In un momento come questo in cui ogni festeggiamento in grande stile è ‘congelato’ a data da destinarsi (speriamo presto) e ci troviamo in una dimensione più intima e nel calore casalingo più raccolto di familiari ‒ conviventi e (pochi) congiunti ‒, ci rivolgiamo a gesti e tradizioni che ci aiutano a riempire la mancanza del ritrovarsi. E scambiarsi gli auguri con parenti e amici. Soltanto ora che ci vengono vietati, pensiamo e diamo di nuovo valore a quei riti e a quelle tradizioni ormai accantonate e dimenticate nella convulsione del consumismo dei regali. Come ad esempio il significato delle piante che usiamo per accompagnare i nostri auguri.
Piante e vischio
L’uso di appendere agli angoli delle porte un ramo di vischio esisteva già da tempi lontanissimi. Presso i druidi era una pianta magica. Con le sue bacche bianche (velenose!) creavano infusi e pozioni per guarire da ogni tipo di malattia e di epidemia. Nella mitologia norvegese il vischio è legato alla premonizione della fine del mondo (il Ragnarök). Il dio del sole e della luce Baldr, invidiato da tutti gli altri dèi per la sua bellezza e saggezza, morì colpito proprio da un ramo di vischio. L’unica pianta a non aver prestato giuramento solenne di non far mai del male al dio. Per questo nei popoli nordici è rimasta l’usanza di bruciare rami di vischio. Come scacciaguai nei riti di passaggio dalla stagione della luce a quella invernale. Il vischio è in realtà una pianta parassita. Succhia la linfa degli alberi su cui cresce. Ha da sempre affascinato perché compare in nuvole verdi appese ai rami alti anche quando l’albero ormai è privo di vegetazione.
Se si lascia seccare, le sue foglie diventano color oro e questo agli antichi ha sempre ispirato un collegamento con il divino. Ha valenza scaramantica anche perché è legato al mondo “sotterraneo” dell’Aldilà e ai riti collegati a Proserpina. La sposa di Ade che trascorre metà vita sulla Terra (la bella stagione) e metà negli Inferi (la stagione invernale).
Secondo l’antropologo James Frazer potrebbe essere proprio un ramo di vischio il famoso ‘ramo d’oro’ che la Sibilla cumana disse a Enea di portarsi nella sua catabasi agli Inferi. Per poter poi riuscire a tornare nel mondo dei vivi. Per queste sue caratteristiche il vischio ancora oggi è un portafortuna. Un simbolo di rinascita, fertilità, buon augurio e protezione da malocchio e malattie, soprattutto nel passaggio dall’anno vecchio all’anno nuovo. Se ci si incontra sotto il vischio è usanza darsi un bacio di buon auspicio.
L’unione tra le piante
Si pensava che tra le piante il vischio fosse una pianta maschile e nelle ghirlande veniva intrecciato a un’altra pianta considerata femminile, l’agrifoglio. Anch’esso grazie alle sue foglie spinose è simbolo di protezione dagli spiriti maligni e dalle intemperie della stagione fredda. Anche in questo caso la leggenda ci riporta al dio nordico della luce Baldr, che quando morì trafitto dal vischio cadde su un cespuglio spinoso proprio di agrifoglio; il padre Odino per ricompensare la pianta che lo aveva accolto la trasformò in sempreverde e la dotò di bacche rosse in ricordo del sangue versato. Le bacche sono anche simbolo di fertilità e fin dagli antichi romani le foglie venivano regalate ai novelli sposi come augurio. Una curiosità: una specie di agrifoglio si trova anche nelle ‘Americhe’ scoperte da Cristoforo Colombo ed è usato per preparare una tisana energizzante che dia forza e vigore, il Matè.
Non poteva mancare la stella
Dall’America latina, e precisamente dal Messico, proviene un simbolo più ‘moderno’ delle festività natalizie, la Stella di Natale, chiamata ‘Flores de Noche Buena’. La leggenda vuole che una bambina povera portò in dono alla grotta a Gesù Bambino un mazzetto di ramoscelli, che per miracolo si rivestirono di foglie verdi e rosse. Gli Aztechi la adoravano come simbolo di rinascita, in onore dei guerrieri caduti in battaglia. Si diffuse la leggenda di Montezuma, che pensava che le sue foglie si tingessero di rosso per il sangue di una dea azteca morta di dolore per un amore non corrisposto. Ed è così che venne chiamata anche con il nome di ‘étoile d’amour’, ‘Stella dell’Amore’. Nella sua zona d’origine cresce spontanea e può raggiungere anche i quattro metri. In Europa è arrivata nel 1804 grazie allo scienziato naturalista Alexander von Humboldt con il nome di ‘Euphorbia pulcherrima’, cioè ‘bellissima’. Negli Stati Uniti giunse nel 1828, portata dall’ambasciatore americano in Messico Joel Roberts Poinsett, da cui il nome che conosciamo, ‘Poinsettia’. Ne esistono 150 varietà diverse, a seconda della forma e della sfumatura delle sue foglie colorate.
Durante i vari lockdown una delle cose che ci dava più gioia era ritornare nella natura, passeggiare liberi all’aria aperta e curare il giardino e i fiori. La natura se maltrattata è matrigna, ma se curata e protetta è una Grande Madre che dà fiori e frutti e un senso di speranza nella rinascita. Il più bell’augurio possibile.