A pochi anni dal suo ritiro, Denis Marconato è ancora protagonista in palestra anche se, ovviamente, in una veste diversa. Il centro della Nazionale della generazione d’oro della pallacanestro italiana, capace di vincere tre medaglie agli europei e uno storico argento olimpico, è infatti alla sua terza stagione ad Istrana. Dove allena prima squadra e giovanili.
Denis Marconato, per le squadre giovanili e di categorie inferiori la stagione sembra già compromessa?
“Purtroppo siamo fermi. Noi abbiamo cominciato gli allenamenti a settembre e dopo la sospensione dei campionati di marzo c’era tanta voglia da parte di tutti di ricominciare per come era finita la stagione precedente. La società stava infatti ottenendo risultati importanti. I ragazzi delle giovanili hanno fatto benissimo e tre squadre (Under 14, 18 e 16, io allenavo le prime due) fino alla sospensione sono rimaste imbattute al primo posto. Ovviamente c’è stato grande rammarico perché in questo modo non abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci ed andare a giocare nella fase regionale. Anche la prima squadra, che allenavo ed era protagonista in Serie D, non ha concluso la stagione. Ed è stato un peccato considerando che eravamo in quarta posizione e i playoff non si sono disputati”.
Denis, la situazione è molto complessa, come potrebbe tutto il basket ripartire in massima sicurezza?
“Finché il virus circolerà sarà molto difficile, specialmente per l’immediato futuro. La speranza è che verso l’inizio dell’anno la situazione possa migliorare e diventare più tranquilla in modo tale da poter ripartire con dei campionati più ristretti e veloci. In questo momento ci mettiamo ogni settimana in contatto con i ragazzi solo per via telematica e affidiamo loro dei programmi di allenamento da fare individualmente, purtroppo è il massimo che possiamo fare. Alle federazioni chiediamo quindi di evitare che i giovani perdano un altro anno, sarebbe un colpo brutto e pesante per loro”.
Denis lei ha avuto allenatori di spessore elevatissimo. A chi si ispira?
“Cerco di fare un giusto mix e prendere particolari da un po’ tutti. Se penso a Mike D’Antoni, uno dei miei primi allenatori, mi viene in mente la sua continua fiducia a chi sbagliava due giocate consecutive ma si impegnava notevolmente. E devo dire che questa mentalità la sento anche mia. Altri concetti fondamentali li ho appresi da Messina, coach avuto in Nazionale e per tre stagioni a Treviso, e altri da Obradovic, mio allenatore alla Benetton nel biennio ‘97-‘99. Il primo mi ha fatto capire quanto sia importante avere la massima concentrazione in allenamento, il secondo invece quanto conti il sacrificio”.
Come è stato vivere e giocare in epoche rivoluzionarie per il basket?
“Quando ho iniziato a giocare, e di questo mi ritengo fortunato, c’era una grande attenzione per il settore giovanile, le società volevano che i giovani italiani arrivassero in prima squadra. Da un po’ di anni l’idea a riguardo è cambiata e c’è una tendenza a preferire di rafforzare il roster con l’inserimento di giocatori americani. Avendo avuto una carriera durata venti anni ho potuto assistere anche all’evoluzione del gioco, reso meno tecnico e sempre più spettacolare con una velocità e un atletismo maggiore”.
Denis, che differenze ha trovato in esperienze diverse come quelle di Barcellona, Treviso e dell’NBA Summer League con Washington?
“Barcellona più che società è da considerare come un club. Nei miei tre anni in Spagna mi sono accorto di come impongano la loro mentalità, al giocatore viene dato un mese di tempo per imparare la lingua e nel corso della stagione è obbligato a prendere parte ad attività legate alla realtà del territorio, come girare degli spot in catalano. Nelle diverse squadre per cui ho giocato in Italia quella che si avvicinava maggiormente a Barcellona era Treviso. La Benetton era infatti descritta da molti come uno dei club più belli d’Europa a differenza di altre squadre come Siena che, nonostante avesse una società molto organizzata, non era apprezzata allo stesso modo. L’esperienza che ho fatto oltreoceano mi ha invece catapultato nel mondo dell’NBA, fatto di grandissima organizzazione e serietà delle franchigie. L’unica delusione l’ho vissuta sul piano del gioco perché, nonostante il coach disegnasse uno schema con più movimenti e passaggi durante il time-out, i giocatori provavano quasi sempre azioni individuali. Si tratta comunque di un’avventura che ricordo con piacere”.
Qual è stato il giocatore più forte da compagno di squadra e quale da avversario?
“A Treviso ho avuto compagni molto forti, scelgo però Rebrača, insieme a me per quattro anni alla Benetton. Bravissimo nei movimenti, tecnicamente e con un fisico molto atletico, tutte caratteristiche che lo hanno infatti portato a giocare in NBA per sei stagioni. Allenarmi con Željko era stimolante e mi è servito per migliorare. Pau Gasol è invece il più forte contro cui ho giocato, lo affrontai alle Olimpiadi. Era più alto di me, aveva braccia più lunghe e a tecnica aveva pochi eguali”.
Denis, in nazionale ha vinto tanto e con tre allenatori diversi: Messina (argento all’Europeo di Spagna ’97), Tanjević (oro a Parigi ‘99) e Recalcati (bronzo a Svezia 2003 e argento olimpico ad Atene). Come descriverebbe questi coach?
“Lavorare con Ettore richiedeva tanta concentrazione. Boscia era un grande lavoratore, stile slavo. Charlie dava tanta fiducia, in questo molto simile a D’Antoni”.