Dopo aver attraversato momenti di difficoltà ed incertezza, è bene ancorarsi a valori sani, capaci di scuoterti e farti trovare degli ideali da cui ripartire. Per Daniele Scarpa, veneziano e campione olimpico, praticare sport significa questo e ha sempre cercato di trasmettere questi sani principi a tutti i giovani che sono stati e sono alla sua scuola. Scarpa, insieme ad Antonio Rossi e a Beniamino Bonomi, ha vinto due medaglie olimpiche, facendo la storia della canoa italiana ed emozionando milioni di tifosi che ancora oggi ricordano l’oro nel K2 1000m. Come urlava un incontenibile Giampiero Galeazzi in telecronaca: “Viaggia la barca azzurra”.
Scarpa, come sta vivendo questo periodo? È possibile allenarsi in canoa?
“Da istruttore posso dire che, rispetto ad altri sport, siamo fortunati. I miei ragazzi infatti, anche se la condivisione dello spogliatoio è attualmente vietata, hanno la possibilità di allenarsi singolarmente in canoa e questo ci ha consentito di proseguire l’attività anche durante l’inverno. Amo lavorare con loro ed infatti da ormai venti anni gestisco insieme a Sandra Truccolo, mia moglie, un’associazione che porta avanti l’attività di scouting che ci vede lavorare con i più giovani, inclusi i disabili. Organizziamo anche escursioni in barca a vela in gruppo, creando un contesto positivo per i nostri ragazzi. La vela è infatti educativa”.
Il suo rapporto con il mare nasce molto presto…
“Da bambino ero solito accompagnare a pescare, sia in mare che in laguna, mio padre, dal quale appresi subito numerosi riti e trucchi degli antichi pescatori per sopravvivere. La canoa, invece, la scoprii per caso e, quando iniziai a prenderci confidenza, rimasi innamorato di questo guscio così semplice ma pratico. Si trattava di un mezzo per navigare ed andare in giro per la laguna e così cominciai ad andarci anche a scuola. Non mi iscrissi a nessun club e non presi lezione da nessun maestro, ero un semplice autodidatta che, una volta cresciuto, prese parte alle sue prime gare, ottenendo delle vittorie”.
Scarpa, successivamente la canoa l’ha portata in giro per il mondo, fino alle Olimpiadi…
“Per uno sportivo l’Olimpiade rappresenta il più alto punto d’arrivo, il massimo. Fin da piccolo ero cresciuto con questo mito, un sogno che veniva tramandato grazie a racconti in cui i protagonisti erano eroi del nostro territorio. Tra questi, Guido Santin e Almiro Bergamo, entrambi medaglia d’argento alla celebre Olimpiade di Berlino del 1936, erano i più famosi. Mi venivano raccontate storie per me meravigliose, uniche, di cui andare fiero.
Una in particolare riguardava ben dodici atleti che, provenienti da un piccolo paese di circa duemila abitanti, arrivarono fino ad Helsinki, all’Olimpiade del 1952. I 12 erano i componenti della ” 8 con ” ( 8 relatori e il timoniere. L’ammiraglia del canottaggio) e il ” 4 con”. Questa dozzina di ragazzi rappresentava l’Italia nel 4 con e per poco non raggiunse la finale. Nella canoa, all’epoca uno sport nobile, le società cercavano abili rematori tra i ragazzacci di campagna che, non avendo i soldi per il traghetto, andavano a lavorare in barca, per questo mi rivedevo in loro. Ed esattamente così capitò ai miei dodici eroi, reclutati proprio tra i campi da un signore che, anni dopo, avrebbe cambiato anche la mia vita.
Scarpa per caso non ci mise lo zampino uno di quei ragazzi?
Uno di quei famosi 12 del mio paese, che all’epoca scoperti tra le ” vigne” e in tre anni portati alle olimpiadi da Penna Bianca Bruno Costantini con i colori della RSC BUCINTORO1882. In particolare uno di questi ” ragazzi di Helsinki ’52”, all’epoca diciottenne, fu uno tra i fondatori della SC TREPORTI alla quale fui tesserato (ero tesserato per fare le gare attività). Nel 1976, agli inizi della mia carriera sportiva, fu lui il mio primissimo maestro che mi mise su una canoa (lui era un canottiere olimpico del canottaggio, dopo Helsinki 1952 si mise a pagaiare in canoa canadese per tentare di andare alle olimpiadi di Roma 1960) ed è uno degli ultimi rimasti in vita (ancora oggi mi incontra e si commuove come un padre).
