Padova, una manciata di giorni prima del Natale 2020, segnato dal Covid-19. Un Natale diverso, particolare, forse più intimo, da passare con i propri cari in un periodo in cui la vicinanza e l’affetto rappresentano forse l’aspetto più importante, non solo per il Natale, ma anche e soprattutto per una nostra serenità interiore. Un Natale che Francesca e Pietro speravano di condividere con la propria famiglia. Come si è tristemente letto nelle pagine di cronaca nera dei quotidiani, Alessandro Pontin, 49 anni, padre di Francesca e Pietro, due ragazzi poco più che adolescenti, ha tolto loro la vita durante la notte. Successivamente, con lo stesso coltello insanguinato con cui li ha uccisi, si è tolto la vita.
Erano in attesa di un “Babbo Natale” che, più che portare doni, avrebbe senz’altro portato loro serenità, gioia e speranza. La speranza di uscire dal buio dell’isolamento sociale per riabbracciare gli amici e riprendere a vivere, poco per volta, la normalità della loro vita di prima, fatta di scambi, parole e socialità. Questa speranza, però, gli è stata portata via per sempre, da colui che li aveva messi al mondo: il proprio padre.
Il raptus di Alessandro
Un omicidio-suicidio che ha strappato per sempre la speranza e la vita a due ragazzini innocenti, la cui unica colpa era stata quella di andare a stare dal padre per qualche giorno, come stabilito dal Tribunale di competenza in sede di affidamento dei figli. Infatti dopo la separazione tra Pontin e la moglie, era stato deciso che i figli trascorressero qualche giorno assieme al padre, come questa volta. Tuttavia dalle diverse testimonianze raccolte nessuno poteva immaginare che questa sarebbe stata l’ultima volta.
Ma cosa c’è alla base del raptus?
Pontin era conosciuto a Trebaseleghe. Faceva il falegname, lavorava il legno, era specializzato nel trattare e lavorare il parquet. Tali doti, tuttavia, non gli permettono di far fronte alle spese economiche, e per questo motivo è costretto a cessare l’attività. Decide di reinventarsi e si appassiona, assieme alla nuova compagna, alle discipline olistiche e ai massaggi, aprendo una pagina Facebook per attirare nuovi clienti. Si impegnava affinchè coloro che percepivano un certo disagio ritrovassero il benessere, voleva aiutare gli altri ad abbandonarlo per sempre, questo disagio, e a ritrovare l’armonia.
La storia di Alessandro
Dopo la separazione con la moglie Pontin era riuscito a reinventarsi, aveva una nuova compagna, vedeva comunque i suoi figli. Fonti vicine alla famiglia della ex moglie riportano che vi fossero alcuni dissapori tra i due per questioni di carattere economico, ma nulla di insuperabile. O almeno così sembrava.
Cos’è successo ad Alessandro Pontin? Cosa lo ha spinto ad un gesto così terribile?
Innanzitutto è fondamentale comprendere che il raptus, termine molto usato dai media per dare spiegazioni a gesti particolarmente efferati e apparentemente privi di senso e motivazione, e diffusosi poi sempre di più nella credenza condivisa da parte dell’opinione pubblica, da un punto di vista clinico-psichiatrico, non esiste.
Cosa è il raptus
Il raptus non si configura come un costrutto presente all’interno della letteratura psichiatrica moderna, nonostante venga ancora largamente utilizzato soprattutto nelle perizie, per giustificare le azioni di grande violenza e attenuare la gravità del fatto e la colpa di chi le commette.
“Ma non bisognerebbe mai giustificare la prevaricazione, la prepotenza, la violenza esplosiva e cruenta. Perché giustificare in un certo senso è come avallare l’idea che sui più deboli si possa accanire la violenza”, come spiega il Dott. Claudio Mencacci, ex presidente della Società italiana di psichiatria e direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano.
L’esplosione di Alessandro
L’odio e la rabbia non esplodono dal nulla e non terminano in tragici epiloghi per caso. Rabbia e odio si accumulano, e crescono nell’individuo in modo latente, per poi, ad un certo punto, esplodere.
Forse non sapremo mai il vero motivo sottostante all’uccisione di Francesca e Pietro, non riusciremo mai realmente a comprendere cos’abbia spinto Alessandro Pontin a togliere la vita ai suoi figli e ad uccidersi subito dopo, con la stessa arma.
Le anime che convivevano in Alessandro
Possiamo tuttavia affermare che ci sono individui che covano malvagità, crudeltà, cattiveria. Che quando accade un fatto di violenza apparentemente improvvisa c’è sempre una spiegazione, un motivo che si è costruito nel tempo. “C’è il comportamento, una mancata educazione, mancata cultura, c’è una biografia che determina questi terribili atti”, come sottolinea lo stesso Umberto Galimberti. Non è mai un fulmine a ciel sereno.
La morte doppia di Alessandro
Una morte “doppia”: l’omicidio-suicidio porta due eventi, tanto distanti e contrari quanto forse più legati tra loro di quanto si possa pensare, ad intrecciarsi in un complesso rapporto che attribuisce un significato tutto nuovo a questo atto, un significato che trascende la specificità di entrambi gli eventi presi singolarmente. E la matrice comune risiede nell’aggressività o nel desiderio di eliminare la tensione ad essa sottostante.
I social e il mondo riflesso
Nel titolo della sua pagina Facebook Pontin parlava di un mondo riflesso, “il mondo riflesso di Alessandro Pontin”: un mondo altro, diverso dalla sua realtà quotidiana, in cui l’atto di aiutare gli altri a ritrovare benessere, stabilità e armonia era forse un modo per riuscire, di “riflesso”, a ritrovare la propria. Un’armonia e una stabilità persa con il divorzio e con la privazione di una quotidianità normale e libera con i propri figli, ma in parte riconquistata, con un nuovo lavoro e una nuova compagna.
Disperazione e impotenza nel cuore di Alessandro
Ciò che forse si celava dietro a quel “mondo riflesso” era una sensazione di disperazione e impotenza, derivata dalla delusione e dalla frustrazione accumulata nel tempo, dalla chiusura del negozio, al divorzio, alla perdita dei figli, ad una nuova stabilità che forse non avrebbe mai raggiunto ed eguagliato la vita di prima. Un’aspettativa disattesa, un nuovo inizio in cui forse Pontin si è sentito negare quanto precedentemente aveva raggiunto e realizzato, come uomo, come marito e come padre. Perché la vita non era più quella per cui si era preparato. E questo porta ad un unico epilogo: la sensazione di fallimento.
La spiegazione su Facebook?
Un’aspettativa forse non così positiva nei confronti del futuro e la probabile convinzione di non poter essere aiutato e di non potersi aiutare, unita alla celata sensazione di fallimento, di disperazione e di senso di impotenza hanno forse portato Alessandro Pontin a porre fine alla propria esistenza e a quella dei propri figli, come ultimo atto di una vita non più degna di essere vissuta, né per lui né per i suoi figli. Una vita in cui, come lo stesso Pontin scriveva nella sua pagina Facebook, “le disarmonie si riflettono esteriormente e ogni cosa giunge e suo tempo…lascia che sia, non fare nulla, presto capirai che era meglio così”.