Ha seguito la sua cometa Aldo Andreolo, lasciandoci l’eco discreta delle sue opere. Se n’è andato a novantaquattro anni, ma l’età anagrafica non conta. Solo l’estate scorsa raccontava agli amici i suoi progetti colti, intriganti, curiosi per il futuro. Da qualche tempo, tuttavia, le imposte del suo studio a San Marcuola restavano ostinatamente chiuse. L’annus horribilis che tanti vuoti ha creato nelle nostre presenze più care, l’ha fatto uscire di scena.
Aldo rimane
Eppure, quel tratto iperrealistico e tagliente con cui delimitava le sue opere sospese (par quasi un controsenso, ma non lo è, per chi lo ha conosciuto), quella cifra così riconoscibile da essere entrata a far parte del nostro immaginario lagunare, rimarrà per sempre. «Ti piace Cosmè Tura?» mi chiese molti anni fa durante un’intervista. Così, semplicemente, pacatamente com’era suo solito, aveva spiegato: la nitidezza spietata dell’Officina Ferrarese e quel clima straniante, fatato del San Giorgio e il drago. Nessuna contraddizione.
Chi era Aldo Andreolo
Lui, che sul Tura si era diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 1949, fece buon uso della lezione: per tutta la vita – sia pur sperimentando di continuo soluzioni tecniche, variando (anche se di poco) la visuale – manterrà quel sogno lucido, assieme iconico ed acerbo, che ne faranno un outsider della scena contemporanea.
Sempre nello stesso anno, invitato alla Rassegna di pittura italiana al Museo Correr, espone da subito accanto alle opere di Boccioni, Carrà, De Chirico, Modigliani, Morandi, Sironi. Però non assomiglia a nessuno.
I passaggi di Aldo come una cometa
Dopo essere passato per una fase espressionistico-gestuale, verso la fine degli anni Cinquanta, Andreolo sceglie la pittura di figurazione. Nascono così i cicli delle automobili abbandonate, delle edicole e delle spiagge in cui si mostrano – perse nei loro pensieri, enigmatiche, eleganti – le sue donne vestite di bianco, grandi cappelli a nascondere il volto. «Si chiamano tutte Eva» scherzava il Maestro, ma gli intimi sapevano che la modella era sempre la compagna di una vita, sua moglie Giuliana.
Gli affetti di Aldo Andreolo
Era persona affabile e schiva, Andreolo, di profonda caratura intellettuale. Per decenni funzionario della Cassa di Risparmio di Venezia, era studioso, scrittore oltre che artista visivo (autore di numerosi saggi), e collaboratore delle pagine culturali de “Il Gazzettino”, “La Nuova Venezia” e “La Provincia di Como”. Soprattutto, perseguiva l’obiettivo, o forse il sogno, di una città restituita alla sua dignità di capitale, alla sua bellezza fragile.
Il ricordo
Se lo ricordano bene, al Centro Internazionale della Grafica, nel cuore ancora pulsante di un’arte fatta con le mani e con l’anima, per la sua cartella di serigrafie Morte a Venezia, ispirata al celebre testo di Thomas Mann: la medesima forza nostalgica, la stessa caligine del tempo. Il medesimo sentimento del suo trascorrere.
Aldo Andreolo maestro per le generazioni future
Ecco perché Aldo Andreolo – che ha esposto in tutte le capitali, portando ovunque un po’ del profumo di Venezia, un realismo magico che ha del primo Guidi alla luce della pop-art – non può andarsene del tutto. È Il mistero dell’immagine, come recitava il titolo della bella mostra antologica che il Museo di Ca’ Pesaro gli ha dedicato nel 2004: per noi, un’eredità difficile, ma preziosa.