Siamo cresciuti con la testa piena del famoso aplomb degli inglesi, del loro fair play inconfondibile, del famoso humor inglese così raffinato che qualche volte persino abbiamo difficoltà a capirlo per sorridere. Figurarsi noi italiani così caciaroni, che gesticoliamo sempre, che facciamo fatica a mascherare le emozioni, che ci piace la pizza, che se dobbiamo mandare uno a quel paese ce lo mandiamo. E che la barzelletta o si capisce subito o non fa ridere. Che quando facciamo il tifo per la Nazionale di calcio si legge in faccia che siamo contenti di gridare tutti insieme.
Inglesi e Nino Manfredi
Che quando proprio non ce la facciamo più contro gli inglesi sembriamo Alberto Sordi in “Fumo di Londra” che studia da inglese e riesce a fare solo l’italiano. O come Nino Manfredi in “Pane e cioccolata”, emigrato in Svizzera che si ossigena i capelli per sembrare tedesco, parla in tedesco quasi come uno svizzero, ma quando segna l’Italia non si trattiene più, si scopre e si fa pure pestare.
Gli inglesi e la finale
C’è stato un po’ di tutto questo nella notte londinese da campioni d’Europa. Noi italiani siamo rimasti italiani nel bene e nel male, chiassosi, felici, spavaldi ma non prepotenti e arroganti, consapevoli che eravamo stati bravi ma anche un po’ fortunati. Che eravamo pronti ad applaudire gli avversari, a rispettarli non a deriderli.
Cosa non ha funzionato
Qualcosa dall’altra parte non ha funzionato. Gli inglesi hanno incominciato prima a pestare i pochi tifosi italiani a Wembley (che poi sono residenti a Londra dove lavorano da anni in ogni settore) e a bruciare per strada qualche bandiera tricolore. Poi hanno fischiato l’Inno Nazionale italiano. A partita finita i calciatori inglesi e lo staff, uno a uno, si sono sfilati dal collo la medaglia d’argento quasi volessero far capire a tutto il mondo di essere stati defraudati. Hanno lasciato il campo prima della premiazione, sono spariti con una presunzione e un’arroganza raramente viste in uno stadio.
Gli inglesi e la mancata ammissione di inferiorità
Erano forse convinti di meritare il titolo europeo solo perché sono inglesi, infatti si erano dimenticati del fatto che l’Italia aveva messo in mostra il calcio migliore del campionato, e anche che loro erano arrivati fin lì con la strada spianata da qualche rigore fin troppo generoso. Si erano anche dimenticati che nella finale avevano segnato con il solo tiro in porta in 120 minuti. Prima di parare i rigori, Donnarumma non aveva dovuto fare nessuna parata. Non c’è stato nessuno scandalo, l’arbitro è stato imparziale, ha vinto semplicemente chi ha meritato di più. Chi rifiuta la medaglia in fondo rifiuta se stesso, è il primo a pensare che non merita quel riconoscimento.
I precedenti
E’ pur vero che gli italiani nel ’90 ai mondiali fischiarono l’inno argentino, più che altro per paura di Maradona. Ma fu un errore inscusabile. È anche vero che qualche club italiano arrivato secondo in tornei europei si è comportato come gli inglesi, sfilandosi la medaglia. Ma si è trattato di club privati, non di una squadra nazionale. E qualche differenza c’è.
Quel 1982
Quando l’Italia nel 1982 ha vinto il Mondiale spagnolo, alla finale c’era il nostro Presidente della Repubblica Sandro Pertini che aveva accanto il cancelliere tedesco Schmidt che ha retto, lui sì, con fair play teutonico ai tre gol azzurri. E ad affiancare e il nostro festoso presidente, che ultraottantenne saltellava come un ragazzino, c’era il re di Spagna Juan Carlos, sorridente e complice nell’allegria.