Ma a me piaceva il kayak. Quindi imparai da solo, durante l’estate olimpica ( Montreal 1976 ) a stare in equilibrio e a scorrazzare per la laguna. Così a settembre dello stesso anno il “canottiere” olimpico Savino Cimarosto classe ’34 mi fece il test per vedere se ero competitivo per sfidare i forti giovani veneziani. Ancora oggi mi ricordo quel percorso fatto sui 2000 metri e la sua frase. “Se li fai tutti senza fermarti ti porto a fare le gare”! Quindi grazie a lui iniziai a gareggiare. Poi arrivarono Penna Bianca e Annibale Berton”.
Mi piace raccontare questi aneddoti perché è significativo per me la “legacy” che ci fu tra quei ragazzi del ’52 e la mia successiva storia. Insomma, rivendicai la loro mancata medaglia ad Helsinki vincendo per loro ad Atlanta 1996″
Chi era questa persona?
“Bruno Costantini, detto Penna Bianca, per via della splendente ed argentata chioma. Lo incontrai per la prima volta a tredici anni, grazie ad un’altra figura per me di assoluta importanza come Annibale Berton che gli consigliò di andare a vedermi. Bruno era in pensione, ma amava ancora scovare talenti nel litorale e quando mi vide, così mi è stato raccontato, disse ad Annibale che ero il campione giusto.
Iniziai così ad allenarmi con lui e Annibale, canoista olimpionico a Roma-1960, fece per me da mecenate, non obbligando mio padre a spese affinché partecipassi alle competizioni giovanili. Sia Annibale che Bruno sono state due persone essenziali per la mia crescita e mi dispiace che quest’ultimo se ne sia andato presto, non potendo godersi alcuni dei miei successi. Bruno Costantini da giovane ambiva a partecipare alle olimpiadi di Los Angeles del 1932. Purtroppo non ci andò. Io tornai a Los Angeles 1984 grazie a lui. Quell’uomo fu una persona eccezionale. Mi ricorda “Momenti di Gloria”. L’allenatore che si impegnò ad allenare il velocista. Ma non poté assistere alla gara olimpica. Ecco, quello fu Bruno Costantini alias Penna Bianca.”.
Scarpa, le capita di rivedere il successo olimpico di Atlanta ’96?
“Certamente, quella gara è stata leggendaria. L’anno precedente vincemmo il campionato del mondo e, proprio per questo, eravamo costretti a dimostrare di essere i più forti. La gara fu perfetta, talmente veloce e ben distribuita che realizzammo un tempo record, ancora oggi miglior tempo olimpico. Una bella soddisfazione, considerando che sono già passati 25 anni”.
Scarpa, oltre ad essere un campione sportivo, lei è un campione nell’aiutare il prossimo
“A me piace essere utile e dare una mano a qualcuno che magari è in difficoltà. Anzi, spesso sono io ad attingere proprio da loro con la fortuna di fare esperienze di vita, con cui non intendo la strada che porta al successo ma il risolvere situazioni difficili e, all’apparenza, impossibili da affrontare. Considero importante condividere percorsi di vita che sono diversi da quelli di tutti i giorni. Nella mia vita ho imparato tanto da quelle persone che vengono messe ai margini della società, io in loro ho trovato valori. Lo sport ha valore per un principio inderogabile: lo sport è regola.
Se io non rispetto le regole non pratico attività sportiva. Ti insegna, o dovrebbe, a vincere te stesso, a raccogliere il successo laddove non ci sia. Per questo sono contrario all’ideologia machiavellica nello sport, dato che dovrebbe rappresentare un percorso di crescita. Ai bambini dobbiamo insegnare che esso è una scuola di vita, di integrazione e di condivisione e che se rispetti ed applichi le regole nello sport lo farai anche nella quotidianità. Diventando un onesto cittadino, un rispettabile lavoratore ed un serio studente. Ora più che mai, in un periodo di emergenza come quello attuale, serve ripartire dai valori dello sport”.