In un periodo come questo di pandemia, in cui ci sentiamo minacciati da qualcosa di piccolissimo ma in fin dei conti più grande di noi che sfugge al nostro controllo, anche festeggiare come gli altri anni sembra essere più difficile del solitoD’altro canto, come ‘effetto collaterale positivo’ il virus ha portato a una rivisitazione delle priorità e a un ritorno alla dimensione ristretta della famiglia dei congiunti più vicini. E ci spinge a ripensare a un significato più autentico del Natale e delle festività. Proprio in questi momenti di passaggio in cui sentiamo il bisogno di una continuità, ci vengono in soccorso le tradizioni. Quelle usanze degli avi che ci risultano così rassicuranti proprio perché si perdono nella notte dei tempi. Ad esempio a Natale non c’è solo il caro panciuto vecchio Babbo Natale con la barba bianca e il berretto rosso che sembra essere uscito da un cartellone pubblicitario della Coca Cola. Questa versione la dobbiamo al padre del fumetto americano, l’illustratore Thomas Nast. Che per primo nel 1863 per la rivista Harper’s Weekly lo disegnò paffuto e barbuto vestito di pelliccia. Altro che San Nicola!
San Nicola
Tuttavia, se si cerca un po’ più a fondo si scopre che il suo nome in inglese Santa Claus deriva da Sinterklaas. Variante olandese del suo storico antenato San Nicola. Si narra che questo vescovo cristiano del IV secolo, di Myra (in Turchia), avesse salvato e riportato alla vita tre bambini rapiti e uccisi da un oste e per questo fosse diventato a tutti gli effetti il santo protettore dei bambini. San Nicola arriva ancora, con tiara e pastorale, tra la notte del 5 e del 6 dicembre, nei paesi europei in particolare di lingua germanica. Ma anche in alcune regioni d’Italia, come il Trentino Alto Adige e la Puglia, in particolare a Bari. Dove si dice che furono portate le sue reliquie trafugate dalla Turchia e dove è il santo patrono.
San Nicola e i riti pagani
Se si scava nel folclore germanico precedente al cristianesimo si incontrano i riti pagani di passaggio Ci si imbatte nel dio Odino (Wotan del wagneriano Anello del Nibelungo) che nella notte del solstizio invernale (Yule) partecipa a una grande battuta di caccia con gli altri dèi e con i guerrieri caduti, cavalcando Sleipnir, il suo cavallo volante. I bambini lasciavano gli stivali vicino al caminetto pieni di carote e paglia per sfamarlo e in cambio ricevevano regali o dolciumi.
Diffusasi negli Stati Uniti tramite la colonia olandese di New Amsterdam (poi diventata New York), questa usanza è arrivata fino a noi con la calza della Befana. Nella versione cristiana il santo va alla ricerca del diavolo. Lo mette in catene benedette e lo costringe a redimersi portando di casa in casa dei doni ai bambini. Questa usanza si ritrova ancora almeno nelle aree dell’ex-impero austroungarico, in Cadore, in Friuli e in Alto Adige. Dove ad accompagnare San Nicola c’è uno stuolo di diavoli, tra cui il Krampus, il demone catturato e costretto ad essere suo servitore.
Krampus
La leggenda vuole che questa tradizione abbia avuto origine in un periodo di carestia, in cui i ragazzi si travestivano con pellicce, piume e corna di animali e così camuffati terrorizzavano gli abitanti dei paesini di montagna e li derubavano delle provviste per l’inverno. Ma all’interno di questa mascherata si scoprì che si era intrufolato un demone vero, riconoscibile solo dagli zoccoli di capra. San Nicola invocato venne a esorcizzare il demonio. Per questo ancora oggi nel corteo di San Nicola compaiono i Krampus che puniscono i bambini che sono stati cattivi. Sono esseri demoniaci terrificanti e molto dispettosi, che spesso girano in branco e all’imbrunire quando San Nicola si ritira, rimangono padroni incontrastati ‒ basti pensare che a Brunico, Dobbiaco e Sesto sfilano circa 500 Krampus ‒ e infieriscono sulla folla con grida, colpi di frusta e clangori di campanacci. Sono feroci, selvaggi e animaleschi, rappresentano lo sfogo delle forze che per tutto l’anno sono state represse. Soprattutto quest’anno questa tardizione potrebbe assumere un significato catartico.