Joe Biden, nuovo presidente Usa, si muove come la sua grafia. Un pensiero veloce, senza fronzoli, a tratti impaziente. Colpisce la variabilità dell’inclinazione della scrittura che porta a grandi risorse ma anche a qualche limite. Siamo certamente di fronte a una persona emotiva e flessibile. E questo gli offre la capacità di sapersi modulare in base a chi ha di fronte, anche cambiando velocemente atteggiamento e strategia. Allo stesso tempo, questa emotività può divenire il suo tallone d’Achille, perché potrebbe trascinarlo in una direzione o in un’altra seguendone l’onda.
Chi è Joe Biden il presidente
Flessibile e mutevole. Sempre pronto ad attraversare una strada trafficata ma non sempre capace di scegliere il momento migliore. E poi imprevedibile. Mai dare per assodato che gli piaccia una cosa o che sia sempre coerente nelle sue idee, perché ciò che gli piace oggi, potrebbe non piacergli domani. I tratti verticali netti e le aste orizzontali delle lettere “t” tracciate con sicurezza sono dei segni creati nella storia del nuovo presidente (ma aspettiamo gennaio) e ci fanno pensare che abbia imparato a gestire questa emotività trasformandola in duttilità, e capacità di adattamento.
Il carattere del presidente con la grafia
Ma, attenzione, resta la dimensione della corsa e la conseguente difficoltà degli altri nel bloccarlo. Ma anche, per lui stesso, di sapersi fermare. Un’altra cosa ci racconta la sua scrittura, anzi due. Guardiamo come esiste poco spazio bianco tra parola e parola. È un vuoto, un tempo che manca. Il tempo della riflessione che si manifesta in due caratteristiche: la permalosità (perché si risente subito per un’osservazione) e la fisicità (perché non mette il giusto spazio, anche fisico, tra sé e gli altri). Le singole parole, infatti, sono una sorta di isole e, se le isole si avvicinano troppo, si rischia la collisione.
Un presidente contrario del precedente
Biden ha un bisogno quasi fisico di tenere vicine le persone perché da solo si sente traballante e la socialità gli dà sicurezza. Da qui nasce la sua capacità e la sua grande fiducia nel lavoro di squadra, che è per lui spada ma anche vulnus, perché c’è il rischio che si faccia influenzare, fino a manipolare, dalla pressione di gruppi strutturati rendendo difficili, soprattutto in politica estera, i negoziati. C’è in lui una costante ricerca di approvazione e il desiderio di essere considerato da tutti amico e alleato, cosa che, ovviamente, per un presidente è impossibile.
Noi e non “Io”
Eravamo abituati a un Trump che faceva della selezione, dell’azione quasi chirurgica di separazione di bianco e nero, una bandiera personale; ora ci troviamo dal versante opposto della montagna, con una personalità disposta anche a cedere terreno pur di appianare i disaccordi. La scelta di Biden è un po’ la fotografia dei tempi, nella sua mancanza di ideologie definite e di un carisma unico e personale. Può, per la politica americana, diventare un placato traghettatore; scopriremo se verso una riva di salda fiducia o di approssimativa normalità. I presidenti americani passati alla storia, compreso Trump, ma si pensi anche a Kennedy o a Reagan, sono sempre state delle personalità dal forte carisma, nel bene e nel male. Ora, difficilmente potremo sentir dire da Biden il “Solo io posso aggiustarlo” di Trump, perché il concetto di “io” sarà sempre sostituito dal “noi”.
Kamala, la vice presidente
Sono chiare le dinamiche grafologiche tra il presidente e la sua vice. Lo spazio che manca a Joe Biden, lo mette Kamala Harris, che ha tutto il carisma e la dominanza che mancano al presidente. Biden avvicina, la Harrys allontana, come vediamo dall’ampio spazio tra parole. Le aste, dritte e rigide, assomigliano al movimento del tergicristallo, che si muove in una continua azione di pulizia e chiarezza. Il tratto si ammorbidisce solo nella firma, come se la dimensione di calore umano l’avesse trovata e conosciuta nella figura paterna (il cognome).
La firma parla
Vediamo come nella firma sia più leggibile il nome (Kamala) del cognome. Questo, finalmente, ci parla di una prima dimensione emotiva e quasi fragile: la volontà di porre l’accento su di lei come persona e come donna, di essere riconosciuta nei suoi successi e in quello che fa. Colpisce il gesto regressivo, all’indietro, della firma che è un gesto di protezione della propria intimità, di non volontà di esporre la dimensione più strettamente familiare.
Parla molto Kamala, ma molto poco di sé
La natura angolosa della scrittura, soprattutto in una donna, ci conferma il suo essere ambiziosa, e il suo saper suscitare nelle persone non solo il rispetto ma perfino l’obbedienza, in una persona che poco si perde nei sentimentalismi e nei preamboli. Audace, sicura di sé, competitiva: in sintesi è lei la vera leader della coppia, in quanto veste quella sicurezza che manca a Biden, in un abbinamento di cuore (Biden) e testa (Harris) che potrà funzionare, fin tanto che verranno mantenuti gli equilibri. Il limite è che, mentre Biden è totalmente attratto dal lavoro di gruppo, la Harris preferisce il lavoro autonomo che le crea motivazione e ispirazione.
In sintesi per la grafologia quella di Joe Biden e di Kamala Harria sarebbe una “coppia presidenziale” perfetta. A ruoli invertiti.
Affascinante la “lezione” dell’eminente grafologa Sara Cordella. L’articolo termina con “In sintesi per la grafologia quella di Joe Biden e di Kamala Harria sarebbe una “coppia presidenziale” perfetta. A ruoli invertiti.” Ecco, l’errore di battitura involontario Harria anziché Harris consegna la perfezione al tutto.