8 febbraio – 1 marzo 1996. 23 giorni. 23 interminabili giorni di angoscia, paura e morte che hanno sconvolto e terrorizzato la popolazione di Merano, un paese della Provincia Autonoma di Bolzano. In meno di un mese 6 vittime, tutte freddate con un colpo d’arma da fuoco alla testa. Vittime casuali, scelte senza alcun criterio logico apparente, uccise mentre passeggiavano in centro città o intente a svolgere le loro attività quotidiane.
Un caso difficile a Merano
Un caso che si era mostrato sin da subito notevolmente complesso, e in cui la procura e forze dell’ordine inizialmente brancolavano nel buio. Quel buio delle strade deserte di Merano, un buio così temuto dai suoi stessi abitanti da rendere spettrali le vie del centro, da renderla una vera e propria città fantasma in cui solo le forze dell’ordine osavano avventurarsi.
Nessuna apparente linea di contatto tra le vittime, nessun legame, solo un’interminabile scia di sangue.
Merano e quell’8 febbraio
È l’8 febbraio 1996. Un funzionario di banca, 61 anni, e la sua amante, 50enne, vengono entrambi brutalmente assassinati con un colpo di pistola alla testa mentre passeggiano lungo il torrente Passirio. Le forze dell’ordine ipotizzano inizialmente un movente di tipo passionale, o addirittura di omicidio su commissione. Viene vagliata anche la pista economico-patrimoniale legata al funzionario di banca. Ma nulla è più lontano dalla verità.
Merano ha paura
Meno di una settimana dopo, il 14 febbraio, le ipotesi degli inquirenti vengono smentite da un altro omicidio avvenuto nella frazione meranese di Sinigo: un contadino di 58 anni viene ucciso nei pressi della sua abitazione, sempre con un proiettile alla testa. L’arma è stessa dei primi due omicidi, ed anche il modus operandi risulta il medesimo. A fronte di quanto accaduto e degli indizi schiaccianti, l’autorità giudiziaria, e di conseguenza i media, iniziano a propendere per l’ipotesi di omicidio seriale, ad opera di un solo colpevole.
Il primo arresto
Con l’accusa di essere il serial killer che sta terrorizzando da ormai due settimane la città di Merano, viene inizialmente arrestato un uomo, testimone oculare del primo duplice omicidio e reo di aver fornito agli inquirenti un falso identikit del presunto assassino. Ma mentre quell’uomo è in custodia, il 27 febbraio, in pieno centro storico a Merano, viene ucciso un ragioniere di 36 anni, che sta passeggiando mano nella mano con la fidanzata, scampata miracolosamente all’attentato.
Il mostro di Merano colpisce ancora ma arriva l’identikit
Le forze dell’ordine scagionano l’uomo che era in cella e con l’aiuto della fidanzata dell’ultima vittima riescono a tracciare l’identikit del serial killer: è Ferdinand Gamper, 39 anni, un contadino altoatesino di madrelingua tedesca. Non tarda tuttavia ad essere uccisa, di lì a poco, la quinta vittima, il vicino di casa di Gamper, un muratore di 58 anni.
Il serial killer scappa ma uccide ancora
Il serial killer si dà alla fuga asserragliandosi nel maso di sua proprietà. Un’ingente task force viene inviata per catturare il colpevole di quei cinque brutali omicidi. Tra loro un maresciallo dei carabinieri, che si avvicina al nascondiglio di Gamper per tendergli una trappola. Gamper però preme il grilletto e spara un colpo al volto del maresciallo, che morirà poco dopo in ospedale.
Il Mostro di Merano lascia per sé l’ultimo colpo
Gli agenti circondano il maso, Gamper non ha scampo. All’improvviso si ode uno sparo: Gamper si è suicidato, puntando contro di sé l’arma che aveva utilizzato per commettere tutti e sei i delitti.
Dopo settimane di terrore, l’incubo era finito: Ferdinand Gamper, il cosiddetto “Mostro di Merano”, ha lasciato per sé l’ultimo proiettile del suo fucile calibro 22.
