Il Direttore mi ha chiesto una recensione su “Chiamati a risorgere”, il libro forse più straordinario che ho letto in questi giorni di solitudine forzata, ma gli ho risposto che non posso. Non posso perché non sono capace di giudicare nessuno e figuriamoci un’opera simile, dove tutti veniamo richiamati, a volte anche con asprezza, alle nostre responsabilità di credenti. Ma non posso anche perché lo ha scritto un amico, Aldo Bertelle, un signore che ho conosciuto a Villa San Francesco, una straordinaria casa a specchio del Grappa, sopra Pedavena. E’ un posto magico, dove il cancello è sempre aperto e secondo il pittore Vico Calabrò, l’artista che ha illustrato queste pagine, nelle notti d’estate si danno appuntamento gli angeli per fare girotondo.
Un mondo da favola dove risorgere
E’ lì che vive da sempre, con una sterminata tribù di figli di tutte le età ( dagli anni Settanta se ne sono alternati circa 6000) l’autore di quest’opera, talmente strana, così eccezionale nel suo genere, da costituire un evento a sé. E se ho usato una parola così grossa chiedo scusa, ma non trovo altro modo per giudicare l’uscita di un libro, che ha esaurito l’intera tiratura prima ancora d’essere stampato.
Un libro non facile ma aiuta a risorgere
Roba da pazzi direbbe qualcuno, che non è abituato però ai piccoli miracoli di questo posto, dove il medico condotto, il capostazione, il preside e il capitano degli alpini si ritrovano per ridare lucentezza agli ottoni e strappare le erbacce. Invece è andata proprio così e il bello è che nessuno sapeva prima di cosa in particolare questo volume trattasse. Scommetto, anzi, che in molti non saprebbe neppure ora che lo hanno letto spiegarne con chiarezza il contenuto. Non c’è infatti una trama, un soggetto particolare, una storia più o meno ben raccontata da descrivere.
Quando c’è molto di più
Qui c’è molto di più: lo stupore per la bellezza della vita vera, sudata, da conquistare ogni giorno; l’invito a rifiutare tutti i luoghi comuni di un falso benessere ed i segni esteriori di chi regala solo fumo ( “La cattedra del testimone non è fatta di legno e di metallo, è di terra, all’altezza del pavimento, alla misura del discepolo”); il bisogno di una religiosità nuova, dove ogni casa diventa una piccola chiesa e la luce che vi brilla è la stessa. Il libro non è consigliato a nessuno in particolare, ma chi è tanto impegnato a costruire distinguo e steccati dovrebbe leggerlo con molta attenzione. Magari potrebbe trovarci qualche risposta importante alle sue sterili ansie di contaminazioni, purezza di razza e supremazia.
Dai sogni “banali” al risorgere per una casa e uno studio
Sapete cosa distingue un qualsiasi diciottenne delle nostre terre da un altro, arrivato magari da terre lontane? Il colore della pelle, forse, ma soprattutto i sogni. Marco da Belluno vorrebbe la “Mini” che gli sta tanto a cuore; Alvise da Chioggia, un motore più potente per il barchino; Leopoldo da Verona, un viaggio premio a Zanzibar per la maturità. Niente di eccezionale. Issa Sy, invece, che a diciotto anni ha sputato letteralmente sangue, vissuto in schiavitù e sfidato la morte in mare per poter arrivare fin qui dal Mali, ne ha due molto più semplici: poter finalmente dormire di notte e studiare.
La differenza non è poca e sta a noi chiederci perché. Non preoccupatevi, comunque, “Chiamati a risorgere”, non è una riscrittura del libro Cuore con qualche moderno Garrone, ma una eccezionale testimonianza dell’autore e dell’universo che gli gravita intorno. Con una riflessione che rimbalza in sottofondo ad ogni pagina : se siamo chiamati a risorgere è chiaro che dobbiamo anche prepararci. Se necessario metterci in gioco senza paura, spendendo quando serve anche una parte di noi stessi.
Un libro, una casa, un risorgere lentamente
Per questo il libro è così intenso, vivo e a volte sofferto, tanto da non tollerare letture affrettate. Ogni passo sono sprazzi di vita vissuta, esperienze da meditare, dove il dolore, quando c’è, si coniuga sempre con la speranza. Forse lo avete già capito, non è un libro facile anche se la lettura scorre con fluidità perchè il linguaggio è diretto. L’autore detesta infatti i luoghi comuni e le parole che usa sono sempre “masticate”, figlie della quotidianità di ogni giorno. Ma proprio per questo richiede in cambio impegno, partecipazione attiva.
