Pur essendo un Paese molto lontano dal continente europeo, il Myanmar (ex Birmania) è ritornato ad essere colpito da un colpo di Stato. Voluto dai vertici dell’esercito e l’arresto di Aung San Suu Kyi, insignita del premio Nobel per la Pace, presidente. Una situazione in cui la fragile democrazia si è ritrovata nel limbo della negazione della sovranità del popolo, che ora non potrà avere voce.
Questo capovolgimento politico dalla democrazia al controllo dei militari ha portato il popolo myanmano a recarsi nei negozi alimentari per acquistare i beni di prima necessità. Ormai, le forze armate hanno il controllo dell’intero Paese. Decidendo di imporre lo stato di emergenza e adibendo tutti i poteri al generale Min Aung Hlaing.
Myanmar e democrazia
La decisione dei militari di intervenire e portare il Paese nell’emergenza è stata causata dalla non regolarità – secondo loro – delle elezioni che hanno favorito la leader Aung San Suu Kyi e il suo partito la Lega nazionale per la democrazia. Che ha ottenuto molti seggi, sconfiggendo il partito solidarietà e sviluppo, espressione delle forze armate.
Pugno di ferro da parte dei militari. Iniziato nel momento in cui Aung San Suu Kyi non ha accettato la proposta del partito sostenuto dalle forze armate di ricontare le schede elettorali. Sotto l’occhio vigile dei militari e il rinvio dell’insediamento del nuovo assetto parlamentare. Il rifiuto del partito vincente ha spinto le forze armate ad applicare la costituzione che enuncia l’attuazione dello stato d’emergenza.
Myanmar e i militari
In sostanza, per una dura leva sulla politica ed economica del Myanmar, le forze armate hanno cristallizzato il proprio ruolo nell’ambito costituzionale. Una costituzione leggermente ambigua. Voluta proprio dalla giunta militare nel 2008. Dove viene stabilito che i militari hanno il diritto ad avere alcuni ministeri-chiave e alcuni margini. Per reclamare lo stato d’emergenza e avviare la sospensione del governo civile.
Il colpo di Stato è senz’altro contornato dalla fame di potere personale del generale Min Aung HIlaing. Che ormai sarebbe stato costretto al suo congedo e alla vita da pensionato. Non solo ma determinato a difendere il potere economico nelle mani del suo partito. Tale golpe è stato posto in atto per il timore dei generali di essere posti fuori dall’apparato politico. Dopo che Aung San Suu Kyi aveva vinto alle precedenti elezioni.
L’UE chiede di intervenire
Dopo le denunce delle Nazioni Unite, dell’UE, della NATO e dell’intera comunità internazionale e i loro appelli allo status quo ante, i militari, al fine di motivare lecitamente l’azione di colpo di Stato, stanno tentando di usare i partiti etnici e piccole formazioni politiche che non hanno ottenuto alcun seggio parlamentare. Questi ultimi avevano domandato sulla possibilità del Parlamento di affrontare il tema del proporzionale. Ma senza aver ricevuto alcuna risposta dal partito di maggioranza e, come tale, un non interesse ad avviare dei cambiamenti prima del voto.
Ora che i militari hanno il pieno controllo del Paese, potrebbero adottare delle iniziative come quello in cui siano le assemblee regionali e non lo Stato centrale a nominare i capi dei governi locali. Tale proposta della giunta militare servirebbe per ottenere il pieno sostegni di una parte dei partiti delle minoranze etniche.
La speranza
L’unica speranza è che gli organismi internazionali, come pure la famiglia degli Stati membri della comunità internazionale, possano imporre alle forze armate birmane di rispettare l’esito elettorale, i diritti umani. E riportare il Paese stesso alla piena democrazia. Al fine di evitare che la destabilizzazione politica interna del Myanmar, voluta dalla giunta militare, diventi un pericolo per la pace e la sicurezza internazionale. In particolar modo, in quella regione asiatica.