Siamo in un periodo molto particolare causato dal covid che ha condizionato tutto e tutti, e naturalmente anche il mondo calcistico. Sicuramente ha condizionato anche i professionisti perché vedere le partite senza pubblico, tanto per dirne una, toglie il bello del calcio. Però dove ha avuto più effetti è stato sicuramente nel mondo dilettantistico, perché ormai dall’eccellenza in giù non si sta allenando praticamente nessuno. A parte poche eccezioni sia per problemi economici per le società che per problemi logistici (esempio, l’uso di spogliatoi e allenamenti individuali). Inutile nasconderci. Senza aiuti si affonda tutto.
Dilettanti senza aiuto
Questo rappresenterà sicuramente un problema in futuro perché le squadre dilettantistiche sono il bacino più grande dal punto di vista numerico e soprattutto sono il punto di partenza da dove tutti i giocatori e allenatori che poi sono diventati professionisti sono partiti.
Il bacino più grande
Dobbiamo riflettere sul fatto che le società dilettantistiche per valore numerico e sociale rappresentano il 90% del mondo calcistico quindi dobbiamo in tutti i modi salvaguardarle perché più squadre spariranno e più danni subirà il mondo del calcio.
Senza aiuti ci rimettono i bambini
La cosa più importante è, oltre alle società, quella di tutelare i bambini che in questi mesi sono stati molto condizionati nella loro routine di vita (sociale, scolastica, sportiva) perché loro hanno il diritto di stare con i coetanei, di socializzare, fare le loro esperienze di vita e anche fare sport per svolgere il loro percorso di crescita. Bisogna tutelarli perché loro sono il nostro futuro.
Perché senza aiuti?
Per far si che questo non accada o che accada in modo meno grave ci vorrebbero degli aiuti da parte delle istituzioni, anche se non è facile trovare soluzioni e risorse che possano accontentare tutti. Se questi aiuti e direttive partissero dal governo forse anche le federazioni avrebbero più facilità nell’aiutare le società, quest’ultime essendo l’ultimo anello della catena purtroppo ne risentono più di tutti e rischiano di sparirne molte. Tutte queste problematiche ci devono far sì riflettere, ma la cosa più importante è che si trovi al più presto una soluzione sanitaria per sconfiggere questo virus e tornare alla vita normale e per quanto riguarda il calcio tornare tutti a giocare, allenare, vedere le partite che è la cosa più bella di questo sport.
Non parlo senza sapere. Da dilettante a professionista
Mi chiamo Giovanni Soncin. Sono nato a Eraclea il 24/06/1964 e come tutti i ragazzi ho cominciato a giocare nella squadra del mio paese: il Marina Santa Croce. A 12 anni sono passato al Fossalta di Piave dove ho fatto tutta la trafila delle giovanili per poi passare allo Jesolo all’età di 17 anni in interregionale. Poi sono passato per la prima volta nei professionisti in serie C2 al Conegliano dove è cominciata la mia carriera durata 18 stagioni suddivise in tre campionati di C2,8 di C1 e 7 di serie B e una piccola parentesi in serie A con il Como. Ho concluso la mia carriera in serie D a Pordenone all’età di 38 anni.
Dal professionismo alla panchina
Ho poi cominciato subito ad allenare nel settore giovanile del Treviso nella berretti e negli allievi nazionali per un totale di 5 stagioni. Poi ho allenato prime squadre fra eccellenza e serie D fra cui Miranese, Reno Centese in Emilia, Pordenone, Calvi Noale, San Donà, Portogruaro (anche berretti e primavera).