Il mondo della canzone può essere letto anche attraverso i suoi diversi “repertori” che possono riferirsi a specifiche condizioni di vita, come quella dei carcerati a cui faremo riferimento in questo articolo, al lavoro, a momenti storici particolari e così via. L’abbiamo già visto: tutto può essere raccontato da una canzone, raramente una canzone non racconta qualcosa. In questo e nei prossimi articoli affronteremo alcuni repertori di solito meno frequentati.
Si inventano le canzoni della mala
È il 1956 quando una giovane studentessa dell’Accademia d’arte drammatica del piccolo teatro di Milano diretta da Giorgio Strehler esordisce come cantante. È una voce molto particolare. Figlia della Milano bene, con un padre industriale farmaceutico e studi in collegi esteri Ornella Vanoni, questo è il suo nome, si presenta cantando le canzoni della mala milanese.
Da dove uscivano questi canti, quale ricerca era stata condotta per riportarli alla luce, ci si chiedeva. Nulla di tutto ciò. Si trattava semplicemente di una geniale invenzione del suo pigmalione Giorgio Strehler e di musicisti e scrittori come Giorgio Gaber, Dario Fo, Gino Negri, persone che hanno fatto dello sberleffo una forma di espressività artistica e musicale e che, in questo caso, hanno costruito a tavolino un mondo, un clima, un repertorio.
Ornella Vanoni è ancor oggi, che da qualche giorno ha annunciato il suo addio alla scena, una delle voci più straordinarie del panorama musicale italiano.
Ci sono canzoni del carcere “vere”?
Questa vicenda ha portato ricercatori e appassionati di musica popolare a chiedersi se esistevano canzoni della mala vere, nate davvero nel mondo delle carceri, del crimine.
Serve chiarire che eravamo alla fine degli anni sessanta e in quel momento il panorama musicale italiano stava rapidamente cambiando, come abbiamo già visto in incontri precedenti.
Se nel canto popolare spesso si racconta di vicende che si situano tra i due valori estremi del bene e del male, che cosa meglio della canzone poteva raccontare un mondo in cui questi valori assumevano connotati stravolti, estremi?
La malavita italiana si racconta
In realtà sin dall’inizio del ‘900 nelle ricerche e nelle raccolte di canti popolari comparivano testi di canti legati al mondo della malavita.
Un canto di carcere simile per musica e contenuto è ancor oggi ancor molto diffuso a Venezia e nel Veneto. L’origine della versione sotto riportata può essere collocata nella seconda metà dell’Ottocento in quanto in un suo verso vengono citati i marenghi d’oro, moneta italiana pregiata coniata dal 1861 al 1897. Potete ascoltarlo in una mia interpretazione dal vivo del 1967, all’interno dello spettacolo “Tera e Aqua” del Canzoniere Popolare Veneto.
Anche Milano aveva la sua mala “vera” che celebrava nel canto i suoi eroi e le sue eroine, come “la povera Rosetta” alla quale fu dedicato uno dei testi più noti ed eseguiti.
Ecco la famosa canzone nella superba interpretazione dei Milly.
La malavita raccontata: mafia e briganti
In Sicilia un grande folclorista Giuseppe Pitrè, da molti considerato uno dei padri della scienza folclorista in Italia, dedicò una parte del suo tempo alla raccolta delle “vicariote”, così chiamate perché nate nel carcere la Vicarìa di Palermo. Esse si diffusero anche ad di fuori degli ambienti malavitosi, tra i contadini e i carrettieri e divennero canti di larga popolarità.
Non fu facile documentare e studiare a livello nazionale un repertorio che rivelasse le condizioni di vita dei detenuti. Un po’ per la sua frammentazione, ma soprattutto per la reticenza dei carcerati a rivelarlo, temendo ripercussioni e ritorsioni.
Al contrario fiorirono nel mondo carcerario racconti e canti di efferati delitti, anche sull’impronta dei cantastorie che ampio spazio diedero a queste vicende nella diffusione dei loro “fatti”.
Nel sud infine dominavano la scena le vicende del mondo brigantesco e le stesse rimbalzavano sui fogli volanti stampati e distribuiti al nord, assieme a quelli riguardanti il brigantaggio settentrionale, meno diffuso, ma egualmente drammatico, basti ricordare, su tutte, la storia del Passatore, brigante romagnolo definito “cortese”, ma che troppo cortese non fu con i suoi avversari.
La canzone sociale e il carcere
Negli anni Settanta fiorirono canti di autori definiti “politici” sulle condizioni di vita nelle carceri. Siamo nel periodo della contestazione studentesca e operaia, tema che affronteremo in altre pagine, e oltre alle piazze, le fabbriche e le scuole diventano terreno dello “scontro di classe” anche le caserme e soprattutto le carceri.
I detenuti politici, che diventano sempre più numerosi, hanno buon gioco a guidare proteste e rivolte anche con settori della delinquenza cosiddetta comune. I canti di vari autori che incontreremo racconteranno queste rivolte e lanceranno le parole d’ordine per sostenerle verso l’opinione pubblica militante.
Il lavoro di Alberto D’Amico
Alberto D’Amico ha dedicato una parte consistente del suo lavoro compositivo, in particolare negli anni 70 e 80, ad un attento e partecipato racconto della vita e della “cultura di base” del mondo del carcere veneziano. Sono nate canzoni e storie di struggente drammaticità e sincerità. Ci hanno messo in diretto rapporto con un mondo che ci viveva a fianco. Immaginandolo a volte molto più lontano.