Che nasca a mezzanotte o alle 22 del 24 dicembre il Santo Bambinello poco importa. Soprattutto a lui che, nei tempi, l’hanno fatto venire al mondo con 6 o 7 anni di ritardo dalla data individuata dagli storici. E nel bel mezzo dell’inverno, per far coincidere il suo genetliaco con la celebrazione romana del “sol invictus”, il 25 dicembre. Ci impiegarono però tre secoli per deciderlo, i Santi Padri fondatori del Cristianesimo. Fu probabilmente per questo che attorno all’improbabile evento costruirono una serie di primi attori e comprimari. Capaci di farla diventare la “santa notte, dolce e felice notte”.
I primi attori della notte
Primi attori indiscutibili sono Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello addetti al riscaldamento e il santo neonato che appare già sorridente, occhi ben aperti e posture di ampia accoglienza. In estatica adorazione si possono notare: pastori e pastorelle, villici e contadinelle, qualche angelo che canta e nugoli di pecore ed animali vari che brucano un’improbabile erba di fine dicembre, altri passanti casuali o curiosi accorsi di proposito: il presepe.
Dalla notte al giorno
La straordinaria vicenda giunge a conclusione una settimana dopo, quando il cielo improvvisamente risplende come se fosse giorno. Evidentemente anche questo secondo grande evento accade di notte. Una lunga carovana si avvicina alla greppia di Gesù e tre Re Magi, apostrofati come Santi, si avvicinano in atto di adorazione porgendo i loro doni. Era il 6 gennaio, il giorno della befana.
I Re Magi
Ma chi sono questi Re Magi, da dove arrivano, chi li ha condotti alla capanna (o grotta) del divino bambino? Attorno a queste domande si sono accesi dibattiti, scontri dottrinali e scientifici, aspri confronti tra religiosi e tra religioni.
Non erano re, questo è accertato. Al massimo erano dei magi in tono minuscolo, poiché erano sacerdoti di un popolo, i Medi, antenati degli attuali Curdi. Asserivano di essere giunti a Betlemme guidati da una cometa straordinariamente luminosa. Ma la scienza astronomica fu subito in grado di escludere che per il cielo palestinese fossero passate delle comete e per giunta così grandi da essere visibili ad occhio nudo.
Anzi si dette conferma da parte degli scienziati di allora tutt’altro che sprovveduti che nessuna cometa visibile dalla terra era passata nei nostri dintorni in quegli anni. L’unico evento eccezionale e mirabile fu la congiunzione di astri che effettivamente creò un fenomeno simile ad una cometa, se valutato ad occhio nudo. Ci fu un allineamento senza precedenti con Giove, Sole, Saturno e Luna tutti in fila nella costellazione dell’ariete. Venere nella costellazione dei pesci e infine Marte e Mercurio in quella opposta del toro. Un allineamento mai visto prima e mai più accaduto.
Una data “fittizia”
Tutto ciò, però, avvenne sei anni prima del 25 dicembre dell’anno in cui abbiamo fatto nascere Gesù. Esattamente come abbiamo sostenuto pocanzi parlando della data in cui effettivamente Gesù poteva esser nato.
Attorno a queste figure e ai pochi versetti del Vangelo di Matteo che le citano si erano costruite fantasie e miti sostenuti dalla chiesa per far fronte ai numerosi attacchi dai quali nei secoli aveva dovuto difendersi. Apostasie, scismi, scontri con altre religioni. Fino all’ultimo grande scisma, sicuramente il più doloroso sia per la dimensione che acquisì in un tempo relativamente breve, che per la qualità e la consistenza delle critiche rivolte alle gerarchie cattoliche, Papa, Cardinali, vescovi e sacerdoti. L’attacco della Chiesa riformata di Lutero e di Calvino non si rivolse soltanto al livello “gestionale ed organizzativo” dell’immenso patrimonio umano ed economico della Chiesa Cattolica. Avviò anche una profonda revisione dei contenuti religiosi e dei modi attraverso i quali manifestare la propria partecipazione ai riti collettivi.
La notte buia dello scisma
Uno degli aspetti che connotò profondamente la riforma protestante fu il rifiuto di riconoscere i santi, gli atti di devozione ad essi rivolti, la possibilità che da parte loro o di altre figure, che non sia Dio padre, possa essere concesso ad umani un qualche miracolo.
Era pertanto inaccettabile per il mondo protestante che si chiamassero devotamente Santi dei personaggi quanto meno di oscura provenienza e religione. Quali erano, ad esempio, i magi.
Sospendiamo per qualche momento questa riflessione sul rapporto tra cattolici e protestanti per entrare nel vivo del confronto tra queste grandi realtà religiose, culturali e politiche del sedicesimo e diciassettesimo secolo.
La notte di Innsbruck
In una delibera del Consiglio Comunale di Innsbruck del 30 dicembre del 1568 si legge:
“Innsbruck: Studenti dei gesuiti chiedono il permesso di andare in giro a cantare con la stella. Consiglio: non dev’essere concesso né a loro né ad altri, ma soltanto agli studenti della nostra scuola comunale. Tuttavia questo Consiglio non può certo impedir loro di cantare davanti a Sua Altezza il Principe” (tratto da “Stelle, Gelindi, tre re” di Renato Morelli p.70)
Questo fatto apparentemente banale accadde nel 1568. Nel 1545 a Trento era iniziato il Concilio, convocato dal papa Paolo III, con lo scopo di far fronte alla Riforma protestante varando la sua Contro-riforma. Concilio che durò ben 19 anni, sotto la guida di 3 papi diversi.
