Effetto criceto
Secondo una cara amica, che sa interpretare i fenomeni quotidiani, in questo doloroso periodo si è manifestato perfino un “effetto criceto”. La sua spiegazione è questa: ogni volta che, pressati dai dpcm, camminiamo in tondo da una stanza all’altra per il footing domestico, attività che serve ad evitare l’atrofizzazione dei muscoli, ci comportiamo come i criceti nelle loro gabbie rotanti: è un girare in cerchio, monotono, potenzialmente infinito, illusi di andare. Un po’ folle.
Mutamenti possibili
Se la vita, come diceva Stendhal, è un canovaccio da ricamare con filo rosso o nero, quale opus risulterà al termine della passione da virus che ci sta lentamente plagiando? Pensiamoci: arrivata al suo estuario, questa fiumana di vita compressa ci lascerà come siamo oggi – avendo conservato tutta o in parte la nostra personalità – o come saremo diventati? C’è da temere di essere mutati? E gli altri, loro, come saranno?
Parola di Lucrezio
La restrizione, il ferreo dovere che ci trattiene in uno spazio limitato, ci porta a soffrire l’abbraccio stretto di un obbligo. Siamo fatti per la libertà e mai come in questi giorni e mesi la rimpiangiamo. Perciò mi ha fatto una notevole impressione leggere in Lucrezio, il grande poeta romano, questa frase: “Un tranquillo obbedire è assai meglio dell’ansia di avere in pugno il potere e di reggere il regno” (La natura delle cose, libro V). Noi stiamo appunto obbedendo, ma non siamo tranquilli.
Il re invisibile
La visibilità virale in certi giorni è totalitaria, come un’eclissi che ci ruba la luce del sole: Re Virus si è insediato e ha cancellato il flusso ordinario del vivere e perfino del morire. In realtà dobbiamo uscire dal tunnel della sua censura e riscoprire le malattie “normali” come i tumori, le cardiopatie, la vecchiaia intesa come malattia profonda, il disagio psichico. Dobbiamo riprenderci la condizione umana. Che include ulteriori mali: terremoti, dittature, politicanti velenosi ecc. ecc.
Dove punta il vento
Aleggia questa parola simbolo: futuro, e la diffonde il vento elettronico dei media. Chissà se il nostro futuro sarà come lo ebbe a definire il sociologo Baumann e cioè “habitat naturale di speranze e aspettative”. Credo, piuttosto, che ci si aspetti una palingenesi che è, in parole povere, una vera e propria rinascita, o meglio rigenerazione, da questa specie di morte o vita sospesa di cui abbiamo riempito gli appartamenti-rifugio.
Dalla Patagonia a Mestre
Il coronavirus ha fatto, tra le innumerevoli altre sul pianeta, una vittima illustre: Luis Sepùlveda, scrittore vagabondo delle stelle. L’ho incontrato: eravamo sulla terrazza del Centro Le Barche a Mestre ma non ricordo perché fosse stata convocata la stampa. Comunque, era tutto per noi. Da lassù, guardava a est, a Venezia annidata nella luce della Laguna. Gli ho chiesto qualcosa sul mito della città. Mi ha rivelato che “sognavano Venezia”, a loro modo, anche gli indios della “sua” Patagonia.