In Inghilterra
A Londra c’era il nostro Presidente Sergio Mattarella, con tanto di mascherina, lasciato isolato. Certo sono tempi diversi, la pandemia contamina ogni settore e lo limita. Mattarella era solo nel dispiacere per il gol subito e nella gioia per quello fatto, entusiasta per la vittoria. Il principe ereditario inglese Harry era nel suo spazio con moglie e figlioletto: ha gioito per il gol inglese, l’ha presa male al gol italiano. Ci sta come tifoso, nessun problema. Ma non si è mai visto un erede al trono che non si complimenta col Presidente della nazione vincente. Forse la regina Elisabetta che regna da 68 anni avrebbe dovuto insegnare ai nipoti anche un po’ l’arte della sconfitta. Se Pertini a Madrid aveva avuto accanto un re, Mattarella a Londra avrebbe dovuto trovare almeno un principino.
Winston e gli inglesi
Winston Churchill era un grande uomo, ha vinto con merito una guerra contro il nazifascismo, pure un Nobel per la letteratura con la sua storia della guerra, anche se non era un grande scrittore. Churchill non risparmiava mai la sua opinione, forse pensava che il mondo se l’aspettasse. Sugli italiani disse una cosa del genere: che perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio. Lo diceva con la presunzione di essere il popolo che aveva inventato il calcio e anche con quella di essere imbattibile. Ebbene se c’è un giudizio che si adatta perfettamente a quanto è accaduto agli inglesi domenica scorsa a Wembley è proprio questo di Churchill. Provate a togliere italiani e sostituirlo con inglesi.
Totò insegna
Come diceva il grande Totò: “Signori si nasce e io modestamente lo nacqui”. Totò sapeva far ridere mettendo in evidenza i nostri difetti. Anche gli inglesi hanno avuto comici che hanno fatto ridere generazioni di padri e figli: Stanlio e Ollio non si sarebbero mai tolti dal collo una medaglia; nemmeno per far ridere.
Fair Play per gli inglesi? Pensiamo a Rashford
Forse davanti al calcio siamo un po’ tutti uguali, almeno nella incapacità di rassegnarsi alla sconfitta. Certo si sono già viste squadre che si strappano la medaglia del secondo, mai però una Nazionale. Va bene che quella inglese è una squadra che nella sua storia lunghissima, la più lunga al mondo, ha vinto un solo campionato del mondo e nessun campionato europeo, e non è mai arrivata in finale; ma tutto questo avrebbe dovuto far apprezzare di più un quasi titolo. Soprattutto pensando che si tratta di una squadra molto giovane e che promette benissimo. Invece proprio i giovani – che hanno sbagliato i rigori – sono stati i più maltrattati con attacchi razzisti da tifosi e social, specie se di colore. Il talentuoso Marcus Rashford, che ha raccolto decine di milioni per garantire pasti e cure agli inglesi più poveri durante la pandemia, è stato offeso, il suo murale sfregiato. Effetto anche di un clima politica strano seguito alla Brexit e all’esasperazione di un nazionalismo insano.
Il calcio è un gioco
Ma il problema resta legato al calcio, che non è una guerra anche se qualche volta sugli spalti e nel dopopartita assomiglia. Bisognerebbe dare al gioco il valore del gioco, anche quando un trofeo ci fa sognare, ci fa pensare che siamo andati oltre allo sport, oltre a un rigore segnato o parato. Anche quando confondiamo pallone e pil. Anche quando nell’euforia scordiamo i pericoli nascosti perfino nella gioia in tempi non esattamente da folla allo stadio.
Quel viaggio lo avrebbero fatto anche gli inglesi
Quel viaggio della Coppa sull’autobus scoperto era prevedibile, lo avrebbe fatto qualsiasi nazione vincente, lo avrebbero fatto anche gli inglesi. Un viaggio, in fondo, che è la cartina al tornasole del momento che viviamo: siamo imbattibili nel sogno, dobbiamo solo stare più attenti alla realtà.