23 anni dopo l’inizio del Concilio, dunque, un gruppo di studenti dei Gesuiti chiede di propagandare con i suoi canti la storia della stella, dei magi e della nascita di Gesù. E proprio in quel territorio, la montagna austro-tedesca, in cui la parola e l’azione di Martin Lutero più stava radicandosi.
Notte e musica nella chiesa riformata
Nel corso del Concilio fu dedicata una notevole attenzione alla diffusione della dottrina attraverso la musica, attenzione per altro molto presente anche nei repertori corali e musicali della Chiesa riformata. All’interno di quel vasto movimento musicale-spirituale promosso dal Concilio presero forma delle “laudi a travestimento spirituale” . Cioè dei canti di contenuto rigorosamente religioso, ma con un travestimento formale che ne permettesse una capillare diffusione, una semplice esecuzione da parte del popolo.
Sostanzialmente voleva dire che si poteva cantare nelle diverse lingue locali. Che il latino non era d’obbligo, che si potevano utilizzare metri e strutture poetiche desunte da danze o canti popolari. Se ci pensate ha inizio a livello pubblico un percorso tra “le lingue” della Chiesa: quella ufficiale, il latino, e quelle nazionali o popolari che sono entrate a pieno titolo nella liturgia cattolica. Non senza forti resistenze ancora presenti, con il Concilio Vaticano secondo, svoltosi a Roma tra il 1962 e il 1965. Un viaggio lungo quattro secoli e ancora in movimento!
La ricerca
Renato Morelli, etnologo ed etnomusicologo, regista RAI con oltre 50 documentari raccolti in tanti anni di lavoro e autore di numerose ricerche documentate in altrettante pubblicazioni ha avviato la sua ricerca sui temi di natura etnomusicologica sinora accennati trent’anni fa. E finalmente è riuscito a mettere in fila tutte le informazioni e i documenti che gli hanno permesso di dare una documentata risposta alla domanda: ”Ma da dove provengono tutti questi canti della stella che sentiamo cantare nei nostri paesi tra Natale e l’Epifania?”.
Sostanzialmente Morelli stupiva di fronte ad alcune evidenze che affioravano nel corso della ricerca che coinvolse gradualmente buona parte delle regioni del centro Europa.
“E’ possibile che la gente si ricordi tante parole, tanti versi, tanti canti imparandoli solo tramite la trasmissione orale o esistono raccolte scritte libretti, foglietti con riportati i versi dei differenti canti?
La stampa era stata inventata già da un secolo. Si era consolidata, perfezionata e produceva non solo libri, comunque costosi per i più, ma anche fogli volanti per i Cantastorie e gli attori da strada, opuscoli di ogni genere per le fedi religiose o per le scuole, oggetti di pronta lettura popolare con figure e poche parole, spesso di contenuto religioso.
L’esempio dei Remondini
A Bassano si sviluppò l’attività della famiglia di stampatori Remondini che con un esercito di venditori ambulanti ricoprirono l’Europa di stampe colorate su carta e su stoffa, di giochi, come il gioco dell’oca, di immagini sacre e di libelli di ogni genere ed in svariate lingue. A loro furono affidate vere e proprie campagne di grande popolarità. Anche se non sempre di specchiata onestà, come quelle che indussero a emigrare migliaia di nostri compatrioti con viaggi della speranza non sempre fortunati.
Ma anche i Remondini non bastavano a spiegare questa improvvisa proliferazione di canti in italiano (o dialetto), latino e tedesco, di gruppi di “stelari”. I cantori che attraversavano i paesi talvolta accompagnati da qualche strumento e guidati dalla stella luminosa, l’attesa sempre più partecipata che mobilitava i paesani dalla vigilia di Natale all’Epifania. Deve esserci qualcuno, qualcosa, pensava il nostro ricercatore.
Effettivamente c’era. “Finalmente, racconta Morelli, nel corso di una ricerca mirata in Val dei Mocheni era apparsa evidente e “sospetta” la singolare concentrazione, nel repertorio della Stéla di Palù, di testi che ricorrono -più o meno letteralmente- in altre località dell’Italia settentrionale. (…) A distanza di qualche anno, in seguito ad un’indagine puntigliosa, è stato finalmente possibile trovare il testo a stampa a lungo ricercato: un volumetto in 12° di 72 pagine che è risultato essere appunto i “Sacri canti” di don Giambattista Michi di Fiemme. Il volumetto era conservato con devota e gelosa dedizione da Fiore Stefani, membro attivo, animatore convinto e solerte dei locali Stélari.”
La prima edizione di questo libretto fu stampato e distribuito dai Remondini. Successivamente l’opera fu ristampata anche dalla stamperia Gianbattista Monauni di Trento.
La notte e i canti della stella
Un’ultima domanda può avere finalmente risposta con questo ritrovamento: da dove provengono i canti della Stella?
Con la datazione oggi possibile della raccolta Michi veniamo a sapere che i 36 canti che la compongono (18 dei quali in latino e 18 in volgare) sono tutti precedenti alla seconda metà del seicento. E ben 17 di essi risultano essere documentati nella tradizione orale dell’arco alpino italiano, dal Ticino all’Istria Veneta.
Delle musiche non si parla. Michi stesso sembra ammettere di averci un po’ messo le mani. Probabilmente per contribuire a creare delle “laudi a travestimento spirituale” nello spirito del Santo Concilio di Trento.
Nota: Ringrazio Renato Morelli per avermi sempre tenuto al corrente del suo splendido lavoro e per avermi dato la possibilità di leggere i suoi scritti e di ascoltare i suoi nastri.
Ringrazio altresì l’editore Valter Colle per la sollecitudine con cui mi ha fatto avere l’ultimo libro di Morelli su questa ricerca dal titolo “Stele, Gelindi e tre Re” edizioni Nota di Udine.