Grazie a un maggiore impiego del lavoro da remoto, l’Italia potrebbe risparmiare fino a 8,7 megatonnellate di Co2 equivalente l’anno; ma per realizzare scenari di risparmio effettivi, non basta restare a casa. Secondo un recente studio, nel nostro Paese circa 8,23 milioni di posti di lavoro (il 36%) potranno in futuro essere svolti da remoto. Con le persone che in media lavoreranno da casa circa due giorni alla settimana. Durante il lockdown, il numero di lavoratori da remoto in Italia è salito fino a 6,58 milioni. Stando a quanto rilevato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Ciascuno di loro ha lavorato da remoto in media 2,7 giorni a settimana, il che ha permesso di risparmiare emissioni di carbonio per 1.861 kg di CO2 per ciascuno, che significa un aumento del 112% rispetto al periodo pre-pandemia.
Il lavoro da remoto di natura commerciale
Se ci limitiamo a considerare anche solo le figure di natura commerciale, prendendo per buone le dichiarazioni sulle emissioni più pessimiste, per un comparto di lavoratori che si sposta di continuo per lavoro, il “punto di pareggio” della CO2 è davvero vicinissimo, perché basta spostarsi di 10 Km da casa per consumare di più che in videochiamata. Se abbiamo imparato davvero qualcosa dalla pandemia, è che si sta affermando un modello di vendita sostenibile; dopo lo “smart working” o, meglio, l’”home working”, si sta affermando lo “smart selling”.
I benefici
Passare, infatti, da una vendita di persona, fatta di visite dai clienti, magari con trasferte nazionali o internazionali, ad una che impiega il digitale, porta una serie di benefici. Per esempio alle casse dell’azienda, che risparmia sulle trasferte. Alla salute dei venditori, che non trascorrono più infinte ore in auto, treno o aereo e all’ambiente, perché si risparmiano enormi quantità di CO2.
Facciamo due conti
Prima della pandemia, a fare Padova-Milano un paio di volte al mese, magari per una sola riunione sola, significava: Padova-Milano (230 Km) e ritorno. Un costo di pedaggi, carburante e bollino per l’accesso al centro storico di Milano di 100,00 Euro e 6 ore di trasferta. Oltre al tempo della riunione, sempre che nel frattempo, non sia saltata! Un’auto omologata Euro6d emette tra 50 e 100 grammi di CO2/km; calcolando la media, vuol dire circa 48 kg di anidride carbonica. E se facessimo “smart selling”? Spese e ore di trasferta si azzerano, anche se non tutta la CO2 prodotta, perché anche le videoconferenze inquinano; secondo uno studio ripreso dalla rivista Forbes, si producono 50 grammi di CO2 all’ora. Per la stessa ora di riunione, parliamo di 200/250 grammi per 4 o 5 ore di videoconferenza, contro i 48 kg consumati per la trasferta.
Quanto si risparmia con il lavoro da remoto
Quindi, un manager della vendita padovano che visiti clienti a Milano, dovrebbe fare nella migliore delle ipotesi, 80 ore di riunione, prima di pareggiare i conti tra “smart selling” e trasferte. Considerando che la maggior parte degli agenti di commercio ha un chilometraggio annuo che spesso supera i 40.000 km e anche supponendo un uso promiscuo al 75%, questo vorrebbe dire 30.000 km di visite a clienti ogni anno, ovvero circa 150 km al giorno, cioè 15 kg di CO2 prodotta e immessa nell’ambiente. Se consideriamo valido lo studio ripreso da Forbes, che attribuisce allo smart selling una produzione di CO2 di 50 gr./h., equivale a dire che la produzione di CO2 si pareggia con 300 ore di videoconferenza; ma questo non basta. I costi di sola gestione di un’auto per la percorrenza di 30.000 km, sono pari a circa 6.000,00 Euro all’anno. Una licenza annuale di Zoom, una Webcam Full HD Logitech top di gamma, cuffie apposite e un contributo per una connessione in fibra a casa, non arrivano a costarne 1.000,00.
Il lavoro da remoto da solo non basta
Per realizzare pienamente i benefici ambientali a lungo termine di un aumento dei modelli di lavoro ibridi in futuro, dobbiamo ovviamente assicurarci di adottare approcci diversi anche fuori casa. Se questo non succederà, gli uffici che operano a piena domanda di energia pur essendo occupati solo a metà o i sistemi di trasporto che non sono in grado di rispondere all’evoluzione della domanda potrebbero portare a un aumento complessivo delle emissioni di CO2 equivalente, spiegano gli esperti, sottolineando quanto sia importante comprendere le sfumature regionali e i modelli di lavoro, arrivando a identificare le inefficienze che aumentano i consumi al fine di creare scenari di risparmio effettivi. Lo smart working ha permesso di risparmiare tonnellate di CO2 in tutta l’Unione Europea e potrà continuare a contribuire all’abbattimento delle emissioni inquinanti, anche nello scenario post-Covid di lungo periodo.
Il primato italiano
Guardando ai numeri dell’Unione Europea, l’Italia è il Paese che durante la pandemia ha ridotto di più la quantità di CO2 immessa nell’atmosfera, grazie al lavoro remoto, ma per sfruttare l’opportunità di continuare a diminuire l’impatto ambientale della nostra produzione di gas inquinanti, occorre modernizzare gli uffici, le case, gli edifici pubblici e quelli produttivi ma, soprattutto, il parco auto. Sono fondamentali la connettività in fibra e in 5G, la mobilità elettrica e il ricorso a fonti di energia rinnovabili. In 12 mesi di smart working, ognuno di noi ha (in media) evitato l’emissione di 1.861 kg di CO2. Abbiamo risparmiato l’equivalente delle emissioni climalteranti di 10 voli A/R tra Milano e Palermo, stando semplicemente al computer a casa.
Questi dati impongono una riflessione importante
Lo smart working può diventare la prima politica di decarbonizzazione per il settore terziario? Probabilmente sì, considerato che gli indicatori nazionali mostrano un’elevata efficienza energetica ed economica. L’intensità energetica è tra le più basse nei principali paesi europei. Anche se l’intensità di carbonio europea è mediamente inferiore a quella nazionale per la presenza di una massiccia quota di energia nucleare in Europa. Tuttavia, l’intensità di carbonio del mix fossile nazionale è tra le più basse in Europa. In seguito all’uso di carbone e maggiore di gas naturale rispetto a quanto non si faccia in Europa. La contrazione del PIL e l’aumento dei consumi di energia rinnovabile dal 2007 hanno determinato una sensibile riduzione delle emissioni di gas serra. Questa è la strada giusta!