Dice bene don Ciotti, il fondatore di Libera, quando – ricordando Gino Strada – sostiene che «il bene non è mai passivo o neutrale»: così era, per me è e sarà sempre, Gino il medico, l’amico, la guida. Quello che, a Milano, la pensava come mio padre Riccardo sul rispetto amoroso che si deve a ciascun paziente, per ciascuna vita, senza differenze.
Il confronto tra i due
Né passivi né neutrali, con una forza polemica incendiaria che animava le cene in famiglia: l’uno legato in gioventù al movimento studentesco, scomodo per le sue posizioni intransigenti anche a sinistra (memorabili i suoi litigi con Massimo D’Alema, che aveva concesso le basi italiane per il bombardamento Nato sull’ex Jugoslavia e, poi, per la guerra in Afghanistan); socialista visionario l’amico, forse con una maggior fiducia nelle politiche istituzionali. Entrambi laici, nonostante, come avrebbe scritto, più tardi, un altro grande che ci ha lasciato da poco, Arturo Schwarz. Laici, nonostante la fede sconfinata nella vita umana.
Cosa mi hanno insegnato
Ho imparato da loro, oltre alla dignità della pratica medica, il concetto d’integrità. Difficile portarle avanti con altrettanta purezza. Eppure Gino sapeva argomentare e riconoscere il buono anche in questioni che gli erano apparentemente distanti: come quando – pur manifestando la propria avversione per ogni forma di religiosità bigotta (per i religiosi no, aveva amici meravigliosi tra i preti, Alex Zanotelli, don Gallo, don Ciotti, ad esempio) – si complimentò con il rabbino Elia Richetti per la frase che aveva suggerito in esergo ad una mia raccolta di poesie; Tutto scritto per la vita. Gli era piaciuta perché vi si specchiava: «Mica male il tuo rabbino», aveva commentato con un sorriso.
Chi era Gino
Era più lieve che serioso, nella vita quotidiana, anche se ai più pareva il contrario. Gli piaceva scherzare e divertirsi, prendere in giro l’amico socialista con un’ironia, a dir il vero, poco ricambiata: «Trotzkista!», apostrofava il Brandes. Poi, serissimi, quasi consumassero un rito, finivano a bacari, specie da quando Gino era andato a stare, in affitto, dalle parti degli Ormesini.
Un uomo “diverso”
Strada veniva da quella che i compagni chiamavano la “Stalingrado rossa”, la Sesto San Giovanni della Falck e della Pirelli. Lì esisteva un proletariato operaio solido, che mandava i figli a scuola con convinzione e, se erano in gamba, anche negli istituti più validi. Gino era bravo, liceo Carducci a piazzale Loreto, laurea alla Statale. Bravo come il Brandes, che era figlio di piccoli commercianti scappati ai pogrom dell’Europa orientale, senza nazionalità né fortuna, ma con inventiva e cervello. Due medici, con un concetto un po’ alieno della professione e una pulizia morale che oggi sconcerta.
Il mio primo incontro
Ho conosciuto Strada prima di Emergency. Era un chirurgo d’urgenza, aveva vissuto anni negli Stati Uniti, a Stanford e a Pittsburgh, per perfezionare la tecnica di trapianto cuore-polmone; in Inghilterra, in Sud Africa. Aveva già chiaro, ben prima del fatidico 1994, cosa voleva fare della propria vita. Dal 1988 era impegnato con la Croce Rossa Internazionale in Pakistan, Etiopia, Thailandia, Afghanistan, Perù, Bosnia. Odiava la guerra come concetto, anche prima del miracolo Emergency, che lo ha visto in prima missione nel Ruanda del genocidio.
I ritorni a casa
Quando tornava, profeta ancora senza troppi onori, finiva a rilassarsi con gli amici nella sua Sesto, a giocare a boccette all’Osteria La Teresa, a litigare e brindare. Lui e Terry, Teresa, la sua prima moglie, così importante nella decisione di continuare nel progetto, davanti ad ogni difficoltà. Aveva visto giusto: Emergency, in tutto il mondo, ha curato a tutt’oggi oltre undici milioni di persone. In Afghanistan, triste teatro di riconquista da parte dei talebani, proprio in questo scorcio di estate furente che ci ha resi orfani di Gino, l’organizzazione è presente con tre ospedali, un Centro di maternità e una rete di 44 Posti di primo intervento.
Gino e la “sua” Venezia
È bello anche pensare che, nella nostra città, che viene troppo spesso definita restìa alle innovazioni, qui – dove Gino Strada ha conosciuto tanti amici (illustri e meno illustri) – siano sorte alcune delle più belle e utili iniziative strutturali di Emergency: la grande sede della Giudecca, ex incubatore d’innovazione, trasformato in luogo d’incontri, eventi, uffici e formazione dei volontari dell’ONG; il fondamentale ambulatorio di via Varè a Marghera, tra la città-giardino e le fabbriche della zona industriale, aperto nel 2010 per assistere i cittadini meno abbienti, ma anche i migranti senza permesso di soggiorno, le persone in difficoltà: circa trentamila prestazioni gratuite l’anno (tra cui il servizio odontoiatrico).
Una goccia nel mare
Mio padre, che ha fatto il radiologo (ma, all’occorrenza, anche il medico di base) nelle zone più disagiate del profondo Veneto, creando una rete di affetti e solidarietà, ha fatto a tempo a congratularsi con Gino. Ottenendo, come risposta: «Hai visto, trotzkista?». E a me: «Ricordati della goccia, e del mare. Tutto scritto per la vita, no? Bravo il rabbino!». Seguendo un gruppo di piccoli migranti non accompagnati, e raccontandolo in un libro, a mio modo l’ho ascoltato; ho aggiunto in questi anni, la mia goccia al mare.
Adesso tocca a noi
Ora, che sono nell’aria tutti e tre – il trotzkista, il Gino e Rav Elia – è il nostro momento di lavorare. È sempre, mi hanno insegnato loro, il momento giusto.
Grazie….fa bene al cuore leggere storie come questa.
Quando sento che ci sono questi scampoli preziosi di realtà mi si allarga il cuore, ritrovo l’energia per impegnarmi, pur se nel mio piccolo incomparabile quotidiano.