“Ma perché vi mettete ad intervistare i “veci”. Non cambia mai Gianfranco Zigoni, neppure a 77 anni. Intervistarlo è uno spasso, con lui è impossibile partire con le solite domande preconfenzionate. Con il “Zigo”, come lo chiamavano a Verona, sei “costretto” alla chiacchierata al bar (oggi chiusi causa lockdown) con un amico per affrontare assieme una brillante carriera calcistica. Un calcio di oltre mezzo secolo fa con qualche accenno a quello di oggi.
Chi è Zigo
Quella di Zigoni è una carriera di tutto rispetto anche se chi lo ha visto o affrontato ritiene che avrebbe potuto dare molto di più. Ma lui è felice lo stesso. E lo dice mentre è seduto vicino ad un impianto di tennis e si sta gustando una splendida giornata di sole. La sua è stata una vita un po’ “spericolata” fuori dal campo. Ma nel rettangolo di gioco ha dato tutto, ha ubriacato i migliori difensori dell’epoca a suon di dribbling. All’epoca chi giocava in difesa picchiava duro, spesso se non colpivano la palla si “orientavano” direttamente sulle gambe.
Gianfranco nasce nel 1944 in Quartiere Marconi (Oderzo) e ci tiene a precisarlo. “Qui nacquero anche Armando Buso il più grande pittore del ‘900 e Gabriella Farinon il “viso d’angelo” della televisione” ci tiene a precisare.
Il calcio dei bei vecchi tempi
I ragazzini all’epoca non indossavano tute e scarpini firmati o fatti su misura. Indossavano quello che passava il convento o meglio la famiglia, spesso indumenti del fratello maggiore che di taglia era cresciuto. Ma la voglia di calciare quella sfera superava qualsiasi impedimento. Si giocava ovunque, bastava avere spazi. Si sfidavano buche e avvallamenti, con un acquazzone il campo diventava un acquitrino, ma la voglia di calciare superava anche qualsiasi avversità atmosferica. Zigoni inizia nella squadra del Patronato Turroni messa in piedi dall’allora don Pietro Mazzarotto scomparso da poco. Quindi approderà alle giovanili del Pordenone. Bepi Rocco è un talent scout e da tempo ha visto che con la palla quel ragazzino fa quello che vuole. Lo accompagnò a Pordenone per un provino niente meno che con Juventus. L’osservatore per i bianconeri era Virginio Rosetta ex difensore e campione del mondo con l’Italia di Vittorio Pozzo nel 1934. Non ci pensa due volte Rosetta e porta subito a Torino il ragazzino di Quartiere Marconi.
Zigo racconta la sua chioma
Zigo amava portare il capello lungo così come George Best, Gigi Meroni o Ezio Vendrame. Più avanti si assoceranno al nuovo taglio Paul Breitner, Kevin Kegan e la Nazionale olandese. In quegli anni i capelloni rappresentavano una rottura col passato, erano trasgressivi e allo stesso tempo rivoluzionari. Erano gli anni del Fab Four e il capello lungo segnava una svolta. Zigoni conferma: “Ero un po’ come Best amavo la vita spericolata”. Alla Juve Italo Allodi rimprovera il giovane opitergino proprio per la lunghezza dei capelli. Zingoni replicherà: “tagliateli tu”.
