Inizia questa settimana la rubrica “I sentieri del male” a cura della psicologa criminologa Giulia Schioppetto. Analizzeremo con lei i casi di “nera” più scottanti del NordEst. Attuali e non. I cold case; entreremo nella testa dei serial killer triveneti e scopriremo cose che nemmeno i giornali hanno saputo riportare. Partiamo con il Mostro delle Mele. Lo chiamano il boia, il mostro, serial killer. Accusato di aver ucciso almeno 6 donne agli inizi degli anni Novanta, è in carcere da 25 anni e sta scontando la pena dell’ergastolo. È ritenuto uno dei più pericolosi assassini seriali d’Italia, vissuto circa una trentina di anni fa nella “terra delle mele”, in provincia di Verona. Il caso di Gianfranco Stevanin, il cosiddetto “killer delle prostitute”, ha occupato uno spazio notevole sui giornali dei primi anni novanta suscitando un grande interesse nell’opinione pubblica locale e nazionale.
Il caso del mostro delle mele
Un caso particolarmente intricato e oscuro quello del “mostro di Terrazzo”, che ha portato ad un iter processuale tormentato e complesso in cui avvocati e consulenti hanno intrapreso una vera e propria partita a scacchi giocata sul pieno possesso o meno da parte di Stevanin della capacità di intendere e di volere. Un uomo, Stevanin, accusato di terribili delitti e riconosciuto poi pienamente responsabile dei suoi crimini. Un uomo che in una recente intervista, in riferimento alle sue vittime, ha dichiarato: “il ricordo che ho di loro è di corpi…corpi da usare per divertimento”.
Chi era il mostro
Gianfranco Stevanin, classe 1960, si presentava come un ragazzo considerato da tutti persona originale e impulsiva, ma normale. Vive assieme ai genitori a Terrazzo, un paesino in provincia di Verona. Una famiglia benestante quella di Gianfranco, il quale tuttavia cresce in un ambiente iperprotettivo, attraverso un’educazione rigida e rigorosa, derivata anche da una sua esperienza in un collegio religioso all’età di 6 anni. È lo stesso Stevanin ad affermare che la madre era peggio di un segugio, uno 007, impossibile da depistare. Non le si poteva nascondere nulla.
La storia
Adolescente, Gianfranco va a “caccia di ragazze” e ha le sue prime esperienze sessuali. Dirà che fin da allora, dopo il rapporto sessuale, si sentiva come un Dio, come se avesse riportato una grande vittoria. Una particolarità che contraddistingue Gianfranco riguarda infatti l’aspetto della sessualità, che lui stesso definisce “complicata”. Una sessualità abnorme e perversa, come diranno poi le perizie.
Una vita sbagliata
Gianfranco intrattiene relazioni con diverse donne, e alcuni di questi rapporti durano per alcuni anni. Egli non cerca solo sesso, almeno non inizialmente. Cerca dialogo, complicità, intimità. Cerca calore, affetto. Per Stevanin la donna è la cosa più importante al mondo. Ma anche la persona più importante al mondo a volte può deludere, e da figura in grado di fornire cura e protezione può diventare una figura cattiva, incapace di riconoscere il bisogno di amore. Bisogno che in Stevanin si è trasformato in odio, in “solitudine vuota”.
Il mostro e le sue passioni
Gianfranco è un appassionato di fotografia, scruta il mondo attraverso l’obiettivo. Non solo, in generale a lui piace guardare, sia le riviste pornografiche che le “schede” delle donne che aveva cominciato a fotografare. Si sente rassicurato nel poter osservare, il piacere del guardare è per lui una modalità privilegiata di approccio sessuale e autoeccitamento prima del rapporto sessuale.
Stevanin sente il bisogno di sperimentare diverse forme di sessualità, che subiscono una profonda trasformazione nel tempo: dalla normalità alla perversione. Gianfranco comincia non solo a sentire la necessità di mettere in atto le proprie fantasie, ma di trovare tecniche sempre più raffinate per appagare le proprie pulsioni, come una dipendenza.
Il processo
È per questo motivo che, in sede del processo d’appello, i periti dichiararono che Gianfranco Stevanin non era in grado di intendere e di volere al momento dei fatti. Da ragazzo infatti egli fa un grave incidente in moto che gli avrebbe provocato, secondo i periti del processo d’appello, un deterioramento tale da causare una disinibizione comportamentale.
Insomma, Gianfranco Stevanin non sarebbe stato in grado di percepire la gravità delle sue azioni a causa delle lesioni riportate in quell’incidente da ragazzo. La sentenza di Cassazione ribalta però totalmente quella di Appello, confermando la piena imputabilità di Stevanin condannandolo all’ergastolo per l’omicidio di almeno 6 donne, brutalmente violentate e i cui corpi vennero poi sotterrati nel campo vicino a casa dei genitori.
Il mostro nega
Gianfranco Stevanin, un uomo che inizialmente ha dichiarato di essere totalmente estraneo ai fatti simulando amnesie e vuoti di memoria, e che ha poi confessato i delitti. Per tutta la durata degli incontri, secondo i periti, ha mostrato freddezza e lucidità, si è mostrato attento e scrupoloso nel manipolare perfino gli esperti suoi interlocutori nella scrittura ed eventuale modifica e riscrittura degli appunti durante i colloqui. Non ha mostrato alcun segno di rimorso nei confronti delle sue azioni sulle vittime e del dolore cagionato alle loro famiglie. Un uomo che, dopo 25 anni di prigione, dichiara di non essere più quello di una volta e chiede di poter uscire usufruendo dei permessi premio.
Due persone in una
Lungi dal voler affrontare in questa sede gli aspetti di carattere valutativo e trattamentale che vengono effettuati in carcere come da Legge 354/75 sull’Ordinamento Penitenziario, viene spontaneo chiedersi se e come un narcisista maligno con disturbo parafilico, come è stato definito dai periti, ovvero un individuo con tratti di personalità di tipo narcisistico – fondati su aspetti di grandiosità e sostanziale mancanza di empatia, correlati ad una volontà di dominio sull’altro e ad un piacere sessuale ricavato dalla sofferenza della vittima, esternato in questo caso attraverso una sessualità perversa e sadica – uniti a pericolosi aspetti di aggressività e crudeltà possa cambiare ed essere una persona diversa da com’era un tempo.
Il mostro e lo scacco matto
Al di là degli aspetti psicopatologici, c’è chi sostiene che se non vi fosse stato l’arresto, del tutto casuale, di Stevanin, egli avrebbe continuato ad uccidere e a mietere ulteriori vittime. Non è possibile immaginare cosa avrebbe potuto essere o cosa sarebbe potuto succedere, l’unica certezza riguarda il grave scacco che, secondo Gianfranco Stevanin, le vittime avrebbero fatto nei suoi confronti. O come lui stesso dichiara, “scacco matto”.