Non si placano le polemiche nel mondo politico italiano nel quale si sono formati due gruppi contrapposti, che ricordano la famosa disputa fra guelfi e ghibellini. Parliamo del tema legato al disegno di legge sull’omotransfobia, chiamato Zan dal nome del primo firmatario. Una legge che fa discutere tutta la società, non solo il mondo politico. Le critiche sono spesso quelle di essere qualcosa di poco chiaro. C’è chi ne denuncia i limiti e certi aspetti non precisi; chi addirittura ne vede pericoli futuri. In realtà cerchiamo solo di fare chiarezza.
La Santa Sede chiede chiarezza
L’argomento è di quelli forti, investono la società nel complesso. Naturale che abbia mostrato qualche preoccupazione anche la Segreteria di Stato della Santa Sede che, attraverso una nota verbale indirizzata all’ambasciatore italiano in Vaticano, ha chiesto un chiarimento su alcuni passaggi e ha suggerito la possibilità di una differente modulazione del DDL Zan. Nella nota nulla vi è circa la contestazione della legittimità di garantire alcune categorie di persone, ma si demarca il possibile rischio di lacerare le libertà che sono comminate nella revisione dei Patti lateranensi, quale vero e proprio trattato internazionale bilaterale tra soggetti sovrani.
I punti sui cui fare chiarezza
In sostanza, la Segreteria di Stato ovvero la sezione dei Rapporti con gli Stati (corrispondente al nostro Ministero degli Esteri), nella nota verbale n.9212/21/RS, consegnata all’ambasciata d’Italia, accreditata presso la Sede apostolica, evidenzia delle criticità presenti nel DDL ZAN contro l’omotransfobia che rischia di ridurre la libertà garantita alla Chiesa cattolica relativo all’organizzazione, al pubblico esercizio di culto e via discorrendo. Ci si riferisce al Concordato stipulato con modifiche il 18 febbraio 1984 tra l’allora Segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli e l’ex Presidente del Consiglio Bettino Craxi. Accordi che rispondevano alle domande se i principi costituzionali di libertà sanciti dalla Costituzione Repubblicana potessero rappresentare in qualche modo un limite alla libertà della Chiesa cattolica di poter svolgere il suo mandato. Da ricordare che i Patti Lateranensi erano stati firmati l’11 febbraio 1929 tra l’allora Segretario di Stato Vaticano cardinale Gasparri e il capo dello Stato Benito Mussolini, capo anche del Fascismo. C’era in Italia la monarchia.
La nota verbale
Il riferimento della nota verbale di questi giorni si focalizza sull’articolo 2, paragrafo 1, in cui si evince che “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”, e al paragrafo 3, statuisce che “è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Il contrasto con il Trattato lateranense
Il Trattato Lateranense, revisionato negli anni Ottanta del secolo scorso, garantisce alla Chiesa cattolica dei diritti protetti proprio dal nostro ordinamento costituzionale. I profili delineati nella nota verbale, già citati prima, per la Santa Sede rischiano di essere circoscritti dal DDL Zan, in particolar modo dall’articolo 4 in cui si evince che “ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compi- mento di atti discriminatori o violenti”. Dunque, la Sede apostolica non è intenzionata a contestare la tutela garantita a una gamma di persone, pur considerando che lo Stato italiano è nella sua piena titolarità e libertà di adottare scelte politiche, tanto meno si vuole mettere in discussione il compito dell’Italia di poter legiferare senza ingerenze altrui e nemmeno porre in discussione la laicità dello Stato (dopo che Draghi ha ribadito che l’Italia è uno Stato laico), piuttosto intende demarcare che alcuni aspetti della disposizione del DDL ZAN possono urtare con l’adempimento che l’Italia ha preso con la revisione dei Patti del Laterano. L’aspetto molto delicato concerne la fragile garanzia della libertà di espressione e di convinzione e di manifestazione di pensiero.
Il mio parere
A mio parere, il punto di preoccupazione per la Santa Sede sta nel fatto che le libertà garantite ai cattolici di unirsi, di manifestare il pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, che sono proprio le espressioni costituzionali possano essere compromesse.
Di certo, il DDL ZAN necessita di alcune modifiche, lasciando perdere la laicità dello Stato italiano che non è in pericolo: ci sono dei passaggi al momento poco chiari come la norma riguardante la garanzia del pluralismo delle idee e libertà di scelte che si reputa contradditoria e lacunosa, soprattutto nel senso che ci possa essere il rischio di sanzionare a livello penale espressioni o atteggiamenti che possono ricondursi a convincimenti. La legge comunque deve essere ancora discussa e approvata dalla seconda Camera e questo offre la possibilità di perfezionamento e di accordo.
Parolin chiede solo chiarezza
La posizione del Vaticano – come è stato ben spiegato dal Segretario di Stato Parolin – non soltanto non intende mettere in discussione la laicità dello Stato Italiano e la completa autonomia del Parlamento, soprattutto non intende nemmeno accennare a porre delle limitazioni alla garanzia per individui fragili o alla dignità di ciascun essere umano, a prescindere la sua condizione. Si può tranquillamente sostenere che l’intervento della diplomazia vaticana è stata solo una segnalazione posta in risalto di un eventuale rischio che si vorrebbe evitare.
Il cardinale Parolin, quasi a sgomberare il campo da giullari di corte che si sono stracciati le vesti, ha ribadito che la preoccupazione concerne “i problemi che potrebbero derivare nel caso fosse adottato un testo con contenuti vaghi e incerti, che finirebbe per spostare al momento giudiziario la definizione di ciò che è reato e ciò che non lo è. Senza però dare al giudice i parametri necessari per distinguere. Il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago. In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate, finché si è in tempo. L’esigenza di definizione è particolarmente importante perché la normativa si muove in un ambito di rilevanza penale dove, com’è noto, deve essere ben determinato ciò che è consentito e ciò che è vietato fare”.
Una triste considerazione
Purtroppo, in questi giorni tutti sono impegnati a dare pareri senza avere approfondito in maniera attenta e dettagliata il tema delle libertà e delle garanzie. Come ha detto il grande Imperatore, filosofo e scrittore romano Marco Aurelio: “Il parere di diecimila uomini non ha alcun valore se nessuno di loro sa niente sull’argomento”.