato, esso è volatile e disilluso, non si fida delle forze politiche né si identifica con esse, cambia spesso e volentieri opinione e in tempi assai rapidi. Le fortune dei partiti e dei loro leader tramontano molto facilmente.
Con la crisi del debito sovrano e il governo Monti è saltato il bipolarismo, che aveva convinto gli italiani a scegliersi un governo dalle urne. Anche i partiti e i gruppi parlamentari non sono stati da meno in termini di instabilità: scissioni, ricomposizioni.
Quello che è sempre stato evitato, come si diceva, è lo scioglimento anticipato delle Camere, per l’ostinata tenacia dei parlamentari nel conservare il seggio. Ora si prospetta con le prossime elezioni politiche il taglio dei parlamentari. Tra deputati e senatori, 343 in meno. Si è manomessa la Costituzione per risparmiare 57 milioni all’anno, lo 0,007% della nostra spesa pubblica.
Brunetti: un’occasione sprecata
Un motivo indecente, perché poteva invece essere l’occasione per affrontare il problema del bicameralismo, con l’abolizione del Senato per accelerare il processo legislativo, ma anche perché si crea un precedente in cui chiunque abbia la maggioranza può cambiare la Carta costituzionale. Afferma Carlo Cottarelli: Alla Costituzione ci metti mano solo per risolvere un problema grosso, non per assecondare le spinte populiste di qualcuno. Se si fosse voluto colpire la Casta si sarebbe dovuta ridurre la spesa per parlamentare, non il numero.
Dei giochi parlamentari ha risentito anche questo provvedimento
Per entrare nel Conte 2, il Pd ha avuto la sfrontatezza di cambiare la sua posizione dopo ben tre votazioni contrarie, all’epoca del governo giallorosso. Giustificando questo cambiamento con la sua storia, vedendo in questo taglio dei parlamentari un’occasione di cambiamento per recuperare il rapporto con il paese. Le prospettive non sono confortanti. Ernesto Galli della Loggia è impietoso quando afferma che ciò che caratterizza il nostro sistema politico e di governo è l’irresponsabilità.
Brunetti e la perdita di fiducia dei cittadini
Per qualsiasi errore e omissione del potere, anche quelli più gravi, in Italia è rarissimo che qualcuno paghi. E ciò distrugge la fiducia dei cittadini nella democrazia. Occorrono le regole, ma da destra a sinistra nessuno se la sente di sollevare il problema dell’eccesso di regole che contribuiscono alle numerose patologie delle nostre istituzioni e quindi al degrado del nostro paese. A cominciare dalla cruciale legge elettorale, ogni partito porta avanti la legge che più gli fa comodo, anche danneggiando gli altri.
L’attuale governo è impegnato su altre questioni delicate ed è difficile che possa essere uno spartiacque su questi temi istituzionali. Sarebbe tanto se raggiungesse i due obiettivi, gestire la pandemia e realizzare il pnrr. Spetterà alla politica mettere in agenda la ricostruzione del tessuto democratico, per scongiurare il sorgere di una vera e propria emergenza democratica.