Finalmente anche un’arte da sempre considerata minore riceve il giusto riconoscimento ed entra nel novero dei beni del Patrimonio dell’Unesco. La candidatura, proposta dalla Comunità dei perlai veneziani (rappresentati dal CPVV, Comitato per la Salvaguardia dell’Arte delle perle di Vetro Veneziane), dopo sette anni di trattative è stata accolta il 17 dicembre 2020. Per Venezia è la prima volta di un’ iscrizione alla lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità. E lo fa con delle “Perle di vetro”
Come nascono le perle
La produzione delle perle di vetro è una delle forme di artigianato più antiche. Praticata dai Romani e ancora prima dalle antiche civiltà di Egitto e Mesopotamia. A Venezia è documentata dalla fine del XIII sec. Per la Serenissima è stata a lungo una merce preziosa di scambio nei commerci con Africa, Americhe e India. Le prime perle erano dette ‘veriselli’ ed erano imitazioni di pietre preziose.
Secondo la leggenda fu Marco Polo a riferire dai suoi viaggi in Asia del grande apprezzamento di quelle genti per le pietre preziose. E fu così che ai veneziani venne l’idea di replicarle in vetro per espandere i loro commerci. Poi vennero creati i ‘paternostri’, le perle del Rosario, di cui i pellegrini cristiani facevano incetta passando da Venezia nel viaggio verso Gerusalemme. Queste perle erano prodotte dai ‘perleri’ con la tecnica ‘a lume’. In cui il vetro era fuso alla fiamma e poi arrotolato intorno a un bastoncino di metallo per creare il foro.
Dalle perle alla margarite
In seguito furono create le ‘margarite’, perline più minute ricavate dal taglio di cannule di vetro forate. Due mastri vetrai (detti ‘tiracanna’) prendevano una massa di vetro incandescente e correvano in direzione opposta per circa 100 metri tirando uno ‘spaghetto’ di vetro bucato. Poi i pezzi venivano rivestiti di calce e polvere di carbone per non ostruire i fori . Infine mescolati in grandi padelle di metallo per essere arrotondate (‘molatura’). Queste perle non erano più create ad una ad una ma consentivano una produzione di massa.
Dal XIX secolo vennero chiamate ‘conterie’, forse perché venivano ‘contate’ quando erano usate come valuta di scambio, o perché servivano da ‘contigia’ (ornamento). Una volta formate, venivano date da infilare in mazzi alle ‘impiraresse’ (‘impirar’, infilare). Donne di bassa condizione sociale pagate a cottimo. Lavoravano ‘ciacolando’ e spettegolando sedute nelle calli e nei campielli soprattutto nei sestieri di Castello e Cannaregio e alla Giudecca. Infilavano le perle per colore in fili di cotone o lino usando dei ventagli di sottilissimi aghi (circa 40-80, le più esperte anche 120!) sopra un vassoio di legno ricurvo (‘sessola’).
Perle al femminile
Quest’arte esclusivamente femminile, che iniziava da bambine e proseguiva fino a tarda età, è rimasta in vigore fino agli anni venti del Novecento. Quando lo stile Charleston e l’Art Decò hanno reso di moda l’uso di frange di perline su vestiti, tendaggi e lampade. Create tessendo vari fili di perle con telai a pedale. Oggi purtroppo quest’arte si sta perdendo e rimangono solo poche persone in grado di tramandarla. Molto ricercate sono ancora soprattutto le ‘impiraresse da fiori’, che infilano le perline su fili di ferro e li attorcigliano creando meravigliose composizioni floreali.
Venezia e Murano
Nel 1291 un decreto della Serenissima ordina lo spostamento delle vetrerie sull’isola di Murano per scongiurare l’alto rischio di incendio nelle fornaci. Ma la produzione di perle che richiede fornaci più piccole e meno pericolose continua anche a Venezia. Nel 1469 venne promulgato il divieto di esportare fuori da Venezia (compresa Murano) i segreti delle tecniche e dei materiali della lavorazione del vetro. Revocato solo nel 1493, per evitare la concorrenza.
Le perle più famose
La perla più conosciuta al mondo è la ‘Rosetta’, (o perla ‘chevron’). Ideata da Marietta Barovier, figlia di Angelo Barovier, il più importante innovatore dell’arte e della tecnica del vetro del XV secolo. Si ottiene dalla molatura di una canna forata composta di sei strati di vetro (nei colori alternati bianco, blu e rosso) in modo che al taglio in sezione appaia una stella a 12 punte.
La murrina
Probabilmente dalla rosetta si è evoluto il simbolo di Murano: la ‘murrina’. Creata da una massa di vetro a cui sono sovrapposti altri colori in motivi concentrici. Ottenuti con l’inserimento in stampi scanalati nelle varie fasi di lavorazione, la canna di vetro viene tirata e assottigliata e infine tagliata. Dalla giustapposizione e fusione di varie murrine si ottengono vasi o ciotole chiamate ‘millefiori’.
Un museo dedicato alle perle
Tutto questo patrimonio è stato catalogato e studiato ed è esposto in una sorprendente collezione nelle sale del Museo del Vetro di Murano. 85 cartelle campionarie (contenenti quasi 15 mila perle campione), quasi 10 mila perle (integre e alcune frammentarie) e oltre 500 mazzi di conterie. Per molte di esse è stata ricostruita solo in tempi recenti la provenienza da rinomate vetrerie attive a Venezia e Murano nell’Ottocento. E dunque da storici maestri vetrai, dato che era andato perduto l’inventario redatto dall’abate Vincenzo Zanetti. Fondatore nel 1862 della Scuola del Vetro di Murano e della Scuola di Disegno applicata all’arte del vetro.
Era stato proprio lui che aveva portato l’arte vetraria e con essa una collezione di perle di ogni tipo alle prestigiose Esposizioni Universali di Vienna nel 1873. Dove era stata premiata con la medaglia d’oro, poi di Parigi nel 1878, di Melbourne nel 1880 e di Milano nel 1881.
Il patrimonio immateriale
Insieme all’arte delle perle riceve un doveroso riconoscimento anche il patrimonio intangibile che essa porta con sé. Ovvero quello della gestualità, del linguaggio, dei luoghi veneziani dove quest’arte era praticata. Con questo atto viene valorizzata la memoria di generazioni di veneziani. Vengono alla luce tracce rimaste nella toponomastica della città (esiste Calle delle Conterie). E perfino si possono recuperare termini della cucina veneziana (esistono le perle dette ‘cremette’, come un famoso dolce veneziano a forma di losanghe).
Celebrare questa forma minore di artigianato offre anche l’opportunità di mettere in luce uno spaccato di una società altrimenti destinata all’oblio e lo sforzo dell’emancipazione femminile. A differenza delle opere maggiori in vetro di Murano (sculture e vasi), la produzione delle perle era opera di artisti sconosciuti. E non di maestri vetrai e spesso non avveniva nelle botteghe tramandate di generazione in generazione. Ma nelle case e nelle cucine della povera gente.