A 19 anni in maglia bianconera il capolavoro
Trofeo Amistad, 8 maggio 1963 allo stadio comunale di Torino a sfidare la Juventus niente meno che il Real Madrid di Di Stefano e Puskas, la squadra che in pochi anni conquistò ben cinque coppe Campioni. Per la cronaca le merengues vinsero 3 a 1 ma Zigoni andò a segno con tanto di sombrero a Josè Emilio Santamaria uno dei più forti stopper (oggi si chiamano i centrali) al mondo. Lo stesso difensore dei blancos disse a Omar Sivori: “Ma chi è quel ragazzo. Mi sembra fortissimo”. A distanza di 57 anni Zigoni scherza ricordando quel gol capolavoro: “me l’hanno già detto che dopo Valentino Mazzola, Pelè, Sivori e Maradona ci sono io”. Due anni al Genoa in prestito, altri quattro in maglia bianconera, quindi Roma, Verona, Brescia, Opitergina e Piavon. Smise si giocare a 44 anni. Una presenza in Nazionale e due panchine in maglia azzurra. Ancora oggi è innamorato dei colori giallorossi, ma ancor di più di quelli gialloblu’ e dice: “Verona è la mia seconda mamma”. Un po’ anche all’Inter perché da ragazzino era un ammiratore di Lennart Skoglund detto Nacka attaccante svedese che all’Inter vinse due scudetti.
Zigo e la scommessa
Nel 1972 prima di Verona-Fiorentina va in scena una “zigonata”. L’attaccante arrabbiato per la panchina imposta da Valcareggi disse ai suoi compagni: “se non gioco entrerò in campo in pelliccia e con il cappello da cow-boy. Siete pronti a scommettere 10mila lire a testa?”. E così fece. Di ricordi Zigo ne ha un’infinità. Uno in particolare. “Ero al telefono con Sivori pochi mesi prima della sua morte. Omar mi ha sempre stimato. Ad un certo punto il figlio gli chiese: “papà con chi stai parlando”. Il fuoriclasse argentino rispose, con un grande giocatore ma pazzo”.
Zigo, ha giocato con i più forti della sua epoca ed è stato allenato dai mostri sacri del nostro calcio
“I due allenatori che più mi hanno sopportato sono stati senza dubbio Ferruccio Valcareggi e Gigi Simoni. Valcareggi una leggenda come uomo. Gigi un gentleman ma sapeva farsi ascoltare. Al Brescia vincemmo il campionato di serie B 1979-80. Gli dicevo Gigi fai giocare i giovani. Lui mi rispondeva: tu giochi fino a quando lo decido io. E se mi chiedeva di dargli una mano io gli rispondevo …te ne do anche due. A Roma mi allenò Helenio Herrera, il Mago però si era un po’ spento. Un grande motivatore”.
Zigo, una descrizione dei campioni con o contro i quali ha giocato
“Gigi Riva persona meravigliosa e uomo modestissimo. Pietro Anastasi in area di rigore una pantera. Nella nazionale juniores giocai con Roberto Boninsegna credo il più forte centravanti esistente, uomo onesto e serio. Anche se oggi con le diverse preparazioni atletiche i paragoni sono difficili. Ricordo anche Amarildo campione del mondo con il quale giocai a Roma e Cappellini centravanti velocissimo. Quindi uno dei “Re” dei registi Giacomo Bulgarelli. A Verona come compagno di reparto avevo Livio Luppi, forse troppo sottovalutato. Con lui mi sento ancora”.
A 43 anni compiuti un poker secco in terza categoria gli valse un titolone della “Rosea”
“Fantastico, giocavo col Piavon e andammo a vincere sul campo del Musile di Piave per 5 a 3. Siglai quattro reti e si trattava di un incontro importante per la nostra classifica. Nella mia vita calcistica di gioie ne ho avute tante davvero sia in serie A che tra i dilettanti”.
Zigo e il calcio di oggi?
“Una noia mortale, un po’ mi ha disgustato. Basta sfiorare uno in area, interviene la Var e decreta il rigore. Guardo solo mio figlio che milita nel Mantova e la Roma di sfuggita. Ma preferisco il rugby”.
Zigo, ma quale era il suo ruolo vero?
“Mi hanno fatto giocare all’ala destra e sinistra. Quasi tutta la vita in ruoli che non erano i miei. In realtà ero un dieci avanzato e a capire ciò fu il mister Roberto Lerici (detto il Frate per i modi garbati) che a Genova mi fece giocare mezzala”.