Le voci dicono che l’aumento delle temperature da ora e fino all’anno 2100 sarà di 2,4° e questo significa che ci saranno condizioni meteo estreme. In tutto questo, l’Italia risulta al 30° posto nella classifica mondiale dei Paesi che lottano contro la crisi climatica. Se si verificasse questo aumento della temperatura media globale, si prevedrebbero l’aumento dei livelli dei mari, siccità, alluvioni, ondate di caldo e temporali devastanti.
Le voci critiche sul momento attuale
Con le politiche attuate al momento dai governi (non quelle promesse a Glasgow), al 2100 il riscaldamento rispetto ai livelli pre-industriali sarà di 2,7 gradi. Stando a quanto emerge dai lavori del Climate Action Tracker (letteralmente: Monitoraggio dell’Azione per il Clima), se venissero attuati gli impegni per zero emissioni nette presi da Usa e Cina lo scorso Aprile, il riscaldamento al 2100 si fermerebbe a 2,1 gradi e, attuando tutti gli impegni per zero emissioni nette presi a Glasgow (compreso quello dell’India al 2070), al 2100 si scenderebbe a +1,8 gradi.
Un passo alla volta ma non basta ancora
Occorre l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e, allo stesso tempo, è necessario che i Paesi più ricchi mantengano la promessa di erogare fondi da destinare ai Paesi più poveri per l’adattamento agli impatti della crisi climatica, lo sviluppo di sistemi di energia pulita e l’abbandono dei combustibili fossili. La scorsa settimana sono usciti diversi rapporti sul riscaldamento globale ed è dimostrato che ci sono stati progressi, ma non sono sufficienti. Se ci rifacciamo a prima dell’Accordo di Parigi, il contenimento delle temperature era di 6 gradi. Dopo Parigi siamo scesi a 4 gradi e ora i rapporti parlano di una cifra intorno ai 2 gradi, ma questo non è ancora abbastanza.
La classifica dei Paesi nella lotta alla crisi climatica
In base al rapporto annuale di alcune Ong, in collaborazione con Legambiente per l’Italia, l’Italia è scivolata al 30/o posto nella classifica di 63 Paesi più l’Ue nella lotta alla crisi climatica a causa del rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili e per una performance bassa nella politica climatica nazionale. Nessun Paese ha guadagnato le prime tre posizioni sul podio.
Tra i Paesi “più virtuosi”, la Danimarca che, grazie ai suoi obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra, ha scalzato la Svezia, posizionandosi al quarto posto. Fuori dall’Europa, i Paesi in testa sono risultati Marocco, Cile e India, che occupano i posti rispettivamente da 8 a 10.
Le voci di Greta e di migliaia di giovani
Greta Thunberg e altri giovani attivisti hanno predisposto una petizione legale destinata all’Onu per chiedere al segretario generale, Antonio Guterres, di dichiarare formalmente il problema del surriscaldamento globale come “emergenza climatica sistemica”. Lo riferisce il ‘Guardian’ dopo aver preso visione del documento, emerso a margine della Conferenza internazionale sul clima, contro cui la giovane paladina svedese dell’ambiente ha protestato in piazza con decine e decine di migliaia di coetanei, denunciandone i lavori come fallimentari e additando a più riprse i “bla bla bla” dei leader del mondo.
Cosa fanno trapelare le voci
I negoziati della Cop26 sono in dirittura d’arrivo e sono “negoziati duri, con ancora un enorme lavoro da fare” Lo ha detto Boris Johnson, dopo gli incontri avuti oggi a Glasgow, in veste di capo del governo che ha la presidenza della conferenza. Il traguardo “è in vista”, ha detto il premier britannico, ma “dobbiamo essere più ambiziosi” per raggiungere l’obiettivo che “deve essere raggiunto: tenere in vita” il target del tetto degli 1,5 gradi in più rispetto all’era pre-industriale indicato dagli Accordi di Parigi.
La bozza del documento finale
La presidenza britannica ha pubblicato una bozza del documento finale della Cop26. Nel documento si esortano i Paesi a “rivisitare e rafforzare” entro la fine del 2022 i target di riduzione delle emissioni per il 2030 nei loro piani d’azione nazionali con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. L’esigenza di ridurre “il limite di emissioni globali di anidride carbonica a 1,5°C al 2100 richiede rapide, profonde riduzioni delle emissioni globali di gas serra”. Compresa “la riduzione di emissioni globali di anidride carbonica del 45% al 2030 rispetto al livello del 2010”. In modo da raggiungere l’obiettivo dello “zero netto intorno alla metà del secolo” si legge nella bozza.
Nel documento di sette pagine si ribadisce l’impegno di “lungo termine” a mantenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2°C. E a perseguire l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C. La bozza, che sarà la base di negoziazione tra i Paesi partecipanti ai colloqui, esorta inoltre a definire piani e politiche entro la fine del prossimo anno per ridurre le emissioni di anidride carbonica del 45% al 2030. E raggiungere le zero emissioni nette entro la metà del secolo.
I firmatari della bozza, dunque, accolgono con favore gli impegni presi dai Paesi. Sviluppati a garantire aiuti agli Stati meno attrezzati con l’obiettivo di “arrivare al più tardi nel 2023 al target di 100 miliardi di dollari all’anno”. Nel documento si esprime però rammarico per il fatto che l’obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 non è stato raggiunto.
Voci rammaricate
La Cop 26 – si legge ancora nel documento – riconosce “l’importante ruolo che la conoscenza e l’esperienza delle popolazioni indigene possono svolgere” contro i cambiamenti climatici. “Ed esorta le Parti a coinvolgere attivamente le popolazioni indigene nell’attuazione dell’azione per il clima”.
Le case automobilistiche
Rappresentanti delle case automobilistiche porteranno il loro impegno a produrre solo auto a zero emissioni entro il 2040. Sarà lanciata la ‘International Avviation Climate Ambition Coalition’ (letteralmente: Coalizione Internazionale per l’Ambizione Climatica) da un gruppo di stati che vogliono intraprendere un percorso di decarbonizzazione del settore aereo. Infine, la questione del taglio delle emissioni nel trasporto pesante su gomma.
Voci e promesse
Molte case automobilistiche promettono di lavorare per il 100% delle vendite di auto e furgoni a zero emissioni entro il 2035 o prima “nei mercati principali”. E anche molte città si sono impegnate a convertire le flotte del trasporto pubblico e le auto in leasing a zero emissioni entro il 2035 “al più tardi”. Ma, purtroppo, le principali economie come gli Stati Uniti, la Cina e la Germania non hanno ancora, a tutt’oggi, sottoscritto l’accordo di massima.