Sembra una cosa banale e stupida. Ma non lo è. Una mia amica giapponese mi dice: noi abbiamo solo un tipo di caffè nei bar a Tokyo e nelle altre città importanti. Ordiniamo solo quello. Punto. Nessuno oserebbe chiedere varianti o modifiche al banco. Ebbè? Chiedo io, e allora? Voi italiani siete geniali. La risposta. Provate a contare le varietà di scelte da Milano a Palermo. Siete talmente individualisti e originali che davanti al banco di un bar nell’ordinare un caffè, chiedete di tutto e di più. Esattamente al contrario di noi giapponesi. Noi chiediamo solo un monotono caffè che pare una bevanda scolorita. Provo a capire. Ma ha ragione lei. Sono arrivato a 107 varianti e sottovarianti italiane. Ma secondo me, sono molte di più.
Analizziamo, un modesto censimento sul caffè
Caffè espresso normale, lungo e corto. In tazza grande. Caffè al vetro. Come dicono a Roma. Ovvero in bicchiere. Caffè ristretto a Napoli: ovvero un centimetro e non più. Decaffeinato, macchiato, marocchino, americano, freddo, separato. Separato? Scusa non capisco. Una barista mi spiega. Alcuni al banco chiedono due tazzine, una per il caffè e l’altra per la schiuma. Decidono loro, in piena autonomia, con il cucchiaino, come sorseggiare e mescolare caffè e schiuma di latte.
Beh, allora ditemelo. Volete la guerra? E guerra sia. Partiamo
Caffè espresso normale in tazza piccola, tazza grande, al vetro. Con o senza bicchiere o bicchierino d’acqua connesso? La sotto-variante è importante. Il bicchiere è una cosa, il bicchierino un’altra. In più, a seconda della richiesta, l’acqua può essere: naturale, gassata e calda. Siamo a posto. Le varianti si moltiplicano. E poi? Il caffè macchiato può essere: caldo o freddo, con schiuma o senza schiuma. Il latte poi non è cosa semplice. Al banco mi hanno chiesto, papale papale: un caffè macchiato decaffeinato in tazza grande, con bicchierino di acqua gassata. Il latte aggiunto, senza schiuma, doverosamente di soia. Soia! Desidera altro? Se mi può mettere una tazza a parte se troppo caldo. Ma allora ditemelo.
Altro caffè?
Un marocchino. Ovvero l’aggiunta di polvere di cacao. Pare che l’origine sia alessandrina. Non Alessandria d’Egitto, ma la città piemontese. Altro ancora? Un caffè americano in tazza piccola, ma con caraffa calda separata visto che un caffè così diluito non può essere somministrato che in diverse tazzine. Andiamo avanti: caffè greco o caffè alla turca? Per entrambi di questi paesi diventa un fatto patriottico, quasi religioso. Per i greci c’è solo quello greco, inventato da loro, per i turchi solo quello turco.
La storia del caffè
E pensare che la prima tazzina venne consumata in Europa nel 1683 in piazza San Marco. Sostanza stimolante e infatti la Chiesa, in un primo momento la proibì. Bevanda satanica e peccaminosa. Fatto sta che in laguna, nasce il primo “café”, solo una effe, come luogo o bar. Bevanda da intellettuali che leggono i giornali. Infatti se la Gazzetta di Mantova, primo numero, è del 1670, le gazzette veneziane sono del XVI secolo… erano scritte anche a mano. E parlavano dei fatti altrui.
Goldoni docet
Nella fortunata commedia “La bottega del caffè” del 1736, Il giovane Ridolfo è il caffettiere veneziano, don Marzio, nobiluomo napoletano…un po’ imbroglione. Secondo gli storici, fu l’ambasciatore della Serenissima, Gianfrancesco Morosini, nel 1585, a farne una analitica descrizione al Senato. Più tardi, tale Prospero Alpini, botanico e medico personale del console serenissimo in Nord Africa, allora dominio Ottomano, scrisse il “de plantis Aegypty”, dove il caffè venne scientificamente analizzato per la prima volta in Europa. Ultima dissertazione culturale. La macchinetta Moka della ditta lombarda Bialetti, appare al Metropolitan Museo di New York come una delle opere d’arte più conosciute del ‘900.
E perché non corretto?
Se poi parliamo di quello corretto (soprattutto al nord e nell’arco alpino) si apre un nuovo capitolo. Corretto grappa, amaro, liquirizia, brandy, financo all’anice. Un’unica esclusione: il limoncello. Quello proprio no. Non va giù. Rinuncio a ogni ragionamento.
Ah, Napulè….
A Napoli c’è anche la tradizione del caffè sospeso e del caffè al balcone. Quello sospeso é nato nel 1944 con la liberazione degli americani. In un momento di estrema povertà e voglia di altruismo, uno andava al bar e, se poteva, ne ordinava due. Uno per sé e uno “sospeso” a favore di uno sconosciuto. Grande cosa! Ovvero, chi aveva bisogno e non aveva soldi beneficiava dell’anonimo donatore. Super. Totò nel film “La banda degli onesti” del 1956 lo spiega al bar a Peppino De Filippo, alias Lo Turco, davanti a due tazzine fumanti e con uno strampalato discorso tra l’espresso, il capitalismo e lo sfruttamento. Si versa diversi cucchiaini di zucchero e interviene il barista. E io pago!
Il caffè al balcone
Quello al balcone, invece lo spiega il grande Eduardo. Dopo la pennichella pomeridiana, lo prende al balcone o in terrazza e si guarda la gente in strada. What else? George Clooney ne fece un must per la televisione italiana. Nespresso! (altro caffè…). Poi divenne motivo di una campagna mondiale (da chicco a chicco) a difesa dei lavoratori brasiliani sfruttati nei campi per la raccolta delle piante. E si parlò di un nuovo termine, oggi entrato nella consuetudine. Economia circolare.
Oddio, ora basta! Datemene uno normale
Scusi, ma finalmente, si può avere un caffè normale? Normaleee. Con zucchero bianco, di canna, dolcificante, agave o fruttosio? Siamo al delirio. Voglio un semplice caffè!! In tazzina. Pronto, ecco, lo poteva dire subito. Ma scusi, al banco, al tavolo, o take-away?