E’ capace di coinvolgerci talmente tanto, da obbligarci ad un esame di coscienza non sempre facile. Prima sui nostri principi, poi sul nostro abituale modo di vivere. Che, diciamolo francamente, è centrato quasi sempre su noi stessi o al massimo sulle persone che ci sono più care. Come se tutti gli altri, quelli che incontriamo ogni giorno per strada e magari hanno bisogno di una mano o una semplice parola, non fossero lo stesso nostri fratelli e sorelle.
Aldo Bertelle e la sua “casa” per risorgere
Aldo Bertelle, uno che sa sporcarsi le mani di terra se necessario e non crede che serva una cattedra per farsi ascoltare, quando l’ho visto la prima volta, nel 1979, aveva poco più di vent’anni. Ma già allora era un tipo fuori del comune. Tra infissi pieni di spifferi e letti cigolanti, portava avanti una casa dove 52 ragazzi con difficoltà familiari e personali, inviati dal Tribunale dei minori, cercavano di ritrovare serenità ed affetto dopo esperienze terribili. Arrivavano qui e sembravano dei fiori calpestati.
Alcuni si rifiutavano di parlare, altri chinavano la testa tra le ginocchia e non volevano guardare nessuno; un fratello e una sorella costretti a vivere in un porcile non riuscivano a staccarsi l’uno dall’altro nemmeno per un momento; una ragazzina di buona famiglia incatenata per mesi ad un termosifone non sapeva più camminare. A guardarli veniva voglia solo di piangere. Poi, però, dopo qualche giorno, li scoprivi a guardarsi cautamente intorno, a controllare che nessuno volesse fargli ancora del male. Ci voleva tempo, perché la fiducia non si regala, ma alla fine su quei volti straniti si riaccendevano i colori e qualche timido sorriso, gli occhi perdevano quella fissità sgranata che prima li isolava dal mondo.
Chi è
Lui, Aldo, formalmente era il direttore di tutto, ma nessuno dei ragazzi lo ha mai chiamato così perchè era molto di più: lo consideravano quel padre che non avevano mai avuto o li aveva dimenticati. Un padre sempre presente, che dava sicurezza ed era capace di starli a sentire con pazienza, anche quando parlavano dei loro sogni. Gli scrivevano ogni giorno letterine che grondavano affetto e bisogno d’amore.
Cominciavano tutte nello stesso modo: “Caro Aldo…” E giù i segreti affanni di infanzie violate, i sogni di chi ricomincia a sentirsi bambino e ha le scarpe rotte. Lui rispondeva a tutti e Dio sa quanto tempo ci perdeva. Le notti d’inverno in quella villa di mezza collina di fronte al Grappa sono lunghe e fredde, ma dev’esser vero che l’amore scalda sempre più del fuoco. Come in ogni casa che si rispetti anche lì, però, per poter vivere insieme, era necessario prima rispettarsi. Si usa in tutte le famiglie piccole e grandi, dove esistono da sempre regole chiare di civiltà: io faccio una cosa, tu un’altra; oggi spetta a me, domani a te. E lui, direttore di vent’anni, dopo averle sempre discusse prima con tutti, alle regole ci teneva. Prima perché dal punto di vista educativo le riteneva importanti, poi perché senza non sarebbe stato proprio possibile andare avanti.
Basta una casa, un gesto e tutto risorge
Provate ad immaginare ad un posto, dove all’ora di pranzo 52 tra bambini e ragazzi si accostano a lunghi tavoli dalle tovaglie bianche; provate a pensare al chiasso che nasce e all’inevitabile confusione. Ci siete riusciti? Bè, qualsiasi cosa abbiate pensato, può forse andar bene per una mensa aziendale, ma per Villa San Francesco no. Qui, era tutto ordinato. I ragazzi, a gruppi che si turnavano ogni giorno, avevano il compito di riempire le brocche d’acqua, allineare i cestini del pane, accostare vicino ai piatti tovaglioli e posate. Poi, quando arrivava il momento, ad uno sguardo di Aldo tutti gli altri in attesa si sedevano insieme.
E c’era sì il rumore delle sedie smosse, il normale brusio di cui non possono fare a meno i ragazzi, ma subito dopo tornava il silenzio, perché ogni pasto era preceduto dal ringraziamento al Signore. Che veniva eseguito a mani giunte. Soltanto dopo arrivavano la minestra con tutto il resto ed è chiaro a quel punto che era una gara a finire prima, come succede in tutte le case. Perché soprattutto ai ragazzi, allora come oggi, l’appetito, grazie a Dio, non manca mai. Alla fine, poi, c’era un altro rito che accomunava tutti e che sembrava ereditato pari, pari, dalla tradizione dei vecchi filò. Prima di alzarsi, se qualcuno aveva un’esperienza per lui importante da raccontare veniva invitato da Aldo a farlo. Ed era la condivisione tra fratelli delle difficoltà e delle gioie della vita di ogni giorno. Quella che dava un senso alla vita di Comunità.
