L’inchiostro versato sull’accordo Brexit, cioè la decisione della Gran Bretagna di uscire dall’UE, non si è ancora coagulato sulla carta. Un increscioso braccio di ferro si è venuto a creare circa la questione del concedere o meno le immunità diplomatiche piene e i privilegi al rappresentante dell’Unione Europea accreditato presso la capitale londinese. Questo atteggiamento del governo inglese ha suscitato forti perplessità negli ambienti di Bruxelles, reclamando e rammentando al governo di Boris Johnson che lo status diplomatico delle delegazioni UE è riconosciuto dalla quasi totalità della comunità internazionale nel rispetto della Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961.
Nota verbale verso la Gran Bretagna
L’Alto Rappresentante UE (cioè il Ministro degli Esteri europeo) ha presentato una nota verbale all’esecutivo inglese, ribadendo che la propria rappresentanza sia trattata alla pari delle delegazioni degli Stati terzi presenti a Londra. Il comportamento di Londra potrebbe portare a raffreddare i rapporti diplomatici con Bruxelles sino all’adozione di contromisure. Anche il Parlamento Europeo ha espresso il disappunto nei riguardi della Gran Bretagna, sostenendo che è inaccettabile che un Paese democratico si tiri indietro nel rispettare il principio di parità con gli Stati di residenza, in base al fatto che l’UE è un’organizzazione internazionale, con personalità giuridica, in quanto soggetto di diritto internazionale.
Stato terzo
Dopo la Brexit, il Regno Unito da stato membro dell’Unione è ritornato ad essere uno Stato terzo. Pertanto, la rappresentanza UE resta una vera e propria delegazione permanente diplomatica con una propria ambasciata a Londra, con compiti di carattere politico, economico, culturale e, se necessario, anche di sicurezza e difesa.
La speranza di Bruxelles
Quello che Bruxelles si aspetta da Londra è la marcia indietro attraverso il riconoscimento pieno dello status diplomatico al loro rappresentante per evitare conseguenze negative che potrebbero influire sui rapporti diplomatici. È vero che gli inglesi non hanno spesso accettato di riconoscere il ruolo dell’Unione nelle materie di politica estera di difesa e sicurezza comune.
Quando, nel 2011, venne istituito il Servizio Europeo di Azione Esterna (SEEA), quest’ultimo istituito con il Trattato di Lisbona come una sorta di corpo diplomatico europeo che lavora in concerto con i servizi diplomatici degli Stati membri, gli inglesi si erano battuti duramente per rifiutare di riconoscere il ruolo dell’UE presso le Nazioni Unite, non solo, ma si sono anche rifiutati di far inserire, nell’accordo di uscita dall’Unione, la politica estera. Finché erano presenti, hanno bloccato l’istituzione di un quartier generale militare permanente per l’UE. Infine, si sono rifiutati di incorporare la politica estera nel trattato di uscita dell’UE. Mentre c’erano tutti gli elementi per un accordo.
Attenzione all’effetto domino con la Gran Bretagna
Non risolvere questa vertenza rischia di provocare un effetto domino con altri Stati tentati di seguire la posizione inglese dove altri Stati terzi, che riconoscono le immunità diplomatiche a trecento sessanta gradi agli ambasciatori UE, accreditati presso di loro, potrebbero seguire la posizione inglese nel non considerare più l’immunità diplomatica piena e trasformarla in una mera immunità funzionale.