Tante ipotesi
Diverse sono state le ipotesi dell’autorità giudiziaria, degli inquirenti e dei giornali in merito al movente degli omicidi. Ma il suicidio di Gamper non permetterà mai, né ora a distanza di 25 anni dalla vicenda che scosse per sempre la città di Merano, né all’epoca dei fatti, di comprendere realmente cosa abbia spinto quel giovane di 39 anni, ad uccidere 6 persone in meno di un mese.
Chi era Gamper?
Non molto si sa dell’assassino. Ferdinand Gamper, nato nel settembre del 1957, è figlio di una povera famiglia altoatesina dedita al lavoro nei campi. Una famiglia schiva, chiusa, che non era solita intrattenere alcun tipo di relazione con i compaesani. La gente li ha sempre evitati perché aveva paura.
La madre di Ferdinand, che, in alcune interviste dopo la vicenda riguardante il figlio, aveva rilasciato discutibili dichiarazioni in merito ad una congiura di morte contro di lei, era stata già dichiarata insana di mente dal medico del paese. Si era separata molto tempo prima dal marito anche per il comportamento dell’uomo nei confronti dei figli. Ferdinand era anch’gli solitario e definito come una persona piena di problemi.
Veniva descritto come strano, come uno che stava sempre da solo, sembrava avesse quasi paura del contatto sociale. Si dedicava prettamente al lavoro nei campi ed aveva alcuni precedenti per oltraggio a pubblico ufficiale e ubriachezza molesta. Il fratello Richard si era tolto la vita 6 anni prima sparandosi un colpo in testa. Anche il padre, non molto tempo dopo il suicidio del fratello, era deceduto.
Due ipotesi probabili
Due, quindi, furono le ipotesi più probabili vagliate dagli inquirenti relativamente al movente degli omicidi: la prima riguardante una presunta schizofrenia di Gamper, una malattia mentale a sfondo psicotico in cui il soggetto perde totalmente il contatto con la realtà che lo circonda.
E la seconda, di matrice razziale, sottolineata perlopiù dalla stampa tedesca soprattutto a fronte di alcuni messaggi riportati su dei foglietti che gli investigatori avevano rinvenuto accanto ai corpi delle ultime vittime: “Sono un italiano emigrato e responsabile di infanticidio”, e ancora “anche questa volta siete arrivati troppo tardi”. Un ulteriore biglietto fu trovato a casa di Gamper, che riportava la seguente frase: “Viva la grande Germania. Non fermerete l’unione del Pantirol”.
Per il mostro di Merano l’ipotesi dello sfondo razziale
A fronte di nessuna diagnosi effettuata su Gamper, queste particolari prove rinvenute di fatto esclusero l’ipotesi della malattia mentale come movente e rinforzarono invece quella degli omicidi a sfondo razziale, per cui Gamper, mosso da un odio verso gli italiani, avrebbe ucciso le sue vittime con lo scopo di operare una sorta di pulizia etnica di coloro che riteneva indegni di abitare e vivere nel territorio tedesco.
Un fanatismo politico
Ma la scelta apparentemente causale delle vittime e il modus operandi, nonché il breve lasso di tempo tra gli omicidi, portano verosimilmente ad inserire quel “confuso fanatismo politico”, come lo definisce un articolo de La Stampa dell’epoca, all’interno di un quadro ben più complesso, fatto probabilmente di deliri ed elementi paranoidei, nonché di tratti di personalità stabili e pervasivi di tipo paranoide e antisociale.
Per il Mostro di Merano un desiderio di vendetta
Nei delitti compiuti da Gamper infatti, il comportamento antisociale manifestato attraverso le brutali uccisioni delle sue sei vittime sembra più orientato ad un desiderio di vendetta legato a tratti di sospettosità ed ideazione paranoide, unitamente ad un pensiero di tipo stravagante che ad un profondo bisogno di pulizia etnica. L’ideazione legata all’odio razziale sembra quindi essere legata più ad una sospettosità pervasiva della personalità e del pensiero di Gamper, il quale, reagendo con rabbia a stimoli irrilevanti, ha forse dato seguito ad una trama di fondo di tipo psicotico.