Venezia con i suoi campi e i suoi campielli ha sempre ospitato filastrocche e grida di giochi infantili che si son stratificati nei secoli portando con sé formule, regole, canti e liturgie. Oggi si vanno disperdendo, come si va rarificando, tra mille idiomi e accenti, la parlata che fu dei nostri nonni e dei nostri genitori, specialmente nelle voci più giovani e più rare. Insomma meno giochi tra le calli, meno bambini e bambine in strada anche nelle giornate della stagione più bella, poche occasioni di condividere schegge della nostra memoria con i nostri giovani.
Nenie e filastrocche
Eppure quelle nenie o quelle tiritere, quei racconti a volte truculenti, più spesso conclusi con cristianissimi perdoni, erano echi di lontane vicende che avevano attraversato di bocca in bocca non solo l’Italia, ma l’intera Europa e talvolta anche altre regioni del mondo allora conosciuto. Senza giornali, senza radio e televisione, con il solo fascino del racconto o del canto storie vere o ritenute verosimili percorrevano strade interdette a buona parte dell’umanità.
Una delle ballate più note
Quella che incontreremo oggi è certamente la più nota delle ballate tradizionali italiane. Costantino Nigra, importante uomo politico dei Savoia, tessitore dei rapporti con la Francia per conto di Cavour, dedicatosi infine alla ricerca etno-musicologica (che allora non si chiamava ancora così, ma nei fatti lo era) nella sua opera fondamentale “Canti popolari del Piemonte” pubblicato nel 1888, la riporta per prima e dà conto di ben tredici versioni raccolte da lui stesso e da suoi contemporanei nel nord Italia. Nigra afferma che la canzone era presente non solo in tutta l’Italia Settentrionale, ma che era penetrata anche in altre parti della penisola.
Un po’ di storia
Facendo riferimento ad una cronaca di Paolo Diacono, scritta verso la fine dell’ottavo secolo, il Nigra fa risalire la storia raccontata in questa ballata, analizzandola in tutti i suoi particolari, alla vicenda di Rosmunda e di Elmichi. Proviamo a rinverdire le nostre reminiscenze di storia medioevale. Di Rosmunda, figlia di Cunimondo re dei Gepidi (un popolo germanico), sappiamo poco o nulla fino al 567 d.C., anno in cui l’esercito del padre non fu sconfitto dai potenti Longobardi di Alboino. Cunimondo stesso fu ucciso e il re longobardo si impossessò di Rosmunda, la sposò e scese a conquistare il nord dell’Italia. Ebbe la buona idea di portare con sé, chissà perché , il teschio di Cunimondo trasformato in una macabra coppa. Giunto con i suoi a Verona e conquistatala, il re dei Longobardi e tutto il suoi seguito si dettero ad una grande orgia, secondo la leggenda, in quella che era stata la reggia di Teodorico. Fu in tale occasione che Alboino sfoderò la coppa/teschio dalla quale bevve abbondantemente e costrinse poi Rosmunda a fare altrettanto. Rosmunda, decise di vendicarsi e, aiutata da Elmichi, un suo amante, ordì una congiura che uccise Alboino.
Verso la fine dell’ottavo secolo (700 d.C.) Paolo Diacono scriveva
Elmichi, ucciso Alboino, tentò di invaderne il regno, ma non poté; che i Longobardi, troppo dolenti della morte di quello, macchinavano d’uccider lui stesso. Allora Rosmunda mandò a Longino prefetto di Ravenna, che al più presto spedisse una nave a prenderli. Longino, lieto della novella, spedì subito la nave, sulla quale Elmichi e Rosmunda, oramai sua moglie, di notte fuggirono.
Recando con essi Alsuinda, figlia del re, e tutto il tesoro dei Longobardi, velocemente giunsero a Ravenna. Allora Longino prefetto prese a tentare Rosmunda perché uccidesse Elmichi, e con lui si maritasse. Ella, facile com’era ad ogni nequizia, bramosa di diventar signora dei Ravennati, consenti a commettere un tanto delitto. E ad Elmichi, uscente dal bagno, una coppa di veleno che asseverava salutare, propinò. Egli, come sentì di aver bevuto la morte, snudata la spada, forzò Rosmunda a bere il resto. E così, per giudizio di Dio onnipotente, gli uccisori scelleratissimi ad un tempo perirono.
La morte di Rosmunda e di Elmichi è datata anno 572 d.C.
Una storia in molti dialetti
Di questa storia, che non ha varcato i confini italiani fatta salvo una piccola diffusione nel sud est della Francia, nella regione del Cantal, abbiamo molte versioni nei vari dialetti del nord e del centro Italia, dal Piemonte fino al Lazio, con una digressione nella penisola Istriana in cui fu raccolta nel 1878 in perfetta lingua veneta.
Donna Lombarda
Concludiamo questo incontro con la misteriosa e per i più controversa figura di Donna Lombarda ascoltando una registrazione effettuata da Cesare Bermani e Roberto Leydi, due importanti ricercatori ed etnomusicologi, in provincia di Novara nel 1963. L’informatrice è una donna rimasta anonima che ne dà però una versione molto pulita e completa, cosa non sempre facile. Potrete osservare che la lingua è quella italiana, quindi possiamo dire che si tratta di una versione probabilmente otto/novecentesca della storia, ma, confrontandola con altre versioni piemontesi o di altre regioni è assolutamente coerente con la tradizione.
In internet
In internet trovate edizioni più recenti, interpretate con strumentazioni anche contemporanee. L’evoluzione del gusto musicale non abbandona certi brani che rappresentano davvero la storia della nostra musica condivisa.
Un’ultima osservazione: questo canto si porta appresso da circa 15 secoli un miracolo. In quasi tutti i testi, e in questo c’è, un bambino o una bambina di pochi mesi improvvisamente parla e mette sull’avviso il padre. Questo miracolo però costa la vita a Donna Lombarda e quel bambino, o quella bambina rimarrà orfano/a di entrambi i genitori.
Chissà, in quei tempi, che fine avrà fatto, povero/a.
Il testo
Donna Lombarda
Versione di Suno (prov. di Novara)
Donna lombarda amami me amami me che sono re
donna lombarda amami me amami me che sono re
Non posso amarti sacra corona non posso amarti tengo il mari
non posso amarti sacra corona ‘non posso amarti tengo il mari
Se hai marito fallo morire t’insegnerò come si fa
se hai marito fallo morire t’insegnerò come si fa
Va giù nell’ orto di mio padre taglia la testa di un serpentin
prima la tagli dopo la schiacci dopo la getti dentro nel vin
Ritorna a casa il marito dal campo donna lombarda g’ò tanta sét
ritorna a casa il marito dal campo donna lombarda ò tanta sét
Bevilo rosso bevilo bianco bevilo pure come vuoi tu
bevilo rosso bevilo bianco bevilo pure come vuoi tu
Una bambina di cinque mesi sta nella culla senza parlar
o caro padre non bevi quel vino se lo bevrai tu morirai
E per l’amore del re d’un Francia io lo bevrò e poi morirò
e per l’amore del re d’ un Francia io lo bevrò e poi morirò
La prima goccia cadde sul labbro Donna Lombarda cambia i color
la prima goccia cadde sul labbro Donna Lombarda cambia i color.
(In verità in questa versione non è esplicitata l’ingiunzione del marito, messo sull’avviso dalla bambina, che ordina alla moglie di bere prima lei il vino e poi lo beve anche lui.)