Vito Campanelli espone a Venezia, nella splendida sede del Giardino Bianco ArtSpace, in via Garibaldi 1814. La sua mostra, in coppia con la scultrice Marialuisa Tadei (di cui https://www.enordest.it si è già occupato alcuni mesi fa) s’intitola Gesto, forma e astrazione. È curata da Marco Dolfin e offre un’occasione imperdibile di accostarsi al lavoro instancabile e periglioso del Maestro veneziano.
Campanelli e il fuoco
Sì, perché le sue tele ardenti, serie di Opus dalla cifra caratteristica – rosso Campanelli, innanzitutto, e nero fulgido, la gamma stupefacente degli azzurri – posseggono l’intransigente sincerità di un presto con fuoco. E ogni azzardo ha la sua notte, domande e angosce irrisolvibili. È difficile cercare l’essenza là dove la terra appare salda. Invece, quando il gesto di Vito spinge a distogliere lo sguardo dall’ovvio, ecco apparire lo smarrimento necessario.
Quando accade, si scoprono vie interrotte
Solo allora, possiamo assecondare i tracciati di una logica diversa, percorsa da sussulti altalenanti. Ed è ancora opus, ancora musica, l’eco senza nostalgie di un’epoca di brividi ed illusioni, a guidarci. Siamo della stessa generazione, il Maestro ed io, gente degli anni Sessanta: dissonanze da Velvet Underground, la voce roca di Nico; scatole sonore di Joni la bionda; Nirvana e Radiohead. La forza di un mondo nuovo, psichedelico, straniato, agito. Travolgente come l’onda vitale dei Pink Floyd.
La pittura di Campanelli
Vito dipinge tutto questo, con dolcezza, con furia, cercando risposte forse irraggiungibili. Leale con il pubblico, esigente con sé. Dipinge da quando era ragazzo, buttando la vita nelle tele. Non è importante incasellarlo; piuttosto, colpisce da decenni la pienezza del suo gesto, che continua ad ammaliare (e non solo per estetica).
Le vie dell’Opus Campanelli rappresentano una geografia senza carte
Ogni volta una strada nuova, un tuffo al cuore. Il punto di arrivo, per fortuna non esiste; non possiamo mettere in conto la salvezza. Insieme, pubblico ed artista, viviamo un’avventura cangiante e precaria. La via che segue Vito – senza tempo nel passare degli anni – non è quella della conquista, ma dell’identità.
Il pittore dà un nome a chi è in cammino, l’uomo si dà un nome
Bisogna dimostrarsi all’altezza della sfida: quel fuoco alchemico toccato da una traccia bianca minuta, di purificazione estrema. Neve su fiamma, segno voluto, perché nulla sia dato per scontato, neppure l’evidenza del gesto o del colore, il gradiente massimo della temperatura, l’intensità sensuale che lo sguardo abbraccia.
Campanelli e i gradi di avvicinamento
Tutto, però, deve avvenire per gradi: scegliere di dipingere, senza sapere dove il cammino conduca, prestando attenzione a qualcosa che non tutti vedono. Appena un’inezia, un’asimmetria, un’ombra. Poi, dipingere, facendo cenno a quell’invisibile, perché possa essere condiviso, pur nella sua invisibilità. Salendo e scendendo, arrampicandosi sulle note; avanzando.
Il binomio con Tadei
Le tele, le carte esposte al Giardino Bianco, in felice relazione con le sculture di Marialuisa Tadei, recano spesso quella traccia, una lattea scia, un punto contrastato. Forse sono i sassolini che Vito semina lungo il percorso per riconoscersi, per far memoria della direzione. Via via, nel tempo, l’artista ha sperimentato anche il levare, assottigliando lo spessore della sua atmosfera.
Dal canto suo, il critico Dolfin – nella bella nota che accompagna l’esposizione – mette ancora una volta in evidenza l’ascendenza cromatica tutta veneziana di Campanelli: «Possiamo quasi leggere – scrive – in questi rapidi fendenti di pasta-colore un’atavica propensione veneziana al tocco fulmineo tintorettesco».
L’incrocio tra pittura e scultura
Forse, a visitare la mostra – emozionante, nitida, con quel dialogo inatteso tra pittura e scultura, nel comune denominatore di un “fare arte” con serietà e convincimento – si può notare anche, nel gesto di Campanelli, qualcos’altro. Non solo l’impeto, quello è apparenza, come il volo di un danzatore che appare lieve, e invece è frutto di volontà, fatica e timore. Ciò che importa è l’articolazione occulta, la fibra muscolare che dona vigore a quel gesto, con estremo raziocinio.
Braccio e tela
Vito Campanelli lavora con un corpo-tutto; un monstrum di energia, istintivo e meditato ad un tempo, tra il braccio e la tela, Qualche volta, quasi un ossimoro. Eppure le tele riscaldano dalle pareti, mandano riverberi all’onice, all’alabastro delle pulite forme di Tadei. L’opus procede, improvvisa o per tappe, e vi si affollano stelle comete, come scintille da pietra focaia.
La sfida più grande è mantenere una costante ed ampia risonanza: legati assoluti, acrobazie di senso, bassi avvolgenti. È sempre l’attimo che precede l’alba, nei lavori di Vito. Credo siano il dubbio, l’angoscia della condizione umana e l’amore, tanto, a farli così belli.
Dal 5 dicembre 2021 al 9 gennaio 2022
da mercoledì a domenica, 10.00-13.00 /14.00-18.00
ingresso libero