Venezia capitale mondiale della sostenibilità. Una biennale per la terra. Il dibattito si fa grosso. Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, fresco di libro autobiografico e sindaco Luigi Brugnaro, uniti al ministro Renato Brunetta, ipotizzano il mega progetto planetario in un incontro a Ca’ Corner. Tiziana Lippiello, rettrice di Ca’ Foscari, più sommessamente, parla di città laboratorio. A Dubai, nell’Expo 2020, Venezia scelta per l’inaugurazione delle città da sostenere a causa dei cambiamenti climatici. E noi siamo tra color che son sospesi. Profilo basso però dei media italiani…Se invece fosse stata citata a Dubai, Roma o Milano? Napoli o Torino? A saperlo. Con questo stato d’animo partigiano leggo “Il Giardino e l’Arsenale – Una storia della Biennale”. Scritto da Paolo Baratta, per “appena” 16 anni e quattro mandati, presidente della Biennale. Dunque, uno che sa.
Chi è Paolo Baratta
A 82 anni, si è prodotto in 470 pagine con i tipi della Marsilio. Un momento di grande riflessione.
Per Paolo Baratta, inizio primo mandato 1998-2001. Nomina diretta del presidente del Consiglio, Romano Prodi, ministro alla Cultura, Walter Veltroni. Poi, crisi e rottura anche per colpa dell’architetto Massimiliano Fuksas, diciamo per questioni caratteriali. (Concorso internazionale di idee per il restauro dell’Arsenale). Quindi tre mandati filati dal 2008 al 2020. Infine la pensione.
Baratta politico
Paolo Baratta (“finalmente un tecnico alla cultura”, sostennero congiuntamente all’epoca Galan, Sgarbi e Cacciari), ha fatto il suo tempo. Ora, in poltrona forzata causa Covid, scrive le sue memorie veneziane.
Guai a definirlo un allineato, anche se quattro nomine a ministro dal 1993 al 1996 (Partecipazioni statali, Commercio estero, Industria e artigianato, Lavori pubblici e Ambiente) sembrano sostenere il contrario, incastrato tra i governi Amato, Ciampi e Dini.
La sua storia a Venezia
Baratta, milanese che vive a Roma, esordisce con il botto a Venezia. Focalizza nel 1998, subito 78 punti per una Biennale finalmente territoriale. E ora, mestamente sintetizza: “La Biennale in questi anni di sviluppo ha interpreto la sua presenza a Venezia in chiave di rivitalizzazione della città, contro la monocultura del turismo”.
Ca’ Giustinian e battaglia vinta
Ho l’impressione che Baratta si sia dimenticato di un neo novantenne che vive a Roma, ovvero l’architetto Paolo Portoghesi. Fu il primo presidente a parlare di recupero dell’Arsenale, a creare la “strada nuovissima”, ad ampliare gli spazi relegati ai semplici Giardini del sestiere di Castello. Baratta cita però un fatto interessante. Quando nel 1999 il sindaco Cacciari voleva vendere, l’allora restaurando palazzo Ca’ Giustinian, sede degli uffici della Biennale, collocati all’inizio del Canal Grande, proprio di fronte alla chiesa della Salute, ai fratelli Benetton, propensi a farne un albergo di lusso. Una battaglia vinta a muso duro, da Baratta.
Una Biennale internazionale
Egli sostiene che la Biennale non è una istituzione locale, bensì internazionale e la città, provincialotta, ormai relegata a un condominio turistico di b&b, non ne sia all’altezza. Avrà ragione? Facciamo le debite riflessioni: se la città lagunare non avesse la Mostra del Cinema, la Biennale (con l’arrivo di 9.000 giornalisti all’anno..), l’università Ca’ Foscari con i suoi 40 mila studenti, lo Iuav, la Fondazione Cini, ecc. sarebbe ben poco cosa.
Per Baratta le sfide per la sopravvivenza
Baratta individua, alla conclusione del volume, tre grandi battaglie, per la sua sopravvivenza: la gestione della laguna con il Mose, la cura fisica urbana della città storica, ovvero le pietre e le opere da preservare, e obiettivo fondamentale, la vitalità della città storica, e cioè una vita urbana differenziata, intendendo con ciò la presenza nella città lagunare di un contingente elevato di attività produttive diverse da quelle correlate al turismo, e capaci di un qualificato uso del patrimonio edilizio storico.
Le dimenticanze di Baratta
Lo spartito sembra più suonato con la forza del trombone che con la delicatezza del violino. Baratta si dimentica di citare un libro uscito pochi mesi fa, “Arte, istituzione e potere. La Biennale di Venezia 1895-1942”, scritto dalla storica del ‘900, Giuliana Donzello, nata a Venezia e docente a Livorno, per capire che la grande storia della Biennale di Venezia (la prima di questo genere al mondo, con decine di imitazioni successive, dall’America alla Cina), non può essere ridotta e distinta tra destra e sinistra. Tra primato culturale di innovatori e conservatori. Fa sorridere che alcuni paesi, tra le due guerre e anche dopo, vietarono ai propri artisti l’arte astratta, perché doveva essere solo figurativa e per il “popolo”. I rinchiusi nei gulag ne sapevano qualcosa. E infatti una delle più grandi e famose edizioni della Biennale fu quella del dissenso, voluta da Carlo Ripa di Meana, romano, all’epoca (1977) in forte odore di scarsa ortodossia.
Il bisogno di cultura
C’è dunque e sempre tanto bisogno di cultura nella nostra società 4.0. Un bene, sia materiale che immateriale, a volte giudicato superfluo. Domanda da porre oggi all’assessore alla Cultura del Comune dei Venezia. Ah scusate, dal 2015 non viene nominato.