Di Celio Scapin, compianto titolare della Cameraphoto, un’agenzia tra le eccellenze mondiali della fotografia, la cronaca si è occupata spesso. Era un tipo capace di strattonare per la tonaca un Papa (Paolo VI) pur di avere una benedizione in esclusiva o di far mettere in posa, con calma, un evaso del calibro di “Kociss”, l’ultima leggendaria primula rossa veneziana, che carabinieri e polizia stavano cercando dovunque. Uno tosto, che sapeva cavarsela in qualsiasi situazione e tornava sempre a casa con la foto giusta nel rullino, capace anche, in Polesine, in piena alluvione del Po, di far ripetere la benedizione di un matrimonio.
Nel polesine ferito
Quella volta, era il novembre del 1951, dopo giorni e giorni di cielo imbronciato e caterve d’acqua che avevano fatto impazzire fiumi e torrenti, finalmente aveva smesso di piovere. Sui campi e le case allagate, da Adria a Cavarzere, era finalmente uscito un timido sole, ma quella luce rendeva ancora più spettrale la desolazione intorno. Il Polesine, ferito a morte, aveva cambiato faccia: cielo e terra adesso avevano lo stesso colore. A Loreo tutto il paese era sott’acqua, compresa la chiesa, ma di fronte al portone spalancato, proprio a specchio dell’altare lontano, c’era un piccolo corteo di barche. Sulla prima erano saliti due giovani, che avevano perso tutto in quelle acque limacciose ma avevano deciso di sposarsi lo stesso, d’accordo con i parenti stretti ed il parroco. I ragazzi, compunti, erano in piedi, le gambe leggermente divaricate per tenersi in equilibrio. Si tenevano per mano mentre il sacerdote da un’altra barca li benediva. Una cerimonia semplice, senza fiori e campane, senza abiti bianchi e strascichi di velo, segnata solo dall’amore che vince tutto. Il primo vero segnale di vita, come poi scriveranno i giornali, in mezzo a tanto squallore.
Celio ovunque
Celio Scapin, allora giovanissimo, aveva saputo di quell’evento soltanto all’ultimo momento e ce l’aveva messa tutta per essere presente. Aveva requisito un vecchio sandolo che sembrava abbandonato, forzato sui remi per arrivare in tempo, ma non ce l’aveva fatta. Era arrivato troppo tardi, a cerimonia appena conclusa. Si poteva essere più sfortunati? Dipende. Ma a tutto c’è rimedio e lui già allora non era certo il tipo di arrendersi senza lottare. Così, aveva chiesto all’allibito reverendo di ripetere l’ufficio divino. Con un pizzico di buona volontà, aveva infatti aggiunto, tutto va a posto. Tanto, nessuno se ne accorge che è una replica. Ed è poi risaputo che le foto più belle sono state scattate sempre dopo l’evento. Si poteva? Nemmeno per sogno. Quel lungo discorso aveva avuto solo l’effetto di indignare il parroco che gli aveva intimato di togliersi di torno, “perché con la Pietra Santa non si scherza”. Poi, con un cenno brusco, aveva ordinato al ragazzo ai remi di darsi da fare e non lo aveva più guardato. Lui però non si era arreso, aveva insistito. Ma questa volta con un altro tono, quasi umile. Non occorre riprendere la cerimonia da capo, ripeteva ansante mentre anche lui forzava sui remi, basta solo mettersi in posa e ripetere il gesto della benedizione. Per quei ragazzi che hanno perso ogni bene sarà il ricordo più importante; per gli altri, quella foto rappresenterà la speranza, la vita che continua più forte di tutto. Quel fiume di parole gli era uscito fuori di getto e forse ce n’era qualcuna di troppo. Però aveva funzionato, l’arciprete alla fine si era commosso e aveva ceduto. Avrebbe ripetuto la benedizione, solo quella però e senza dire una parola. Se bastava, bene; se no, non se ne faceva niente. Bastava.
Col Polesine sommerso, Celio torna a casa con la “sua” foto
Quella fotografia con il prete a braccia spalancate preso di spalle, la gente sulle barche, i due ragazzi intimiditi, la chiesa allagata sullo sfondo, tramite l’Associated Press farà il giro del mondo. E ai due sposini a cui l’alluvione aveva rubato tutto, arrivarono regali di nozze per mesi, dalle città più lontane. Era tutto merito suo, ma lo sapevano in pochi. Perché Celio Scapin, principe dei fotografi veneziani, di se stesso parlava pochissimo. Del resto, non era uomo da pubbliche relazioni come si direbbe oggi. Ad uno come lui, che si dava del tu alla Mostra del Cinema con la grande giornalista Elsa Maxwel, la celebre pettegola di Hollywood, che conosceva artisti, letterati e politici di mezzo mondo, non interessavano. Era semplicemente fatto così. Però, e sembrerà strano, quando non lavorava si spogliava della sua maschera di duro tutto d’un pezzo per trasformarsi in un altro, quello vero: un affezionato padre di famiglia come e più di tanti. Che quando rientrava la sera a casa, nel verde di via Goldoni a Carpenedo, ad aspettarlo trovava la sua amata tribù tutta al femminile. Erano otto donne sorridenti: la moglie Italia, le tre figlie, la suocera, la cognata, due nipoti. Si può volere di più?