Il mio ricordo
Era il 1979, da allora Villa San Francesco è rimasta sempre aperta, ma la Comunità di strada ne ha fatta tanta e si è aperta come un girasole. Undici anni dopo a Feltre viene inaugurata “Arcobaleno 86”, la prima cooperativa di solidarietà sociale dell’intera provincia di Belluno. Intorno a un vecchio casolare rimesso a nuovo con grande fatica spuntano serre modernissime dove un gruppo di ragazzi ormai diciottenni, cresciuti in Comunità, diventano padroni del loro destino. Coltivano e vendono fiori tutto l’anno, curano l’agriturismo, aprono un laboratorio di vetri e ceramiche.
Dietro a tutto c’è l’occhio vigile e la mano ferma del nostro direttore che non si ferma mai ed ha un pallino da sempre: la memoria non può andar dispersa. Dobbiamo sapere chi siamo e da dove veniamo, la conoscenza è la nostra forza.
Una casa per un sogno e per risorgere
Ed ecco così nascere nella vecchia stalla il museo dei Sogni, visitato ogni anno da migliaia di studenti, dove sono state raccolte le acque e le terre di tutti i Paesi del mondo, che qui finalmente convivono in pace. Le hanno inviate Capi di Stato e ambasciatori con tanto di sigilli e spiegazioni scritte, perché arrivano tutte da luoghi in qualche modo segnati dalla storia. Anche in maniera tragica. Da Hiroshima, la città martire, al posto della terra, una delegazione ha voluto portare un pacco prezioso: una tegola pietrificata del primo bombardamento atomico.
Non dimenticare
E visto che la storia ha sempre bisogno di testimonianze vissute, appena fuori la Cooperativa è parcheggiato da anni anche un vecchio carro merci delle ferrovie. Era stato usato, durante la seconda guerra mondiale, per trasportare gli ebrei ai camini di Auschwitz. Il funzionario del dipartimento di Verona che aveva ricevuto la richiesta di Aldo (“i ragazzi devono sapere cosa è successo”) all’inizio aveva scosso la testa.
Poi però ci aveva ripensato, aveva preso informazioni e alla fine il vagone era arrivato su un convoglio speciale, con tanto di scorta della polizia. Tutto a spese, è giusto dirlo, delle Ferrovie dello Stato. Adesso è qui ed è un passaggio obbligato lungo la strada della memoria, del tempo terribile delle belve feroci. Chi ci sale dentro per una preghiera ha una strana sensazione. Si dice che il legno viva sempre. Questo, dopo quasi ottant’anni, ha ancora un odore di morte: trasuda del terrore e delle lacrime di tante creature, portate come bestie al macello.
A volte scrivere è difficile
Di sicuro non sono riuscito a darne un’idea precisa, ma lo dicevo già in partenza. Parlare di questo libro è troppo difficile, come è complicato dare un’idea dei 46 anni di vita di Villa San Francesco a cui è intimamente legato. Sicuramente ci riusciranno meglio i cinquanta ragazzi di tutta Italia ai quali è stato inviato con la richiesta di una recensione. Che alla fine, mi piace pensare, si tradurrà in una preziosa riflessione scritta. Perché, come dice Aldo, quello che conta è ragionare insieme, sentire soprattutto il parere di chi non ha voce.
Una casa ispira la storia
Almeno su una cosa però non ho dubbi. Anche se negli anni la Comunità si è arricchita di tante altre solide strutture (Casa Aurora, Casa degli Affreschi, Foresteria Emmaus ), è sicuramente tra le mura di questa antica villa di mezza collina, magari sotto gli occhi dei prediletti Toni e Maria Rosa, che Aldo ha scritto questa sofferta e insieme gioiosa, testimonianza di vita. Non avrebbe potuto essere altrimenti, perché i primi “Chiamati a risorgere”, secondo lui, verranno proprio da qui. Saranno in seimila. E alla fine anche il Signore avrà il suo bel da fare.
“Chiamati a risorgere” di Aldo Bertelle (illustrazioni di VicoCalabrò). Edizioni: Quaderni della Comunità di Villa San Francesco. Prezzo consigliato: 9,50 euro. Il volume va richiesto alla COMUNITA’ DI VILLA SAN FRANCESCO, Facen di Pedavena, Belluno. I proventi del libro saranno devoluti al Comitato pro Villa San Francesco e al FIE, Fondo d’investimento educativo della Comunità per i ragazzi oltre i 18 anni.
Immagini di Vico Calabrò