Dall’11 giugno buona parte di noi ha dismesso, forse temporaneamente, i panni del virologo per prendere possesso del nuovo incarico come CT della Nazionale di calcio: abbiamo un nuovo argomento, gli Europei, che potrà catalizzare l’attenzione e il dibattito per almeno qualche tempo. Questo è un bene dopo troppi mesi in cui la pandemia è stata l’unico elemento centrale nella vita del paese. Si può sperare che l’effetto catalizzatore del campionato europeo sia forte: in Italia il ruolo catartico del calcio è tanto efficace che già Churchill diceva che “gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”. Quindi confidiamo che, a distrarci dalle restrizioni, dal dibattito sul Green Pass e dalle difficoltà economiche, ci saranno molte discussioni, analisi e polemiche calcistiche.
La polemica, un rito sociale
È proprio sulle polemiche che vorrei concentrarmi un secondo. A meno di una vittoria totale degli Azzurri con annichilimento di ogni avversario per almeno 3 a 0 fino alla fine del torneo e dominio del gioco, ci saranno polemiche. La polemica, come ogni tipo di conflitto, è un rito sociale che ha una funzione di regolazione delle gerarchie e di creazione di idee e nuove soluzioni. Da una parte le persone si confrontano per far emergere le proprie percezioni e convinzioni e trovare supporto e rendersi visibili. Dall’altra le idee “vincenti” possono essere contaminate e cambiate nel dibattito, anche acceso, e diventare migliori. Oppure, nei casi migliori, possono addirittura emergere nuovi modi di vedere le cose e di agire. Pertanto il conflitto e la polemica in sé non sono il male assoluto, anzi rappresentano un fattore di evoluzione sociale oltre che una valvola di sfogo. Tuttavia ogni conflitto, polemiche mediatiche comprese, ha in sé il rischio di sfociare in qualcosa di distruttivo.
Il rischio che la polemica diventi conflitto
L’uso di parole eccessivamente accese, il portare una polemica sul personale, l’insulto: sono solo alcuni dei modi in cui una polemica può diventare un conflitto grave. Dal dirsi in disaccordo che le idee di un altro a dargli dell’ignorante (o peggio) il passo è breve ma le conseguenze possono essere completamente diverse. L’effetto di deumanizzazione nei social network rende questi rischi estremamente più alti, è chiaro che insultare una persona o un gruppo sia più facile da dietro un computer che guardandosi in faccia. E non si tratta nemmeno di vigliaccheria: nelle interazioni a distanza è molto le capacità empatiche e di misurazione delle proprie parole è più difficile. Il punto è che fino a pochissimo tempo fa l’accesso ai media, fondamentalmente la TV, era ristretto a poche persone molto “addestrate” alla comunicazione, oggi è disponibile a tutti e gli effetti sulla conversazione sociale sono evidenti. Bastano poche persone che si rapportano con cattiveria per dare il tono a migliaia di altre, bastano poche parole per attirare reazioni violente, basta una disattenzione per scatenare una tempesta.
La gentilezza può salvare la società
E allora usiamo il calcio – che, oggettivamente, ci tocca ma non è una questione di vita o di morte – per addestrarci collettivamente alla polemica generativa. Diciamo ciò che pensiamo e contrastiamo le idee che non ci piacciono, caliamoci nel dibattito nella misura in cui vogliamo farlo, non tratteniamo le nostre opinioni. Ma coltiviamo gentilezza ed empatia, ricordiamo che le persone a cui ci rivolgiamo e quelle che commentiamo hanno sensibilità, sentimenti, emozioni proprio come noi. Ricordiamo che l’esempio che diamo con il nostro comportamento raggiunge molte più persone rispetto a quelle che possiamo vedere e percepire. La gentilezza e l’empatia possono salvare la società, ma bisogna sceglierle giorno dopo giorno. Avere questo potere nelle nostre mani ci da un ruolo attivo e una responsabilità nei confronti di tutti: non sprechiamola.